Marano prigioniera del tempo: la città dove la politica non dura

 Continuano le riflessioni del nostro opinionista Giuseppe Cerullo

Marano è un comune che sembra vivere più nel tempo dei commissariamenti che in quello della politica. Cinque scioglimenti per infiltrazioni camorristiche, l’ultimo nel 2021, hanno segnato la vita della città come campane che scandiscono un destino ineluttabile. Non è un incidente, non è un’emergenza passeggera: è ormai parte strutturale della sua storia amministrativa. E questa ciclicità ha un prezzo altissimo, che non è fatto solo di procedure interrotte o di giunte azzerate, ma di una discontinuità politica che impedisce qualsiasi visione di lungo periodo. Ogni volta che si insedia un’amministrazione, la possibilità di lavorare su progetti di sviluppo è limitata dal timore che, da un momento all’altro, arrivi lo scioglimento. Ogni atto può essere interpretato come sospetto, ogni scelta rischia di diventare un varco per accuse o indagini. La politica, così, si ritrae: rinuncia al coraggio di decidere, rifugiandosi in una prudenza che diventa immobilismo. Quando la scena passa ai commissari, il quadro non cambia. Il loro ruolo non è progettare il futuro, ma garantire la legalità dell’ordinario. Non rispondono ai cittadini, non devono inseguire il consenso, non hanno motivo di immaginare opere e programmi che vadano oltre la durata del loro mandato. La loro presenza diventa così una parentesi sospesa, in cui il tempo si ferma: tutto è sorveglianza, nulla è prospettiva.

Il risultato è una città che non cresce, che vive in un eterno presente fatto di attese e ripartenze mancate. Marano alterna sindaci timorosi e commissari guardinghi, senza mai trovare la continuità necessaria per immaginare il proprio futuro. La legalità, sacrosanta e necessaria, viene garantita non come condizione per lo sviluppo, ma come scudo dell’immobilismo. E mentre gli orologi dei commissariamenti continuano a scandire la loro cadenza, ciò che manca è proprio il tempo di una politica stabile, capace di assumersi il rischio di costruire davvero.

Giuseppe Cerullo

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