Edifici antichi da riqualificare per non perdere la memoria storica: Palazzo del Marchesino Carlo Mauri, martire della Rivoluzione partenopea del 1799
E’ ubicato
nell’antico casale di Polvica (oggi compreso nel quartiere napoletano di Chiaiano)
che, nel 1807, con l’istituzione dei Comuni riuniti di Chiaiano-Polvica e Santa
Croce, rientrava amministrativamente nel
Circondario di Marano, a sua volta compreso nel distretto di Pozzuoli
Uscendo dall'antico casale di Polvica o provenendo da
quello di Chiaiano per la via Comunale Margherita e procedendo verso l'abitato
di S. Croce, dopo circa cento metri dal cimitero si trova sul fondo di un viale
privato il Palazzo che fu del Marchesino Carlo Mauri. Posto in posizione arretrata rispetto alla
strada, il palazzo marchesale conserva la sua imponenza. L'ingresso enfatizzato
dal lungo viale che lo precede, conserva, sotto la volta a botte, nel passo che
introduce alle doppie scale laterali, degli affreschi raffiguranti le virtù dei
Mauri. Di fronte era l'accesso, oggi murato, ai giardini posteriori. Nel 1709,
quando era sindaco G. Calore, il Barone Nicola Salinas vendette a don Geronimo
de Aloisio il feudo di Polvica che, a sua volta, il Mauri acquisterà da don
Giuseppe Manni. Fu martire della Rivoluzione Partenopea del 1799 e strenuo
difensore del Castello di Baia, venne condannato a morte come gli altri eroi di
questo triste spaccato di storia. Nella “Nota dei Beni Confiscati ai rei di
Stato, sono riportate tutte le proprietà che il Mauri possedeva nel casale di
Polvica. Di molte di esse, se ne impossessò il suo amministratore, barone De
Concilijs: il palazzo marchesale con la cappella, il cortile della Monica, e il
comprensorio di case dell’Arco di Polvica.
Carlo Mauri descritto dal blogger e
appassionato di storia Giuseppe Peluso
Il patriota Carlo Mauri sta per essere introdotto
nella vicina Piazza Mercato, dove si alza il patibolo che lo afforcherà.
E’ questa la condanna emessa dal tribunale borbonico
che lo ha riconosciuto colpevole di aver favorito e aiutato la Repubblica
Napoletana. Il corteo è già pronto, oltre al Mauri, questa triste giornata
reazionaria prevede che siano eseguite anche le condanne del barone Leopoldo
Renzis di Montanaro, dell’avvocato Nicola Fiorentino, del carmelitano professor
Francesco Saverio Granata e del capitano Carlo Romeo. Sono condotti dalla
Compagnia dei Bianchi, dai delegati della Giustizia e dalla scorta fornita
dalla guarnigione del forte. Inaspettatamente, il condannato Mauri chiede del
comandante del forte, colonnello La Marra. Al suo cospetto riferisce che ha da
manifestare cose interessantissime al Sovrano ed allo stato in merito a notizie
e di pericoli che si preparano contro di essi; perciò chiede la sospensione
della sentenza e la libertà della vita. Carlo Mauri è nato a Buccino, in
provincia di Salerno, nel 1772 ed è marchese di Polvica, un casale oggi compreso
nel quartiere napoletano di Chiaiano.
Il casale di Polvica, fin dal 1631, è concesso in
feudo dal vicerè di Napoli Conte di Monterrey, a Giovan Battista Salernitano;
primo di una serie di sette signori. L’ultimo sarà proprio Carlo, dopo che la
famiglia Mauri entra in possesso del feudo a partire dal 1761.
E’ interessante notare, fra le tante innovazioni che i
francesi apportarono all’apparato amministrativo della Capitale a partire dalla
loro seconda entrata a Napoli nel 1806, un Real Decreto del 1807 che istituisce
di fatto i “Comuni Riuniti di Chiaian, Polvica e santa Croce”.
Dal punto di vista amministrativo, questo nuovo
Comune, che resta autonomo fino al 1926, rientra nel Circondario di Marano che,
a sua volta, è compreso nel Distretto di Pozzuoli.
Già prima dell’arrivo dei napoleonici il giovane
Carlo, sebbene padre di due bambini, percepisse le novità del vento rivoluzionario
che arriva dalla Francia. Partecipa a varie cospirazioni per la libertà e,
quale fervido patriota, lega intese con tutti gli ufficiali di fede
repubblicana inquadrati nell’esercito borbonico. Ben presto è sospettato e poi
condannato; pertanto viene chiuso nelle carceri napoletane dal 1795 fino al 28
luglio 1798. Con la prima occupazione francese, il 23 gennaio 1799 viene
proclamata la Repubblica Partenopea. Il marchese Carlo diviene prima tenente
nella Compagnia di Carlo Mascari e poi capo di battaglione della “Guardia
Nazionale” dove dà una mano alla formazione della milizia civica.
Entra a far parte della municipalità napoletana nei
periodi più pericolosi della repubblica e non dimentica neppure il suo
possedimento di Polvica dove si reca, non più da feudatario ma da libero
cittadino, piantandovi l’albero della libertà in località “Arco di Polvica” e
festeggia pubblicamente la repubblica nella “Taverna del Portone”.
All’avanzata reazionaria dei sanfedisti, guidata dal
cardinale Fabrizio Ruffo, vede in pericolo la libertà; pertanto lascia gli
uffici pubblici e, con trecento giovani valorosi, corre a presidiare la marina
di Miliscola per impedire lo sbarco delle forze inglesi che già occupano le
isole del golfo. Il 13 giugno, Napoli è occupata dai realisti che subito si
spingono oltre, verso Pozzuoli e Baia. Carlo, con i suoi seguaci, si rifugia
all’interno della fortezza di Baia, comandata dal capitano Antonio Sicardi.
Dopo eroica resistenza, il giorno 16 i difensori repubblicani si arrendono,
ricevendo in cambio un salvacondotto dal Conte Giuseppe de Thurn che, da bordo della
fregata “Minerva”, comanda le forze navali assedianti.
A niente gli vale il salvacondotto del quale lo ha
munito l’ammiraglio del Re; malgrado questo viene arrestato e processato.
Ma Carlo è giovane, ardente dei piaceri della vita e
con una giovane e bella moglie; pertanto ricorre a tutti i tentativi per
salvarsi, procurando col danaro l’intervento a suo favore di persone abili in
tali maneggi. Da un segreto carteggio di più mesi dalle prigioni con la moglie,
si ricostruisce il quadro di questi sforzi
e l’avvicendarsi delle speranze e delle disperanze che si fanno sempre più
cupe.
Le lettere del Mauri alla moglie Marianna Fernandez de
Espinosa furono pubblicate da Benedetto Croce nel 1899, in occasione del
centenario della Repubblica Partenopea: lo storico riferisce che non hanno data,
trane le due scritte da Ischia il 7 e 16 luglio 1799.
Risulta da esse che Mauri ha fatto una capitolazione
ed ottenuto un salvacondotto; che spera di poter uscire dal Regno per
transazione o truglio (una procedura utilizzata nel processo penale del Regno
di Napoli), senza che gli si faccia il processo. Cominciato il processo è
accusato da cinque denuncianti di aver piantato l’albero della libertà in
Polvica; per l’accusa grave teme di aver quindici o venti anni di fortezza (non
sospetta dapprima la pena di morte). Spera di essere salvato per mezzo degli inglesi,
i quali comandano in tutto; indica alla moglie i ministri, gli scrivani della
Giunta e i loro amici presso i quali bisogna operare con la persuasione e col
denaro. Le lettere vanno dal luglio al novembre 1799, e son scritte alcune dal
Castello d’Ischia, altre da Castel Samt’Elmo in Napoli.
Ma ormai la sua punizione è già scritta, a nulla
valgono gli appigli e testimoni; l’istanza del giudice borbonico de Guidobaldi
è ferocissima: il marchesino Carlo Mauri è condannato a morte.
Viene portato nel castello del Carmine, luogo
tristemente noto come “anticamera della morte”.
Da una lettera scritta alla Marchesa, da un servitore
della famiglia, apprendiamo che la loro casa feudale è stata saccheggiata da
popolani guidati da altri loro domestici.
L’esecuzione avviene il 14 dicembre e negli ultimi
momenti gli è però concessa una consolazione; l’ordine del re lo condanna a
essere impiccato, invece riceve il favore di essere decollato.
Spiritualmente lo assiste nella morte Gioacchino Puoti,
un sacerdote che resterà sempre devoto al ricordo di quei nobili patrioti
napoletani che egli ha confortato, nell’ultimo passo, leggendo la Bibbia in
quell’ufficio ai condannati. I fratelli della Compagnia dei Bianchi provvedono
alla sua sepoltura nella chiesa di San lazzaro al Lavinaio.
Tutto questo lo riferisce Benedetto Croce, il quale
aggiunge: “Questi particolari fanno sentire gli istanti in cui la carne
mortale di quegli uomini riluttò all’immagine della forca e della mannaia che
li attendeva il piazza del Mercato. Erano pur uomini e non tutti e non in ogni
istante poterono mantenersi pari all’animo col quale avevano scelto la loro via
e consacrato la loro azione a un altissimo ideale pel quale morirono, Il
giudizio morale non deve mai dimenticare il sentimento e la comprensione della
realtà umana”