Il famoso libro di Menna è stato scritto
per la maggior parte nella sua casa di Calvizzano, dove torna nei week-end,
come si evince dall’intervista che. ha concesso in esclusiva al nostro blog.
Un piccolo post
sul suo blog, poi un romanzo di grande successo, infine un film. Non si ferma
la scalata di "Se Steve Jobs fosse nato a Napoli", l'invenzione
letteraria di Antonio Menna, 43 anni, giornalista, noto nella nostra zona per
essere stato per circa 15 anni consigliere comunale e assessore a Marano. Menna
da qualche anno vive a Roma ma nei fine settimana torna dalle nostre parti; per
la precisione a Calvizzano, dove ha preso casa. E', quindi, anche un po' nostro
concittadino. A lui abbiamo chiesto com'è nato questo improvviso successo e
come ci si sente.
"E' nato
abbastanza per caso - dice Menna -; scrivo da molti anni. Faccio il giornalista
dal 1988, quando ero poco più che adolescente. Ho vinto alcuni premi con i miei
racconti e ho pubblicato, in precedenza, due romanzi. Niente di paragonabile,
però, a quello che sta succedendo in questi mesi. Ad ottobre mi sono inventato
una breve storia, che ho pubblicato sul mio blog. All'indomani della sua morte,
simulavo la nascita di Steve Jobs dalle nostre parti, per dimostrare che nel
successo personale anche il luogo dove nasci e cresci ha un suo peso. Infatti
lo Steve Jobs napoletano, chiamato Stefano Lavori, trovava sul suo cammino, una
quantità tale di ostacoli (banche, burocrazia, corruzione, camorra) da fargli
passare la voglia. La piccola storia, molto breve, è piaciuta molto. Ha avuto
400mila lettori in tre giorni ed è finita sui giornali di mezzo mondo, da Le
Monde al Corriere canadese. Da lì è venuta l'idea di dare struttura e forma a
quel mini racconto e trasformarlo in un romanzo di 200 pagine. L'ho scritto in
dieci giorni e ho trovato un grande editore che lo ha pubblicato. Si chiama
Sperling & Kupfer. Il libro ha bissato il successo del post. E' stato tra i
dieci più venduti in Italia per due settimane ed è alla sua seconda edizione.
In questi giorni, siamo al terzo passaggio. Stiamo scrivendo la sceneggiatura,
un produttore ha comprato i diritti e probabilmente ci sarà un film".
La storia parla di difficoltà a fare le
cose in Italia e al Sud. Tu che hai vissuto attivamente la realtà dei nostri
territori in qualità di giornalista e di amministratore, ritieni che possa
esserci qualche speranza di riscatto e una prospettiva per i giovani?
Il libro,
indubbiamente, si concentra sui problemi e può sembrare pessimista. Invece, in
fondo, non lo è. Io provo a dire che in Italia e al Sud abbiamo un potenziale
enorme, di gente valida, di intelligenze vive, di valori. Un potenziale pari a
cento che però realizza venti. Disperdiamo tantissime energie, tantissime
risorse per via di problemi strutturali su cui da anni diciamo che si deve fare
qualcosa ma su cui, al di là delle chiacchiere, nulla si muove. Il mio, in
sostanza, è un grido di dolore. Se rimuovessimo questi ostacoli, per quanto è
geniale, creativa, intelligente la nostra gente, l'Italia e il Sud volerebbero.
La speranza per i giovani è che la classe dirigente di questo Paese decida
finalmente di farsi carico delle questioni che ne bloccano la realizzazione.
Purtroppo, al momento, si vedono molte parole e pochi fatti.
Da un po' di tempo tu abiti a Calvizzano,
da cittadino che percezione hai avuto di questa piccola realtà alle porte di
Napoli?
In realtà ci
vivo poco. Lavoro da un po' a Roma e passo gran parte della mia settimana lì.
Torno nel week end, in una casa che è amministrativamente nel territorio di
Calvizzano ma sul confine con Marano, la città dove sono cresciuto e dove ho i
miei genitori. La percezione che ne ho è quella che ho sempre vissuto: ci sono
problemi irrisolti di vivibilità legati ad una crescita urbanistica eccessiva,
ad una densità troppo alta, alla mancanza di una identità economica. Questo si
riversa anche sulla vita civile e ne abbassa la qualità. Ma riguarda
Calvizzano, come Marano, come gran parte dell'area metropolitana di Napoli.