Ho fatto un sogno strano, la scorsa notte. C’era un
grande salone, mezzo in penombra, mezzo illuminato da riflettori che puntavano
sempre nella stessa direzione. Al centro, in piedi su una cassa di legno, un
uomo vestito di tutto punto parlava con voce tonante. Faceva la morale a tutti:
onestà, coerenza, rigore… parole pesanti come macigni, pronunciate con la
convinzione di chi si crede specchio senza macchia.
Tra la folla, però, c’era un uomo seduto in disparte.
Si chiamava Pasqualino. Nessuno lo guardava, ma lui osservava tutti. Con il suo
sorrisetto paziente da chi ha visto più di quanto dica. Teneva in mano un
taccuino consumato, pieno di appunti, orari, nomi e piccoli favori.
A un certo punto, come nei sogni succede, il tempo si
piega. Ecco che sul pulpito sale proprio lui, Pasqualino. Non parla, non
accusa, non si sfoga. Si limita ad aprire il taccuino e voltare lentamente le
pagine. Ogni foglio che gira, un riflettore si spegne. Ogni nome sottolineato,
una voce si affievolisce.
Il grande moralista, quello che prima arringava la
folla, ora è lì, impallidito, a fissare quelle pagine come fossero specchi. Non
dice più nulla. Solo un cenno di capo, come chi riconosce un vecchio debito.
Poi Pasqualino chiude il taccuino, si rimette a sedere
e il sogno finisce.
Mi sono svegliato con una sola domanda in testa:
e se un giorno parlasse davvero, Pasqualino?
(Pasqualino è, ovviamente, un nome di fantasia).