Lettera di un padre disperato al figlio drogato, in carcere

Antonio Migliaccio, imprenditore, residente a Calvizzano, si aggrappa all’ultima speranza per tentare di recuperare il figlio tossicodipendente: avrebbe potuto evitargli il carcere ma ha preferito farlo arrestare per salvargli la vita. E adesso gli manda una missiva struggente scritta col “cuore”, che vuole rendere pubblica come monito ai ragazzi.

Quando ha scritto la lettera, Antonio Migliaccio, molto conosciuto a Calvizzano, poiché ha dissetato la città in tempi di crisi idrica con le sue autobotti, ha pianto tutta la notte e, ancora oggi, non riesce a rassegnarsi, pensando alla brutta fine che stava facendo il figlio. Oggi è più sereno, perché è convinto che questi anni di carcere gli stiano facendo bene e, quando uscirà, avrà ancora del tempo per recuperare. Il figlio sotto l’effetto del crack, una delle più micidiali e devastanti droghe in circolazione, ne ha combinato di cotte e di crude: è stato arrestato diverse volte ed è stato anche in diverse comunità.
“Mi sono dissanguato economicamente – afferma Migliaccio – per farlo curare in diverse comunità sparse in tutt’Italia, ma non c’è stato nulla da fare. L’ho anche riempito di botte, ma è servito solo a farmi il sangue amaro. Adesso, penso che il carcere sia l’ultimo rimedio: ho dovuto lottare anche contro la volontà delle mie figlie e dei miei parenti che volevano che io avessi fatto di tutto per farlo uscire, ma non c’è stato nulla da fare perché ho indurito il cuore”.
Ecco uno stralcio della lettera
“La vita ci propone quotidianamente una miriade di difficoltà. Una continua e perenne lotta che chiede coraggio. Tante volte, addormentandomi la sera, mi sento afflitto, affranto e scoraggiato. Ho chiesto spesso a Dio se vivere fosse la cosa giusta o meno. Sono giunto alla conclusione, appunto, che ci vuole coraggio a vivere, ci vuole coraggio a rompere il nostro silenzio piuttosto che fuggire da questa cruda realtà, ma ci vuole anche più coraggio a rimanere nel giusto piuttosto che sbagliare.
Ripercorro con la mente il film della nostra vita ed il nastro mi porta indietro di 32 anni. Ho cercato fin dal primo giorno in cui sei venuto al mondo di insegnarti sani principi, di guidarti per la diritta via, di aiutarti a non sbagliare ma con il tuo ostinarti a voler seguire strade che non appartengono alla nostra famiglia hai infranto tutti i miei sogni. Quando per la prima volta hai aperto gli occhi alla vita, quando per la prima volta hai pianto, mi è sembrato di vivere un sogno. Una comune realtà ma con una magia infinita, eri mio figlio, eri qualcosa di straordinario, un dono che la vita mi aveva fatto e che per tanto dovevo custodire gelosamente. Eri il mio orgoglio, la mia speranza, il figlio sul quale fantasticavo già da quando eri in pancia di mamma. Speravo di investire i maledetti soldi che ho praticamente buttato, magari, in qualche attività tutta per te o magari, pensaci, avresti potuto comprare una casetta al mare, in montagna…non so…avrei comprato anche delle sciocchezze ma la fine che hai fatto fare a quel denaro usato per la droga è vergognoso.
Hai vanificato tutti i miei sacrifici ma quel che è peggio è che per anni hai cercato di comprare la mia fiducia a costo di tremende bugie. Mi hai sfiancato, mi hai ucciso come padre, stavi facendomi crollare in un baratro tremendo, un labirinto senza uscite.
Molti hanno criticato la mia scelta ed hanno puntato il dito ma non sanno quanto è difficile avere un figlio tossicodipendente. Sai quante volte avrei voluto dire mio figlio è in Spagna, in Francia, alle Maldive a fare una bella vacanza? Avrei preferito addirittura dire “mio figlio è in ospedale” e invece? Sai quanto può far male ad un padre dover dire “mio figlio è in comunità”?
Non lo sai perché assumendo tutte quelle schifezze ti sei precluso fino ad ora l’immensa gioia di essere chiamato papà. Ho trascorso intere giornate a farmi esami di coscienza e oggi, forse, con grande sofferenza devo ammettere i mie sbagli, le mie colpe. In molti penseranno che il mio sbaglio consista nell’averti portato di mia spontanea volontà in carcere, un posto che tutti vedono come un castigo. Il mio sbaglio, invece, è stato un altro e cioè quello di farti credere che, essendo mio figlio, saresti potuto divenire la mia copia conforme, senza considerare il fatto che ogni persona è unica nel suo genere. Ti ho, probabilmente, caricato di responsabilità…eri bambino ed eri già grande poi sei diventato grande e hai cominciato a sbagliare come un bambino. Oggi penso che se tu avessi avuto un cancro ti avrei portato nella migliore clinica e ti avrei affidato alle cure dei migliori specialisti. Ma il tuo cancro hai scelto tu d’averlo ed io da buon padre ho l’onere di provvedere alla tua terapia. Non guardare al carcere come un castigo, una punizione ma come un posto all’interno del quale sei entrato da malato e ne uscirai guarito. Non fuggire in cerca di libertà quando la più grande prigione è dentro di te. Non essere triste, ricorda che la vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo. Alla mia età sogno ancora un futuro. I mio futuro siete voi, tu e le tue sorelle. Ho voglia di essere chiamato nonno anche dai tuoi bambini e se ho compiuto questo gesto è solo perché credo e ho sempre creduto in te e poi perché sono convinto che tu possa solo in questo modo cancellare il tuo passato.
Un giorno dovrai essere tu direttamente a dire ai tuoi figli: “se ti droghi ti capisco perché il mondo fa schifo, se non lo fai ti ammiro perché sei in grado di combatterlo”.
Tu, forse, non mi crederai ma io sto aspettando te. Aspetto te per ricominciare, per ricostruire la nostra famiglia, per insegnarti i trucchi del nostro lavoro. Aspetto te che bussi alla porta di casa mia. Ogni sera, a letto, tiro un sospiro di sollievo, so che sei chiuso in quattro squallide e fredde mura, ma sei al sicuro. So che non verrà a bussare la polizia per darmi chissà quale tragica notizia. Preferisco saperti lì piuttosto che chiedermi e non sapere in quale angolo della strada avresti potuto trovare la morte. Non c’è neanche un termine per un genitore che rimane senza figli. Se perdi i genitori ti chiameranno orfano, se perdi una moglie o un marito ti chiameranno vedovo, ma se perdi un figlio, cosa sei?
Quando sono stato costretto a denunciarti l’ho fatto solo perché ho capito che è meglio una disperata fine che una disperazione senza fine. Se non sono venuto ancora a colloquio è perché so, che per fortuna di Dio, sei ancora vivo, puoi riprendere in mano la tua vita, quella vita che stavi buttando via. quella vita che stavi consumando troppo velocemente quasi fosse una sigaretta che brucia troppo in fretta.
Se la tua mamma fosse stata ancora viva non so se avrebbe sostenuto la mia scelta, ma credo che Dio tracci il nostro percorso di vita e delinei tutto nel giusto. Il disegno è chiaro. Ha sacrificato lei per salvare te. Quando sei triste pensa a lei, lei sicuramente sorride per ogni tua vittoria, per ogni tuo gesto positivo, per ogni passo verso la salvezza.
Oggi sono orgoglioso di te perché so che non mi deluderai più, in te ho riposto tutte le mie speranze, ma ti prego non tradire la mia fiducia. Se non trovi una ragione per vivere, trovane almeno una per non morire, perché uccidersi è il coraggio di un attimo, vivere è il coraggio di sempre e io confido in questo tuo coraggio”.

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