“1925. Mia Madre”, da Calvizzano a Vico Equense: nel libro c’è un intero capitolo dedicato al dottor Pirozzi
Il dottore Pirozzi
(…) Per un periodo mia mamma mi racconta che visse stabilmente a casa di zia Maria, in un ambiente più asciutto e sicuramente più sano di quell’unica stanza nella quale era sempre stata. Ogni settimana veniva il dottore Pirozzi, un bell’uomo molto elegante che la visitava e le prescriveva bustine di salicilato, poi con cura le tastava le ginocchia e i polsi e invitava la maestra Cucumella, che pure era presente a quelle visite, a farle fare degli esercizi per riprendere a camminare; mensilmente poi le prescriveva sulfamidici. La visitò pure il professore Cicconaldi, luminare degli Incurabili, un uomo grosso e panciuto con un bel paio di baffi bianchi che confermò la cura del dottore Pirozzi. Quando il dottore Pirozzi andava via, le regalava un pugno di caramelle e le dava un buffetto, mentre la zia Maria lo ringraziava donandogli un cesto di uova freschissime e un fiasco di vino loro. Umano è innanzitutto lo sguardo di chi si volge indietro verso l’antico dopo averlo sconfitto. Il dottore Pirozzi, non prendeva mai soldi da quella gente, come faceva la gran parte dei medici di quel tempo: la curava per quanto poteva, e spesso ne assisteva in silenzio i drammi. Quando quel vittorioso uomo umano raggiungeva la convinzione – attraverso le cure prodigate – che nulla di umano
gli era alieno, comprendeva (come succedeva a tutti un tempo, e oggi non succede più) i profondi rapporti tra Dio, anima e mondo, e il suo tramite era stato quella bimbetta inferma alla quale lui fu perennemente grato, in un’epoca dove un’ideologia di modernità rozzamente e con modalità autoritarie si apprestava a cancellare per sempre la memoria stessa di umanità. Attraverso quelle cure, quelle del dottor Pirozzi e di zia Maria e le attenzioni della maestra Cucumella, mia mamma si riprese, soprattutto anche con la vicinanza giocosa dei cugini e delle cugine.
(…) Il dottore Pirozzi era sposato con Graziella Mirabelli, ovvero la figlia del conte Domenico, che era anche il podestà della città. Le relazioni tra i due non erano mai state buone e queste tensioni avevano finito per incrinare anche i rapporti tra marito e moglie. Il podestà mal sopportava un genero in odor di socialismo, mentre il suo umanitarismo era ridicolizzato come una sorta di debolezza virile; a questo andava aggiunto che Graziella non aveva avuto figli e la crisi tra i due coniugi, sommata alle maldicenze del suocero, contribuivano a rendere il dottor Pirozzi un uomo sempre più chiuso in se stesso, schivo e silenzioso, che si isolava in quell’ambiente ostile, dedicandosi solo alla sua professione (…).
