Se fosse dipeso da noi al
poeta-cantante avremmo intitolato il tratto calvizzanese prospiciente l’Alveo Camaldoli, perché Otello
è simbolo civile di una città dal volto umano
E’ dal 2009 che, come
calvizzanoweb, tentiamo di far intitolare una strada o una piazza del paese in
onore alla memoria di Otello Di Maro, un artista che scriveva poesie e canzoni
ed è morto nella più squallida miseria. La nostra parte l’abbiamo fatta sia con
l’ex sindaco Granata che con l’attuale amministrazione. Entrambe le Commissioni
toponomastiche hanno tenuto conto della nostra proposta, ma, per un motivo o
per un altro, alla fine non si è mai concretizzata. Quest’amministrazione ha
deciso di dedicare la strada prospiciente all’Alveo Camaldoli, l’unica strada
disponibile per motivi logistici a un’intitolazione, a Carlo di Borbone. Vero
promotore di quest’iniziativa è stato l’ex
vicesindaco, oggi sindaco facente funzioni, Lorenzo Grasso appassionato neo
borbonico. Con tutto il rispetto per i nostalgici del periodo borbonico, noi l’avremmo
intitolata al poeta-cantante Otello Di Maro, come simbolo civile di una città
umana.
Ci sono uomini
“minori” che fanno grande la storia dell’umanità. Minori perché vivono sotto il
muro, hanno un’ombra timida. Minori perché sono spezzati in due dal dolore e si
trascinano nella vita. Minori perché non li nota nessuno, né prima né dopo la
morte. Eppure, a volte, hanno un cuore grande. E – come detto – fanno grande la
vita. In questi giorni ricorre il diciannovesimo anniversario della morte di
Otello. Chi è Otello? Era un uomo di Calvizzano. La notte del 24 dicembre 1998,
mentre tutti cenavano in compagnia, proprio quando la maggior parte della gente
saluta la nascita di Gesù, azzannando un capitone, Otello salì su una sedia,
strinse una corda ad un gancio e si impiccò. Raggiunse così la madre, il suo
unico affetto, morta da poco, dopo aver cresciuto quel ragazzo, figlio della
guerra, lasciato in “dono” da un militare americano che prima di partire la
mise incinta.
Otello e la mamma hanno vissuto di stenti. Una povertà asciutta e tesa, quotidiana. Dignitosa ma irrecuperabile. Otello e la mamma erano una famiglia: lui si prendeva cura di lei, e lei di lui.
Lui scriveva poesie e canzoni, amava definirsi un artista e, quando la cupezza della sua vita ombrosa non lo attraversava, sapeva farsi voler bene dagli amici da marciapiede. Quando la mamma se ne è andata, a Otello è morto il sorriso sulle labbra. Ha smesso di uscire e si è nutrito di stenti. La sera della vigilia di Natale ha aperto una scatoletta di sardine, l’ha mangiata e poi ha deciso. Gesù nasce e io muoio. Ma sì.
In occasione dell’anniversario di quel suicidio, che ci parla ancora, Calvizzanoweb ha voluto ricordare la memoria di quell’uomo, e, con essa, quella di tutto uno spicchio di umanità minore, che ci vive intorno, di cui non ci accorgiamo, e che quando intravediamo ci disturba, ci rovina la festa, ci fa piombare, in un colpo, nel groviglio di paure e sensi di colpa del nostro tempo. Noi vogliamo batterla questa paura di guardare negli occhi chi è indietro. La miseria, la solitudine, la disperazione bisogna portarle addosso. Tutti. Bisogna che ci avvolga, come il cappotto grosso del nonno che fa da nascondiglio ai nipoti. Siamo tutti nello stesso girone. Se impariamo a guardare in faccia quelli che soffrono, forse possiamo capirli. Capirci. E sentirli. E farli sentire. Con Otello non l’abbiamo potuto fare, ma potremmo portare il carico di qualcun altro, se imparassimo a guardare. Per questo, proprio nell’imminenza dei giorni di Natale, rinnoviamo la proposta e un appello: facciamo in modo che prima o poi si concretizzi qualcosa per Otello, per ricordarci che è più faticoso e doloroso e duro essere uomini “minori” che uomini celebrati. Tra tanti politici, condottieri, scrittori, filosofi, inventori, santi, re, regine, principi e principesse, fiori, piante, fiumi e capitali europee, troviamo lo spazio per dedicare qualcosa a un uomo vero, solo, morto povero e per amore. Quello che non aveva.
Otello e la mamma hanno vissuto di stenti. Una povertà asciutta e tesa, quotidiana. Dignitosa ma irrecuperabile. Otello e la mamma erano una famiglia: lui si prendeva cura di lei, e lei di lui.
Lui scriveva poesie e canzoni, amava definirsi un artista e, quando la cupezza della sua vita ombrosa non lo attraversava, sapeva farsi voler bene dagli amici da marciapiede. Quando la mamma se ne è andata, a Otello è morto il sorriso sulle labbra. Ha smesso di uscire e si è nutrito di stenti. La sera della vigilia di Natale ha aperto una scatoletta di sardine, l’ha mangiata e poi ha deciso. Gesù nasce e io muoio. Ma sì.
In occasione dell’anniversario di quel suicidio, che ci parla ancora, Calvizzanoweb ha voluto ricordare la memoria di quell’uomo, e, con essa, quella di tutto uno spicchio di umanità minore, che ci vive intorno, di cui non ci accorgiamo, e che quando intravediamo ci disturba, ci rovina la festa, ci fa piombare, in un colpo, nel groviglio di paure e sensi di colpa del nostro tempo. Noi vogliamo batterla questa paura di guardare negli occhi chi è indietro. La miseria, la solitudine, la disperazione bisogna portarle addosso. Tutti. Bisogna che ci avvolga, come il cappotto grosso del nonno che fa da nascondiglio ai nipoti. Siamo tutti nello stesso girone. Se impariamo a guardare in faccia quelli che soffrono, forse possiamo capirli. Capirci. E sentirli. E farli sentire. Con Otello non l’abbiamo potuto fare, ma potremmo portare il carico di qualcun altro, se imparassimo a guardare. Per questo, proprio nell’imminenza dei giorni di Natale, rinnoviamo la proposta e un appello: facciamo in modo che prima o poi si concretizzi qualcosa per Otello, per ricordarci che è più faticoso e doloroso e duro essere uomini “minori” che uomini celebrati. Tra tanti politici, condottieri, scrittori, filosofi, inventori, santi, re, regine, principi e principesse, fiori, piante, fiumi e capitali europee, troviamo lo spazio per dedicare qualcosa a un uomo vero, solo, morto povero e per amore. Quello che non aveva.
Ecco una delle sue numerose liriche
Vergogna e Paura
Ho vergogna
di essere solo.
Solo
contro il mio
orgoglio.
Ho paura
dei miei momenti.
Paura
di non riconoscermi.
Ho vergogna di provar
paura
quando
un impulso di ‘essermi’
mi sfida.
Come ho paura
di provar vergogna
allorché potrei
piangere
su di una spalla
amica!