Depressione, quando l’anima muore e il corpo vive



Solo gli angeli possono cadere, poiché solo costoro riescono a volare!

Il Cristianesimo fin dai suoi albori tracciò sette peccati per i quali non ci sarebbe stato rimedio, detti “Capitali”. Tra cui l’Accidia”. Intesa come tendenza all’inoperosità, all’avversione di una persona verso i compiti che la vita ci assegna, all’abbandono, al nulla. È interessante osservare che, in seguito, questi sette peccati siano stati analizzati, elaborati e indicizzati dalla psicologia degli inizi e da quella moderna come a corrispondenti nevrosi o vere e proprie patologie della personalità umana. L’accidia, la mancanza di fare, capire, vedere, vivere le cose della nostra esistenza, ne è un esempio moderno e doloroso che nella terminologia attuale acquista il nome di “Depressione”. Indagando sotto l’aspetto storico ma anche dal punto di vista della filosofia che, pure si è interessata a questo lato dell’animo umano, vediamo che questo fenomeno si presenta come uno “svuotamento” dell’animo. Ciò significa che nel nostro  mondo interiore uno spessore e una sostanza effettivamente esiste. I sintomi classici o oggettivi sono l’umore non elastico, cioè non più capace di variare allo stimolo esterno: qualsiasi evento positivo non sortisce nessun effetto sul soggetto. Tristezza, demotivazione, disinteresse per molteplici aspetti della vita, assenza o scarsa stima di se stesso, un’idea pessimistica di sé, degli altri e del futuro. Questa patologia per poter attaccare necessita che il soggetto in questione abbia uno spessore umano e una sensibilità tali da porlo di fronte al pericolo della perdita. L’eziopatologia individua le cause scatenanti sotto l’aspetto personale in gravi lutti, eventi disastrosi, sconfitte determinanti e altre esperienze negative che in soggetti predisposti ne conclama la malattia. Ma anche sotto l’aspetto sociale esistono concause importanti, la letteratura scientifica, spiega che una delle possibili origini affonda nella Rivoluzione Industriale, con l’avvento delle macchine e dell’automazione dei mezzi e tecniche di produzione di beni, l’uomo abbia fatto un passo indietro sulla scala gerarchica e strategica dell’importanza sociale, cedendo così il primo posto. Nel XIX secolo, con le prime ondate di licenziamenti, milioni di uomini erano preda di alcol e farmaci per “tirarsi su” come si diceva a quei tempi. Purtroppo, aveva ragione anche Nietzsche che, aveva individuato nella “morte dello scopo dell’uomo” di fronte alla vita come di un abisso spaventoso nero e senza confini in cui l’uomo era caduto. Lo svuotamento dello scopo della vita è un veleno che pregiudica la capacità nell’individuo di razionalizzarne il significato. Il trattamento terapeutico è un’azione combinata di psicoterapia e farmacologica. Quest’ultima tratta solo la sintomatologia fisica che spesso si presenta attraverso disturbi severi che pregiudicano la vita affettiva, sociale e lavorativa della persona come astenia muscolare, sonnolenza diurna e insonnia notturna, senso di isolamento, abbassamento della libido e dolori alla schiena o alla testa. Poi c’è la parte psicoterapeutica, molto importante ma complementare ad altri fattori come la volontà dell’individuo di farcela che troppo spesso manca. Bisognerebbe stare più attenti alle avvisaglie della patologia, ma ci accorgiamo che il discorso non regge, la malattia, spesso è confusa con malesseri innocui e passeggeri e presa tragicamente sottogamba poiché non siamo specialisti. In alcuni casi, si risolve con il suicidio, ma qui per fortuna, parliamo di tunnel mostruosi senza fine molto gravi e complessi. La nebbia grigia e fuligginosa che avvolge l’animo della persona depressa è appiccicosa come una melassa. Sta anche a noi toglierne un po’, dobbiamo appiccicarci alle mani un po’ di sostanza cattiva e far sentire alla persona l’amore, l’affetto, la tenerezza e la comprensione soprattutto, scrostargliela dagli occhi, affinché le lacrime fuoriescano e portino fuori il “mostro”. I parenti di queste persone devono esserne anche loro istruiti, aiutati e fortificati da specialisti. Insomma, dal tunnel della depressione si può uscire, ma occorre pazienza e tanta buona volontà. 

Enzo Salatiello




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