Con l’istituzione delle Città metropolitane svanisce definitivamente il sogno chiamato Eptapoli


                     Ma per i calvizzanesi autoctoni o’ paese è semp do’ paisan
A distanza di più di venti anni dal varo della legge 142 di giugno del ‘90, finalmente arriva il via libera alle 10 Città metropolitane. Il Decreto legge Del Rio (ministro per gli Affari generali e le Autonomie nel governo Letta) è sbarcato in aula e prevede anche uno svuotamento delle Province, in attesa di essere eliminate definitivamente. Per togliere le Province dalla Costituzione, però, occorre una legge costituzionale: nelle more, dunque, che ciò avvenga, questi enti, definiti inutili, verranno trasformati in agenzie di supporto, senza personale politico eletto dai cittadini. Nel nostro comprensorio, dunque, svanisce definitivamente il sogno chiamato Eptàpoli, il nome che s’intendeva dare alla nuova città che avrebbe dovuto raggruppare i sette Comuni del giuglianese. L’idea fu lanciata nel 1986, ma di un Consorzio tra Marano, Giugliano, Calvizzano, Qualiano, Melito e Villaricca, si parlava già da qualche anno prima, grazie alla kermesse primaverile “Settegiornisette”, programma- contenitore che aveva per scenario i sette centri del Giuglianese ed era patrocinato dall’Unicef e dal Parlamento Europeo. A gettare la pietra nello stagno fu Margherita Dini Ciacci, all’epoca vice-presidente dell’Unicef, che accolse le richieste dei ragazzi delle scuole medie del comprensorio. “Sette Comuni – disse la Ciacci – che decidono di camminare e crescere insieme, ponendo mano alla bonifica edilizia, sociale e morale di un territorio a “rischio”: è un fatto sicuramente positivo, specie se a beneficiarne sono soprattutto le nuove generazioni”.
Il primo passo ufficiale di “Eptapoli” è datato 1988: i sindaci dei Comuni interessati sottoscrissero un accordo per dar vita a un’associazione intercomunale per la salvaguardia del patrimonio archeologico, culturale e ambientale. La linea guida di quel documento fu quella di garantire nuovi spazi di vivibilità a una vasta zona della periferia partenopea. In breve, l’obiettivo era quello di migliorare la qualità della vita a una popolazione residente che superava i 250.000 abitanti, in un territorio assediato da camorra, droga, violenza, emarginazione. Quel sogno chiamato “Eptapoli” fallì per l’esasperato campanilismo e perché probabilmente, gli amministratori dell’epoca avevano altri interessi da pensare. Di Giugliano città provincia se ne riparlò agli inizi del 2000: la proposta partì dall’associazione culturale giuglianese “Abbiabbè” che annunciò una raccolta di firme e una campagna di sensibilizzazione che trovò proseliti eccellenti: tutti i Primi cittadini dei Comuni del comprensorio, tranne Bertini, si dichiararono favorevoli. L’ex sindaco di Marano, già all’epoca, essendo un convinto assertore dell’inutilità delle Province, propendeva per un dibattito sulla Città metropolitana, ritenendo che fosse l’occasione per mettersi al passo con i tempi e avvicinarsi alle grandi città europee. Ma la classe politico- dirigenziale calvizzanese è preparata a questo graduale ma significativo cambiamento? Stando agli atteggiamenti di coloro che oggi la rappresentano, sembra proprio di no: dalla lettura dei loro atti, infatti, traspare ancora un campanilismo esasperato che, a nostro avviso, porta più all’esclusione (anziché all’integrazione), da un contesto dove la coesione tra Comuni omogenei territorialmente è qualcosa di cui, in questo particolare momento, non se ne può più fare a meno. Lo dimostra il fatto che Salatiello, a pochi mesi dal suo insediamento, prima si è sfilato dall’accordo intercomunale sull’ufficio del Giudice di Pace e poi ha ripetutamente minacciato di far uscire Calvizzano dal Piano di zona sui Servizi sociali, creando non pochi problemi agli altri sindaci dei Comuni viciniori. Inoltre, non sono mancate le occasioni dove sempre Salatiello ha continuato a ribadire il suo personale ed esasperato concetto che a Calvizzano devono lavorare i calvizzanesi. Sorge spontanea la domanda provocatoria: ma i nostri concittadini possono andare a lavorare altrove? Ma non è solo il Primo cittadino di Calvizzano a pensarla così: una folta schiera di dirigenti e amministratori calvizzanesi, purtroppo, la pensano come lui, continuando a essere fedeli interpreti dell’atavico concetto  “O’ paes è do’paisan”, segno di una  perdurante sub cultura popolare che, da queste parti, stenta a scomparire. Di esempi di bieco campanilismo nostrano da fare ce ne sarebbero a iosa, dove si nota chiaramente la propensione a privilegiare manodopera e produzioni locali, nonostante l’offerta, il più delle volte, sia meno conveniente. Ma ci fermiamo qui, per non dilungarci troppo, anzi consigliamo coloro che volessero approfondire la questione la lettura di altri articoli presenti sul nostro blog.
P.S. Già da diverso tempo si è fermato il fiume dei commenti, per la maggior parte inutili e offensivi. Adesso, quei pochi che arrivano sono di qualità e in tema con i vari problemi che man mano andiamo ad affrontare. Tutto questo non può far altro che rallegrarci: vuol dire che qualcosa sta cambiando anche nel nostro paese.       


Visualizzazioni della settimana