Due gay e una capanna: ancora diffidenza in casa nostra




Ivano e Marco (i nomi sono di fantasia per ragioni di privacy) sono innamorati. La loro relazione dura da diversi anni. Hanno più o meno la stessa età (intorno alla cinquantina), un viso da persone perbene e un fisico asciutto. Li si vede poco insieme, poiché uno lavora e l’altro sta a casa a badare alle faccende domestiche, ma chi li conosce sa che il loro è un legame forte e senza pregiudizi. La loro storia non è nota a molti: forse nemmeno a coloro che abitano nello stesso palazzo di via Aldo Moro, zona cooperative. Qualcuno sospetta, ma si fa i fatti suoi. Qualcun altro sa e li condanna, disapprovando la loro scelta coraggiosa. Mentre Ivano e Marco sono molto riservati, Giovanni e Mario (anche questi sono nomi di fantasia) non stupiscono più chi li vede tutti i giorni stendere i panni sul balcone di uno stabile in viale della Resistenza. Sono sui quarant’anni, ma vivono la loro condizione (a detta di chi li ha visti) ancora con un certo imbarazzo.
Starebbe soffrendo, invece, una forte depressione Elvira (nome di fantasia) da quando la sua compagna Angela (nome di fantasia) l’ha lasciata, per rifarsi una nuova vita.
Piccole storie che a Roma, Bologna o Milano passano inosservate ma che, dalle nostre parti, provocano ancora stupore, curiosità e, in alcuni, indignazione. Forse è per questo che da noi gli omosessuali preferiscono in larga parte rimanere nell’ombra, per non sentirsi vittime di inopportuni giudizi e pregiudizi. Eppure ce ne sono tanti: basta recarsi in qualche locale gay dei dintorni o del capoluogo per rendersene conto. Probabilmente è vero che alcuni ambienti di provincia non sono ancora del tutto pronti ad affrontare con rispetto quelle che tantissimi definiscono le “nuove normalità”.

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