Calvizzano e l’utopia della rivoluzione culturale

Una rivoluzione vera, oggi, passa soprattutto dalla cultura, dalla coscienza, dall’etica pubblica. E dal coraggio di rompere gli schemi, anche in un piccolo paese dove “ci conosciamo tutti”

C’è una frase che mi è rimasta impressa leggendo, diversi mesi fa, un articolo di Massimo Giannini su il Venerdì di Repubblica. Citava Longanesi e Flaiano: “In Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti”. Una battuta amara, ma terribilmente vera. “Viviamo in un Paese dove le relazioni personali contano più delle idee, dove l’“amichettismo”, praticato in modo moderato dalla sinistra e sistemico dalla destra, è la norma, non l’eccezione”.

E qui a Calvizzano, dove vivo dal 1980 e che racconto da giornalista da trentacinque anni, quella battuta suona ancora più vera. In un paese di poco più di 12.000 anime, non solo ci conosciamo davvero tutti, ma spesso a guidare dinamiche politiche e amministrative sarebbero logiche di favore, clientelismi, piccoli e grandi nepotismi. Non esiste un voto d’opinione, esiste un voto di prossimità, di convenienza, di consuetudine. E questo, inutile nasconderlo, soffoca qualsiasi possibilità di cambiamento autentico.

Si parla da decenni di “rivoluzione culturale”. Sembra quasi un mantra, una frase fatta da infilare nei discorsi pubblici. Ma una rivoluzione vera, seppur solo culturale, richiede una nuova classe dirigente, giovane, libera, disinteressata al potere fine a se stesso. Servono ragazzi e ragazze capaci di ascoltare il territorio ogni giorno dell’anno, non solo in campagna elettorale; capaci di raccogliere istanze reali e trasformarle in proposte concrete. Giovani pronti a mettersi in gioco con idee, progetti e passione civile, e amministratori che abbiano il coraggio di rinunciare a un ruolo se non vengono messi nelle condizioni di lavorare per il bene comune.

Domani compio 72 anni. Gli acciacchi si fanno sentire, come pure le ostilità di buona parte del ceto politico locale. Ma continuo, con ostinazione, a combattere piccole e grandi battaglie di civiltà. Finché la salute me lo permetterà, resterò vigile e attivo. Non per nostalgia o spirito di rivalsa, ma perché credo che noi “vecchi” abbiamo ancora molto da dare. E forse, anche solo con il nostro esempio, possiamo aiutare a tenere accesa la speranza di un cambiamento possibile.

Una rivoluzione vera, oggi, passa soprattutto da qui: dalla cultura, dalla coscienza, dall’etica pubblica. E dal coraggio di rompere gli schemi, anche in un piccolo paese dove “ci conosciamo tutti”.

Mimmo Rosiello

Visualizzazioni della settimana