Una nuova poesia della scrittrice Di Marino dedicata alla sua città con una recensione speciale

Lella Di Marino tra Salatiello e Flora Del Prete delegata alla Cultura: foto scattata ad agosto 2016 in occasione dell'evento di presentazione del libro di poesie della scrittrice
La poetessa: “Questa mia poesia, la prima in napoletano, è per te sindaco: dovevo leggerla la sera dell’evento di presentazione del libro “Il paese delle formiche”, ma, per vari motivi, non è stato possibile. Quello che ci legava erano i ricordi di un vicolo, via Ritiro, dove entrambi siamo cresciuti e l'amore per questo paese. Ho impresso il tuo sorriso la sera dell'evento, purtroppo non siamo riusciti neanche a salutarci, ma, per un attimo, i nostri occhi si sono incrociati. I miei ti dicevano:"Grazie per essere venuto", i tuoi erano pieni di contentezza e soddisfazione ed ho voluto forse immaginare, che mi dicessero:"Brava".
Dovevo darti la tua copia della favola e la pergamena di ringraziamento, ma non sono riuscita neanche in quello: li consegnerò alla tua famiglia e porterò una copia al vice sindaco  che fa le tue funzioni. A lui affiderò simbolicamente questo "paese delle formiche" che vivo da lontano, ma che porto sempre nel mio cuore. L'anno scorso, proprio in questi giorni, ci siamo visti dalle "suore del Ritiro" per la presentazione della mia raccolta di poesie e tu mi hai detto:"Sono qui senza fascia poiché sono venuto dalla mia amica, oltre che dall'artista": non potevi dirmi parole più belle. Ora, io, da amica,  ti dico:"Ovunque tu sia, sii felice"

CALVIZZANO MIO

Quanto si’ bello Calvizzano mio

e quanno te penzo, quanta malincunia! 

D'int 'a ‘sti strade ce sta 'o core mio

e si te dicesse 'o cuntrario fosse ‘na buscìa. 

Tu stipe ‘e cose ca io tengo cchiù care:

'a famiglia, 'a fanciullezza, 'a spensieratezza... 

Ma ‘o ssaje ca me manca assaie? 

'E fuoss ca nun veco cchiù! 

'E fuosse? 

Quacche rùn o diciarrà ma chesta è pazza! 

Sò pazza sì, nun è ‘na nuvità. 

Ma tu vuò mettere 'a gioia e te fermà?

Mentre ralliente pe’ scanzà e care’

Te guarde attuorne e vid quaccheduno

Faie ‘nu surriso, scagna ‘na parola

Chesto, poca gente 'o pò capi’, sulo

chi tene 'a capa pazza comme 'a mia.

Stasera 'a ognuno e vuje nu cunsiglio voglio dà:

amate stu paese, pigliatevenne cura

pecchè quanne staje luntano

'a vita fa cchiù paura. 

Quanto si bello Calvizzano mio

e quanno te penzo, quanta malincunia!

Lella Di Marino (correzioni in vernacolo del poeta Fabrizio Ciccarelli)

RECENSIONE (a cura di Enzo Salatiello, critico letterario)

Questo componimento, molto struggente e carico di tenerezza si presenta stilisticamente sciolto e dalla metrica libera. Sotto l’aspetto prosodonico notiamo un ritmo abbastanza scorrevole, La Di Marino usa la lingua napoletana che permette sempre una certa musicalità dei versi. Mentre la suddivisione isocronica risulta piuttosto “musicale”. La poetessa, nata a Calvizzano ma vissuta nel profondo Nord Italia, ha un dialogo intimo con le strade, le case e le immagini del suo paese rivolgendosi come a una persona amata. Inizia con un distico: La Di Marino dichiara senza mezzi termini il soggetto e la visione dello stesso contenuti nella lirica, Calvizzano è bello e mette malinconia nei pensieri di chi non ci vive. Sono questi due elementi caratterizzati da un’analisi letteraria “soggettiva” (è bello) e “riflessiva” (la malinconia). Il secondo distico richiama e rafforza il primo con una bella metafora, tipica della Di Marino, maestra nell’evocare formidabili immagini retoriche che azionano il pensiero empatico di chi la legge: nelle strade di Calvizzano lei ha lasciato il cuore, la sfera dei sentimenti è sottochiave. A casa sua. Poi procede col dialogo con Calvizzano come se si rivolgesse a un amore adolescenziale: “Ti amo, il mio cuore è tuo e dire il contrario significa mentire”. Il trittico (non la consideriamo terzina a causa della metrica sciolta) di versi che segue la poetessa mette in atto un magnifico sortilegio: ella trasforma un paese in uno scrigno di cose preziose. Il suo portagioielli! Dentro non vi sono monili o pietre preziose ma, la sua vita, la sua infanzia, la famiglia, la spensieratezza degli anni adolescenziali. Ella continua a parlare col paesino natio come se fosse una persona. “Ma ‘o ssajecame manca assaie?”  È questa una tecnica della Di Marino che, riesce a creare metamorfosi antropomorfe e zoomorfe di oggetti e cose rendendoli vivi e interattivi. La Calvizzano della Di Marino la si può vedere attraverso gli occhi della poetessa perché la poesia, oltre ad avere un carico emotivo molto poderoso che mette in agitazione le corde più nascoste del nostro animo, permette anche di visionarne le strade, i tetti delle case, i giochi per strada di bambini, tutto questo grazie alla duplice funzione narrativa e descrittiva che caratterizza l’andamento della lirica. Vediamo qui la prova dell’assoluta libertà stilistica tipica delle composizioni di scuola moderna, seguono cinque versi secchi, finiti. Separati. Dobbiamo tenere presente che la Calvizzano di qualche anno fa, tipico paesino del Meridione, carico di fascino neorealistico, di una realtà caratterizzata da un vissuto quotidiano ben raccontato dai grandi scrittori veristi, viene qui rappresentata dalla Di Marino in una maniera struggente con un supporto “pasoliniano”. Le borgate di Pier Paolo Pasolini ne sono un esempio. La realtà vera, quella fatta di verità palesi e anche di strade non perfette, del resto, la Calvizzano della poetessa è reale, come reali sono tutti gli sfondi e le ambientazioni delle sue altre opere. Infatti, l’immagine delle stradine accidentate di Calvizzano, fanno il paio in modo molto poetico con la celebre “carta sporca” di Pino Daniele. Si rappresenta il vero e lo si porta nei cuori di chi legge. Nella descrizione di queste strade, la poetessa inventa un prodigio, tipico della gente del Sud, un piccolo colpo di genio: per evitare qualche buca, si rallenta il passo e si ha la possibilità di scorgere meglio la gente, riconoscerla, parlare con le persone. Ecco il quadro completo: ella non sottolinea affatto il problema ma, l’elemento necessario allo spunto riflessivo. L’empatia che coinvolge le persone al suo paese. La Di Marino, come si è detto vive al Nord. Strade più o meno perfette, testa bassa e remota probabilità di scambio di parole. Lei ci spiega la sua visione: pochi possono cogliere l’aspetto poetico di questa immagine delle buche, che diventano parte di un processo positivo. Qui c’è un richiamo un po’ ironico, simpatico, al rapporto che si ha con la vita di tutti i giorni al Sud. La poetessa si auto attribuisce un pizzico di follia nel rivelare il suo pensiero su questo elemento. La penultima strofa è per tutti noi, lettori e di Calvizzano, è un consiglio: amiamo il nostro paese, curiamolo, difendiamolo da ogni pericolo, detto da una persona che vive lontano, acquista un importante significato. Lontano dalle proprie stradine e dalle persone che conosci dalla nascita, la vita fa paura. Il piccolo colpo a effetto arriva con la fine della lirica, come dicevamo in precedenza, la struttura del componimento ben si presta alla musicalità di un ritmo sapientemente miscelato ma ora la chiave che La Di Marino ha usato per aprire la poesia, (Quanto si’bello Calvizzano mio / e quanno te penzo, quanta malincunia!) la usa per chiuderla, in tipico stile musicale. Sembra il ritornello di una bella canzone. Lella Di Marino è una donna di grande successo, a dispetto della sua aria semplice e disponibile con tutti nasconde un poderoso sistema di pensiero creativo che l’ha portata negli anni ad affermarsi in più ambiti. Poliedrica e iperattiva nell’accezione positiva del termine, la Di Marino realizza opere “multisettoriali” della letteratura: lei è poetessa, favolista, scrittrice di romanzi, aforista e imprenditrice di sé stessa! Cosa vende? Non nel senso stretto del termine, diremmo: vende bellezza! Grazie Lella, è davvero una bellissima lirica la tua, canti Calvizzano con immagini e sensazioni meravigliose.

Enzo Salatiello



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