Della dottoressa Fabiola Di Dato,
specialista in pediatria e dottoranda di ricerca, ne abbiamo parlato alcuni giorni fa nell’articolo sul bimbo
venezuelano guarito da leucemia ed epatite C, per aver contribuito, insieme al
prof. Raffaele Iorio, calvizzanese, direttore dell’Unità di Epatologia Pediatrica della Federico II, alla buona riuscita
dell’intervento. Ma il medico maranese si occupa anche di patologie rare, in particolare del morbo di Wilson, una malattia
ereditaria che porta all’accumulo di quantità eccessive di rame
nel fegato, nel cervello e in altri organi vitali: se diagnosticato
precocemente è un disturbo trattabile e chi ne soffre ha buone probabilità di
condurre una vita del tutto normale.
“Fabiola dei bimbi”, un appellativo che le è stato affibbiato nel suo soggiorno africano, fin da piccola sognava di fare la pediatra: nel 2017 è stata per 8 mesi in Uganda, al Lacor Hospital, per curare i bimbi poveri e malnutriti. Insomma, parliamo di una donna eccezionale in tutti i sensi, semplice e con un carico di energia enorme: chi l’ha frequentata la definisce anche molto umana.
La ricercatrice, orgoglio maranese, viene ben descritta nell’articolo a firma di Daniela Condorelli, che riportiamo per intero
M.R.
“Fabiola dei bimbi”
Fabiola sta tornando a Napoli dove finirà la specializzazione in pediatria. Gli ultimi sei mesi li ha passati al Lacor, o meglio, nel chiassoso e colorato reparto pediatria del Lacor. Quel children ward che in questo periodo è saturo di bimbi: anemie, gastroenteriti, tanta malaria e pochissimo sangue a disposizione per le trasfusioni….e lei su e giù nel grande atrio o letto dopo letto con i suoi ricci e la sua attenzione a ogni dettaglio. Persino la sera o durante il fine settimana, quando la vedevi assorta nei suoi pensieri e chiedevi, la risposta era sempre. “Pensavo… quasi quasi vado a vedere se sono arrivati gli esami di quel bimbo o il risultato dell’ecografia di quell’altro o faccio un salto per accertarmi che stia bene, stamattina l’ho visto un po’ giù…” E ora che le chiedo cosa pensa di aver lasciato di sé stessa qui a Gulu, la risposta la troviamo insieme. Ed è l’esempio di tanta dedizione, un modello di medicina per passione. Passione per la gente e per guarirla. Con tutta l’umiltà di chi si sente studente per tutta la vita. Un dono raro, l’umiltà, che dovrebbe appartenere a qualunque munu, uomo bianco, che mette piede in Africa.
Fabiola Di
Dato aveva sentito parlare la prima volta del progetto GULUNAP, che ha visto
collaborare l’Università di Gulu e la Federico II di Napoli, da un docente di
genetica.
GULUNAP
nasce nel 2003 per istituire una Facoltà di Medicina a Gulu con il sostegno
economico della Cooperazione Italiana. Nel 2012, il progetto ha ricevuto il
prestigioso Premio Feltrinelli dall’Accademia Nazionale dei Lincei e ad oggi
sono circa trecento i giovani ugandesi che si sono laureati!
Fabiola
aveva da poco iniziato a studiare medicina quando ha visto le foto del Lacor e
promesso a se stessa che ci sarebbe andata. E così è stato, dopo lunghi anni di
studio e attesa è approdata nella foresteria dell’ospedale ugandese, crocevia
di belle intenzioni e scambi culturali e professionali. Dove ogni anno sfilano
giovani volti europei, americani, canadesi che poi ritrovi attenti, nel loro
camice bianco, tra reparti e cortili.
Ed è proprio
pediatra di nome e di fatto, anche se il pezzo di carta che lo attesta deve
ancora arrivare, questa giovane dottoressa che ama sedersi in mezzo ai bimbi,
andare a trovarli nelle capanne quando il legame si fa più stretto. Come è
stato con la piccola Kevin e la mamma Joyce. “All’inizio molti piangono,
spaventati, ma poi ti scrutano curiosi e qualcuno ti salta in braccio. Quante
soddisfazioni nei sorrisi delle mamme grate e nelle piccole voci che ti
salutano “Munu bye, bianco ciao”.
Si
affezionano e ti affezioni. A questi abbracci calorosi e sinceri; a questa
gioia pura nel riconoscerti per le strade, al mercato o nelle case in cui ti
accolgono con ogni onore.
Bentornata
in Italia Fabiola, dove porti con te, da coltivare, un germoglio di quel sogno
che Piero e Lucille hanno seminato nel cuore dell’Africa.