La credibilità della professione si difende con atti, non con silenzi. L’Ordine dei Giornalisti batta un colpo
Lo scioglimento del consiglio comunale di Marano ha riacceso il consueto coro di voci scomposte, alimentando vecchie ossessioni personali e antiche frustrazioni travestite da informazione.
Ancora una volta, un personaggio ben noto, che da anni ha fatto della mia persona il bersaglio di una vera e propria campagna denigratoria, ha colto l’occasione per riversare veleno e insinuazioni, senza mai assumersi la responsabilità di un confronto diretto, leale, trasparente.
Non farò nomi. Non per timore, ma per stile. Del
resto, chi muove certe accuse non ha mai avuto il coraggio di fare il mio. Si
affida a allusioni, etichette infamanti, messaggi trasversali. “Amico dei
camorristi”, “intrallazzatore politico”, “giornalaio”: sono solo alcune delle
definizioni che, nel tempo, mi sono state attribuite con leggerezza e malafede.
A ciò si sono aggiunti insulti ben più gravi,
provenienti da esponenti della politica locale: “odiatore seriale”, “vecchio
rimbambito”, “merda puzzolente”. Un lessico indegno non solo del dibattito
pubblico, ma ancor più della dignità umana.
Non intendo vestire i panni della vittima. Non l’ho
mai fatto e non comincerò ora. Ma respingo con fermezza ogni tentativo di
trasformare il diritto di cronaca in un pretesto per l’aggressione personale.
Il giornalismo è un mestiere nobile. Presuppone
rigore, rispetto delle fonti, onestà intellettuale. E soprattutto: una distanza
netta da ogni forma di rancore o militanza mascherata.
Per quanto mi riguarda, posso ribadire con serenità
alcuni fatti:
Non ho mai percepito denaro da esponenti politici, pur
essendo stato sollecitato.
Non ho mai accettato proposte da imprenditori,
nonostante i tentativi.
Non ho mai coltivato ambizioni politiche, né ho mai
inteso candidarmi a sindaco.
Ho rifiutato per due volte l’incarico di addetto
stampa al Comune di Calvizzano, per non cedere a dinamiche che ritengo
incompatibili con il mio modo di intendere l’informazione.
Questo si chiama deontologia. È ciò che dovrebbe orientare ogni giornalista che voglia davvero servire la verità, e non usarla.
Il mio stile può essere critico, anche severo, ma non
è mai stato né offensivo né vendicativo.
Non ho gioito per lo scioglimento del consiglio
comunale, né avrei gioito del contrario. Non faccio il tifo. Non appartengo a
fazioni. Faccio cronaca, analisi, riflessione. Con metodo e con sobrietà.
Chi usa l’informazione per regolare conti personali o
sfogare frustrazioni, tradisce la professione e disorienta l’opinione pubblica.
A costoro vorrei ricordare le parole del Vangelo:
“Di ogni parola infondata che gli uomini diranno,
renderanno conto nel giorno del giudizio”. (Matteo 12,36)
E ancora:
“Non giudicate, per non essere giudicati”.
(Matteo 7,1)
Io continuerò a raccontare i fatti con indipendenza,
senza padroni e senza compromessi.
Perché la libertà di stampa è un diritto sacrosanto,
ma non può trasformarsi in licenza d’offesa.
La verità non urla: si afferma con i contenuti, con il
rigore e, soprattutto, con la coerenza.
Mimmo Rosiello