Don Luigi Ferrillo, il parroco dimenticato

 



Un bel ricordo di Enzo Salatiello che pubblicò a febbraio 2019 sul gruppo social Agorà Calvizzano: ve lo riproponiamo

UN “PADRE NOSTRO” E UNA “AVE MARIA” EXPRESS!

Qualche anno fa, un mattino d’inverno, pochi minuti dopo le otto, uscivo dal tabaccaio a Calvizzano. Con una “stecca” di sigarette sotto il braccio e un accendino in omaggio mi avviavo sul breve percorso che portava al parcheggio di via Galiero. Un conoscente mi salutò ed esclamò: “Uè Veciè ma che ffai? ?’E  ccuminciato a fumà n’ata vota?”. Sorrisi e salutai senza rispondere alzando la mano. Le sigarette erano per mio padre, malato e stanco, prigioniero di un tabagismo cinquantennale che lo aveva portato a una demenza devastante. Voleva ancora fumare, io facevo il “bravo pusher” e gliene davo 5 o 6 al giorno, rispetto alle 30 che voleva lui era già un buon passo. Quando fui sotto il portone che immette verso il parcheggio mi sentii chiamare: “Salatiè aspetta dove vai?”.

-“A Casa vado di fretta e…”

-“No! Che fretta? Stai qui un minuto insieme a me”. Era don Luigi Ferrillo, veniva dalla prima messa dalle suore.

-“Recitiamo un paio di preghiere veloci insieme, su comincia con me: Padre nostro…”. Io mi ritrovai a braccia aperte a recitare insieme al nostro parroco un “Padre Nostro” e una “Ave Maria”, tutti e due lì, sotto quell’androne vecchio. Passò in quei brevissimi secondi di nuovo quel conoscente che si voltò e restò di stucco, guardò e andò via senza parlare ma molto sorpreso. Terminammo le preghiere e mi salutò. Andò via così come faceva lui, con calma e le mani dietro la schiena. Io non sono mai stato uno splendore di fede, anzi, h sempre avuto i miei bravi dubbi sui Testi Sacri e su tutta la sostanza teologica cristiana. Non mi reputo un ateo, ai quali contesto spesso la loro visione “ecumenica” nel voler affibbiare agli altri la loro esperienza del mondo. Ma don Luigi conosceva bene i miei dubbi. Ci conoscevamo e raramente parlavamo ma quelle poche volte erano discorsi molto proficui credo. Io penso che lui volle un po’ “farmi entrare in casa sua”. Ospitarmi senza nessuna pretesa. L’arma potentissima che impiegò fu quella di un invito a un’azione sicuramente non nociva o offensiva nei confronti di nessuno, non mi parlò di nulla, non voleva convincermi ma portarmi insieme a lui in una piccola ma riuscitissima meditazione. Lo vidi l’ultima volta, malato, mi salutò con una mano stringendo la mia, in modo sereno e silenzioso. Accennò a un sorriso. Credo sia questa l’unica vera arma del cristiano, non volerti per forza convincere ma allo stesso tempo, invitarti “alla sua tavola”.

 

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