Un anno dopo, tutto dimenticato

Un anno fa, in questo periodo, con una estate già alta, con i lidi pieni e il mare meno scuro, i sicari del clan dei casalesi fecero irruzione su una spiaggia del litorale domizio e uccisero Raffaele Granata. Una scarica di proiettili per zittire un imprenditore balneare che aveva avuto il coraggio di dire no alle pressanti richieste di soldi dei clan. Nella sua lucida ingenuità, Granata pensava di non dover nulla a quei criminali. I soldi che incassava con il lido, se e quando li incassava, dovevano servire per i suoi lavoratori, per la sua famiglia, per la sua attività. Non certo per portare denaro nelle casse dei casalesi. Quella che, nella sua semplicità, è una ovvietà, sul litorale domizio, come in tutta la provincia di Napoli, come al sud, come in qualunque posto dove domina la criminalità organizzata, è diventato un affronto. Non si può tollerare che qualcuno alzi la testa e dica no. Così i killer sono arrivati nel lido di prima mattina, hanno cercato Raffaele e lo hanno crivellato di colpi, lasciandolo a terra esangue, a fare da simbolo. Non è morto per i soldi. E’ morto per dare il segnale. Se qualcuno si azzarda a dire di no fa la stessa fine. Uccidere significa questo per la camorra. Quasi mai si elimina un pericolo reale. Si ammazza per “rappresentare” la paura. Per questo noi dovremmo avere la stessa forza di usare i simboli. Se loro usano Granata per dire agli altri operatori turistici “farete la stessa fine”, noi dovremmo usare Granata per dire alla camorra “se non si è piegato lui non ci pieghiamo nemmeno noi”.
In realtà, ancora una volta, la camorra è stata più forte. Dalla morte di Raffaele non risulta che ci sia stato alcun altro segno di ribellione sul litorale. Nessuna sparatoria, nessun incendio, nessun attentato, nessun fatto di sangue. Dopo l’assassinio di Granata, calma piatta. Il che, conoscendo i codici della criminalità, vuol dire che tutti hanno capito il messaggio e pagano quello che devono pagare? Non c’è segnale di guerra. La camorra ha lanciato il suo messaggio e tutti hanno annuito? Inutile dire che in questo modo, tutti, anche quelli che si sono sinceramente costernati per la morte di quell’uomo fiero, hanno ucciso Granata per la seconda volta. Ma alla fine, che importa? Questa terra – è la sua fortuna ed è la sua maledizione – digerisce tutto. Riesce a passare sopra a sangue e morte, a racket e violenze, a soprusi e ingiustizie, al mare come una fogna e all’abusivismo edilizio, all’usura e alla droga, come se nulla fosse. Ormai ci siamo assuefatti. Conviviamo con l’orrore facendo finta che non ci sia. E a poco, purtroppo, serve fare qualche tentativo di impegno sulla legalità, nelle piazze, nelle scuole. E’ il rituale dei soliti noti: qualche associazione, qualche insegnante. Una messa stanca a cui si va perché si deve andare ma a cui non crede più nessuno.
Ciò che, dopo un anno, rimane della morte di Raffaele Granata è il dolore privato, quello della moglie, quello dei figli, tra cui il sindaco di Calvizzano Giuseppe, quello dei fratelli, tra cui l’ex assessore di Marano Mario. Un dolore personale e profondo che si rinnova ad ogni anniversario, come quelle cicatrici rimarginate che però tornano a pulsare quando sale l’umidità.

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