La “rivoluzione” che ancora non c’è: resta solo un sogno di pochi?

                                       

Riproponiamo un articolo pubblicato da calvizzanoweb a giugno 2013: cosa è cambiato da allora sullo sviluppo del paese?  

Calvizzano è un paese totalmente da rifondare. Prima civilmente e culturalmente, poi politicamente. Insomma, occorre quella rivoluzione che non c’è, ma che non c’è mai stata e che, per il momento, resta solo un sogno di pochi. Da queste parti, purtroppo, il voto continua a non essere considerato uno strumento di democrazia, ma un semplice optional. A pochi importa se il prescelto da votare ha sempre governato male, riducendo il paese allo sbando; se non ha mai aperto bocca in consiglio comunale; se non conosce la differenza tra una delibera e una determina; se è abituato a fare continui salti della quaglia, passando con nonchalance dai banchi dell’opposizione a quelli della maggioranza; se ha compiuto gesti politici eclatanti (come, ad esempio, quello di gettarsi nelle braccia dell’avversario di sempre pur di vincere le elezioni); se è chiacchierato sotto tutti i punti di vista e conserverebbe qualche scheletro nell’armadio.

Io voto Tizio perché me lo ha detto suo zio, un potente molto rispettato a…”.

Quest’anno voto Caio: mi ha assicurato che mio figlio andrà a lavorare nell’impresa di un suo caro amico”.

Io aggia vutat a Sempronio, chill è o nipot carnal e mio marito e nun c’putev dicer no!”

Ma quello è uno…: lo sanno tutti.

Non importa: a mia figlia ha fatto fare il servizio civile e la scrutatrice”.

Queste sono solo alcune delle più significative frasi che si sono ascoltate, a detta di molti, durante questa campagna elettorale (quella del 2013) fatta di veleni e accuse al vetriolo e che non hanno bisogno di essere commentate. Per non parlare dei fenomeni di malcostume: probabile compravendita di voti; distribuzione pacchi alimentari e buoni spesa, come avveniva ai tempi di Lauro; lavori che sarebbero stati effettuati gratis da imprese il cui titolare sponsorizzava un suo parente candidato; rassicurazioni sui concorsi che verranno.

Dove c’è terreno fertile per una subcultura dominante, purtroppo accade di tutto. Cosa fare per cambiare rotta? Bisogna ripartire da zero, per creare i presupposti di una vera rivoluzione culturale. Per raggiungere l’obiettivo, serve l’apporto di tutte le persone di buona volontà che sentono questo bisogno primario. Occorre, dunque, un lavoro certosino che duri 365 giorni all’anno e non  solo i due-tre mesi che precedono le elezioni. C’è bisogno di un lavoro di ascolto del territorio che servirà, poi, a tradurre in progetto le proposte più interessanti e utili. Cosa che dovrebbero fare i partiti, che, però, da queste parti non esistono più, neanche quelli che vanno per la maggiore in campo nazionale. Quindi ben vengano associazioni e movimenti che hanno voglia di fare. Dulcis in fundo,  serve, comunque, una buona dose di coraggio per attuare tutte le forme pacifiche di proteste immaginabili, capaci di apportare un ritorno utile alla città.  

Veniamo ad oggi 

Nel 2018 c’è stato lo scioglimento del Consiglio comunale che, per Calvizzano, tranne per il Puc (pieno di punti di debolezza: era meglio non realizzarlo per far decidere alla politica il destino urbanistico del proprio paese), come abbiamo più volte scritto è stato una manna dal cielo, poiché, contrariamente a quanto si pensava (perché si è sempre detto che un commissario prefettizio al Comune, anche se bravo, è comunque sempre peggio di un sindaco eletto dal popolo), hanno posto le basi per rivoltare il paese come un calzino. I motivi li abbiamo ampiamente spiegati, per cui non intendiamo ripeterci. Sulla base di quanto accaduto in questi tre anni circa di amministrazione Pirozzi, restiamo ancora scettici sul reale cambiamento, che non è solo quello dei murales, delle panchine letterarie, degli ombrelli colorati prima e dei fiori finti dopo e di una mini villa dedicata al Calcio Napoli che, finora, ha attirato pochi turisti: bisogna puntare sui grandi progetti che coinvolgano anche soggetti privati, ma siamo disposti a fare “mea culpa” non appena vedremo un’impostazione diversa sullo sviluppo del paese, e che la “Rivoluzione” non resti ancora un sogno di pochi. 

P.S. A proposito di ascolto del territorio, gli unici che da qualche anno lo stanno facendo sono i militanti di Movimento Futura: bisogna riconoscergli apertamente il merito di aver stimolato il dibattito politico (che da troppo tempo fa registrare un elettroencefalogramma piatto), sfornando proposte, idee e senza abbattersi, neanche di fronte a un popolo scettico che non crede più nella politica e nei politici.  

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