Il nervosismo non è mai un buon consigliere

 

C’è un vecchio detto che non perde mai la sua attualità: il nervosismo non è mai un buon consigliere. È una massima che torna utile ogni volta che il dibattito pubblico si fa teso, che le critiche iniziano a infastidire, e che le risposte superano di gran lunga il tono delle domande. In un tempo in cui l’informazione corre veloce e il confronto si sposta sempre più spesso su canali digitali, mantenere la calma, soprattutto da parte di chi ha responsabilità pubbliche, è segno di maturità e lucidità.

Vale la pena chiarirlo sin da subito: questo discorso ha un valore generale, e può essere applicato a qualunque contesto, amministrativo, politico o sociale. Non riguarda un caso specifico, né si rivolge a una persona in particolare. È un invito più ampio a riflettere su come affrontiamo il dissenso, le critiche, le domande scomode. Perché è proprio nel modo in cui si gestisce il confronto che si misura la qualità di una leadership.

Il dissenso, anche quando scomodo, fa parte della salute democratica di una comunità. Le critiche non sono nemiche da abbattere, ma opportunità per riflettere, migliorare, aggiustare la rotta. Certo, esistono modi e modi per esprimere le proprie opinioni. Ma non tutto ciò che disturba è necessariamente un attacco. E non tutto ciò che è anonimo è vile.

L’anonimato, nei limiti della legalità e del rispetto, può essere una forma di protezione legittima. In un contesto dove spesso prendere posizione pubblicamente comporta il rischio di isolamento, ritorsioni o accuse infondate, permettere a qualcuno di esprimere un pensiero senza esporsi personalmente non è un atto di codardia, ma un’espressione di libertà. È proprio in questi spazi che può emergere una voce altrimenti silenziata: quella di chi ha qualcosa da dire ma non i mezzi, o le condizioni, per farlo a viso scoperto.

Delegittimare il messaggio perché non piace il messaggero è un errore tanto comune quanto pericoloso. Le parole, se fondate e ragionate, meritano ascolto. Anche quando provengono da chi non si firma. Anche quando fanno domande scomode.

In ogni contesto, il confronto resta l’unico antidoto efficace al malcontento. Rispondere con stizza o aggressività non rafforza l’argomento di chi detiene il potere: lo indebolisce. Al contrario, accogliere anche la critica più pungente con lucidità e disponibilità al dialogo è segno di forza, non di debolezza.

Perché, in fondo, chi ha la responsabilità di guidare una comunità deve saper ascoltare anche, e soprattutto, quando le voci si fanno più critiche. La fiducia si costruisce con l’ascolto, non con il nervosismo.

 

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