Choc e dolore in città per la morte di Ferdinando Pecchia, trentanovenne idraulico ammazzato come un boss
Che avrà fatto di male
Ferdinando Pecchia, trentanovenne calvizzanese, per essere ucciso come un boss?
Sono in tanti a chiederselo: parenti, conoscenti della famiglia e amici. Tutti quelli
che abbiamo interpellato lo conoscono come un brava persona, un gran lavoratore
(faceva l’idraulico), educato e sempre
sorridente, ma soprattutto di buoni sentimenti. Mamma calvizzanese, padre
originario di Casalnuovo, operaio dell’Alfa Sud in pensione: persone perbene
con la P maiuscola. Cattolici praticanti: stavano entrambi alla processione del
Corpus Domini, quando hanno ammazzato il loro figliolo. Abitano nel parco delle
Mimose da diversi anni, il cui ingresso si trova proprio a fianco al bar Rumba (ubicato
in via Pietro Nenni, di fronte alla costruenda villa comunale), all’interno del
quale è avvenuto l’omicidio. Una sorella di Ferdinando abita a Milano ed è
sposata con un carabiniere, l’altra abita a Calvizzano. Lui abitava a Marano ed
era separato dalla moglie, ma, nonostante tutto, aveva un ottimo rapporto con i
suoi tre figli. Da un po’ di tempo la vita di Ferdinando era cambiata: pare
avesse iniziato a frequentare persone pericolose. Sull’omicidio, infatti, indaga
la direzione distrettuale antimafia.
Le piste principali seguite sarebbero le frequentazioni sospette
dell’ammazzato, ma non si escluderebbe anche quella passionale.
Ricordiamo che sul
posto, oltre ai carabinieri della Compagnia di Giugliano, diretti dal capitano Antonio De
Lise, c’erano anche quelli della locale caserma di Calvizzano, al comando del
Maresciallo Carmelo Firetto e due vigili urbani del Comune di Calvizzano (il
vicecomandante Raffaele Ferrillo e Giovanni Ferrillo) ancora i servizio, poiché
avevano appena terminato di lavorare al seguito della processione del Corpus
Domini.