Oggi la Chiesa Cattolica esalta il valore della Santa Croce del Signore come valore identitario: per l’occasione ripubblichiamo l’articolo sulle Croci Passioniste a Calvizzano, a firma del prof. Luigi Trinchillo

 Esclusivissima Calvizzanoweb, la memoria delle Missioni dei Padri Passionisti a Calvizzano: una tradizione locale da rinverdire? Eccezionale ricerca del prof. Luigi Trinchillo

Croce ingresso del paese (Via Mirabelli)

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L’impegno dei Battezzati “ad extra” e “ad intra”:

 Le “Missioni dei Padri Passionisti” a Calvizzano.

 

                                                                                                                “L’obbedienza sia cieca,

tutti abbiano una bassa considerazione di sé stessi,

tutti accettino di essere disprezzati,

in modo da poter più facilmente raggiungere

la perfezione religiosa”.

(San Paolo della Croce)

Croce Via dell'Indipendenza
Con il Battesimo ciascun credente deve sentirsi impegnato ad andare ad annunciare la Buona Notizia e ad operare come Testimone tra i fratelli e tra i non-credenti, con il compito di propagare la propria religione attraverso un messaggio ancora oggi attuale, a 2000 anni da quando fu lanciato e che conserva tutto il suo carattere universale.

Le missioni cattoliche, basate sul precetto evangelico lasciato da Cristo ai discepoli e agli Apostoli di “andare e ammaestrare le genti”, fu un’attività operativa avvertita come caratterizzante ed identitaria, fin dai primi secoli del Cristianesimo. Nate, quindi, nell’epoca della testimonianza eroica, con la loro struttura organizzativa e la logica stessa del “mandato” sono state per secoli intese come una forma avanzata di “proselitismo” e, in quanto tali, rifiorirono in epoca moderna soprattutto nel periodo della grande Riforma della Chiesa, dopo il Concilio di Trento (1545-1563), indetto specificamente per combattere e contrastare le eretiche prese di posizione dei Luterani e dei seguaci delle altre Chiese che si richiamavano al Messaggio di Gesù Cristo.

Si tenga conto dell’epoca e del contesto geo-politico particolare, per comprendere che l’intento di difesa dalla diffusione del “contagio” luterano e comunque delle interpretazioni dei Riformatori delle Chiese evangeliche e nazionali rese necessario una rapida riorganizzazione del messaggio della Chiesa di Roma, per conservare quelle quattro condizioni che il Concilio Niceno e quello Costantinopolitano (del 325 e del 381) avevano attribuito alla penultima dichiarazione dogmatica del Simbolo di appartenenza: “Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica”. Furono proprio queste caratteristiche specifiche che, fin dai secoli delle prime eresie e scissioni, avevano consentito alla Confessione Romana della Chiesa fondata da Cristo di superare ostacoli, crisi, persecuzioni, abbandoni.

La Congregazione Pontificia di Propaganda fide (istituita sulla scorta delle decisioni tridentine, nel 1622 e tuttora operativa, sebbene aggiornata e in parte modificata nel nome) ebbe come obiettivo primario e fine precipuo quello di regolare l’attività missionaria del Cattolicesimo nel mondo.[1]          ********************************

Una rapida ricognizione storica del ruolo missionario della Chiesa attraverso una rilettura delle fonti essenziali[2] è possibile grazie al costante impegno della Gerarchia ecclesiastica e dei fedeli stessi, pur attraverso interpretazioni operative e di comunicazione della Parola e del depositum fidei della Tradizione, in evoluzione nel tempo.

Il termine “missione”, deriva dal latino missio (ambasceria), azione proselitica[3]mediante la quale veniva, all’inizio, affidato a speciali inviati il compito di diffondere e propagandare la religione cristiana. Il Cristianesimo, infatti, fa derivare la sua speciale vocazione missionaria dalla diretta predicazione evangelica e dall’esempio di San Paolo di Tarso che, per primo, si distinse e si consumò fino al sacrificio della vita, per operare la diffusione della nuova dottrina nelle regioni controllate dall’Impero Romano, e non solo.

Dopo la rottura dell’unità della Chiesa, in seguito alla Riforma iniziata da Martin Lutero e proseguita da altre voci dissenzienti dall’Autorità del Vescovo di Roma, il Cattolicesimo trovò nuova linfa vitale e rinnovato slancio, volgendosi verso l’Africa meridionale, l’Estremo Oriente (in India, e in Cina, soprattutto grazie ai Gesuiti) e verso il Nuovo Continente Americano, come le missioni della Compagnia di Gesù fra i Guaranì, esempio palmare di ciò che nelle “riduzioni” si riusciva ad operare fra le popolazioni indigene, senza mai cedere al rousseauiano mito del “buon selvaggio[4]. Tale azione venne intensificandosi nelle varie parti del mondo, anche per motivi storici e politici, grazie alla creazione di speciali Congregazioni e Ordini, istituti ad hoc e all’azione di associazioni di religiosi e laici, trovando sostegno e indirizzo grazie all’opera di tre organismi che, da Roma, dirigevano l’opera di apostolato: la Congregazione De propaganda Fide”, istituita da papa Gregorio XV, la Congregazione per la Chiesa Orientale e quella Concistoriale.

Una vasta opera in questo campo venne parallelamente messa in atto, a partire dal secolo XVII, anche dalle Chiese protestanti, attraverso due grandi associazioni: l’American Board of Commissioners for Foreign Missions e l’American Baptist Foreign Missions Society.

Nella Chiesa Cattolica si tendeva (e l’impegno persiste tuttora) a rimarcare che la Missione, la sua fonte, il suo dinamismo e i suoi frutti dipendessero totalmente dagli intenti con l’unione con Cristo e grazie all’assistenza dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni (15, 5) leggiamo che Gesù afferma che “Senza di me non potete far nulla”, quasi a sottolineare che coloro che egli inviava quali “apostoli” avrebbero potuto operare efficacemente solo se in assoluta consonanza d’animo con il Vangelo e gli insegnamenti del Signore, nel senso che si possono fare tante cose, anche meritorie, mettere in atto iniziative, avviare programmi, organizzare campagne, sforzarsi perfino oltre le proprie forze, ma, se manca l’intento di realizzare progetti per il Regno dei Cieli, le fatiche sono un nulla sterile ai Suoi occhi. Ritorna alla mente la classica immagine lasciataci da Gesù della vite e dai tralci. Questi ultimi sono e rimangono vivi, finché rimangono attaccati all’albero, altrimenti sono destinati a trasformarsi in materiale secco, utile solo ad essere bruciato. Se, invece, siamo ben alimentati dalla linfa dell’albero originale, possiamo assistere al miracolo di veder realizzato con buoni frutti tutto ciò che facciamo, perché è l’amore di Cristo che opera in noi e attraverso di noi. Questo è il segreto della vita cristiana e della missione, per cui il missionario è tanto legato al suo Maestro e Signore che le sue mani, il suo cuore e la sua mente sono niente altro che gli strumenti del Signore per operare nella realtà contingente. Il missionario non è uno che fa semplice proselitismo, ma qualcuno che comunica l’amore di Cristo a qualcun altro che considera fratello, al di là dei limiti dello spazio, del colore della pelle, delle modalità della comunicazione verbale e non.   

Focalizziamo ora la nostra attenzione sulle notizie specifiche relative alla Congregazione religiosa che, del carisma missionario locale, fece il suo impegno centrale[5]: quella dei Padri Passionisti.

Il fondatore, Paolo Danei, nacque ad Ovada (oggi in provincia di Alessandria, all’epoca facente parte dell’entroterra genovese) il 3 gennaio 1694. Apparteneva alla famiglia di un agiato uomo d’affari, poi caduto in dissesto economico, che mise al mondo ben 15 figli, ma solo 6 di loro sopravvissero alle tipiche malattie dell’epoca. Nonostante i tanti lutti familiari e le difficoltà finanziarie, i genitori del futuro fondatore della Congregazione dei Passionisti, Luca e Anna Maria, seppero trasmettere al figlio serenità e ottimismo esistenziale. Paolo aveva un aspetto imponente, un carattere estroverso[6], ed un animo molto sensibile. Intorno ai vent’anni, ebbe un’intensa esperienza religiosa, che lo portò a considerare Dio come amore e misericordia assoluta. Avrebbe, in seguito, parlato di questo episodio come del momento che determinò in lui una profonda trasformazione interiore. Primo effetto di questo cambiamento fu l’arruolamento nell’esercito della Serenissima Repubblica di San Marco, che stava mettendo insieme uomini ed armi per una “crociata” contro i turchi. Conosciuta la disciplina e le regole dell’ingaggio militare, rinunziò alla partenza e tornò in famiglia, deciso a difendere la Chiesa non con le armi della violenza bellica, bensì con quelle della fede, incentrata soprattutto sulla memoria della Passione di Cristo. In effetti, Paolo Danei elaborò una “concezione positiva” della Passione di Cristo: la considerò la massima espressione dell’amore di Dio per l’umanità, e non semplicemente come l’indispensabile e necessaria conseguenza per la “riparazione” del peccato originale. Paolo arrivò a rifiutare l’eredità offertagli da uno zio sacerdote, per vivere in povertà e non accettò di unirsi in un ricco matrimonio. Subito dopo, su consiglio del Vescovo Francesco Arborio di Gattinara, avviò il proprio personale percorso di formazione. Si ritirò per 40 giorni nella Chiesa di San Carlo di Castellazzo a riflettere e ad annotare le sue esperienze spirituali, annotando quelle idee che gli avrebbero consentito di stendere la Regola per la Congregazione che aveva già in animo di costituire. Siamo a conoscenza di numerose notizie di questa fase dell’esistenza del futuro Fondatore dei Passionisti, grazie ad un “Diario” particolareggiato da lui tenuto. Nei giorni del “discernimento” impostogli dal Vescovo, Paolo concentrò la sua attenzione e le sue riflessioni sulla memoria di quanto fatto da Gesù Cristo con la Sua Passione. Le sue idee sull’organizzazione di una nuova Congregazione non erano ancora sufficientemente chiare e ciò lo portò a peregrinare per alcuni anni in Chiese e Conventi nell’Italia Centro-Meridionale. Fu ordinato sacerdote, unitamente con uno dei suoi fratelli, Giovanni Battista, nel 1727, a Roma, personalmente dal Papa Benedetto XIII, che lo aveva incoraggiato a perseverare nella sua vocazione. Dieci anni dopo, nel 1737, sul Monte Argentario, presso Grosseto, iniziò la prima esperienza stabile di una Comunità Passionista, con la costruzione di un Convento, da lui chiamato semplicemente “ritiro”, perché l’esperienza dei confratelli si sarebbe dovuta fondare principalmente sulla solitudine in cui avrebbero convissuto, per concentrarsi sulla preghiera, lo studio, la formazione pastorale, che li avrebbe portati a diventare buoni predicatori, sensibili confessori e pazienti direttori spirituali. Ecco che la “Regola”, ripensata per anni, puntava sull’austerità di vita nutrita di preghiera, di silenzio, di penitenza, che si estrinsecava nella convinta predicazione presso comunità di fedeli pigri e spesso cristiani solo di nome e per semplice tradizione o per abitudine passiva[7]. Tali iniziative vennero presto conosciute presso il popolo, in genere fornito di un’essenziale e scarsa cultura religiosa, come “Missioni”, sul modello di quelle che recavano il Messaggio di Cristo presso le popolazioni indigene nelle Terre d’Oltremare, dove, fin dall’inizio, la colonizzazione fu “giustificata” dalla necessità del “proselitismo” per la conversione degli indigeni. All’atto della professione religiosa e dell’emissione dei voti solenni, Paolo Danei scelse di richiamare, fin dal nome, la propria testimonianza per il Sacrificio di Gesù, attribuendosi il titolo “della Croce”: ecco da dove nasce il nome del Fondatore, Paolo “della Croce”[8]. Emessa la professione religiosa, cominciò a portare, così come tutti i suoi compagni, un “distintivo” inconfondibile sulla tunica nera, all’altezza del cuore: un monogramma rimasto sostanzialmente immutato negli ultimi 280 anni, rappresentante un cuore che racchiude la scritta Jesu XPI Passio, con tre frecce divergenti nella parte inferiore ed una Croce che sovrasta il cuore stesso. D’altra parte, l’emblema della Congregazione è proprio il Crocifisso stesso, di stile latino. Ecco chiarito il motivo per cui, quasi immediatamente, tutti presero a definire i rappresentanti di quest’Ordine semplicemente i “Passionisti[9].

Il Fondatore della Congregazione continuò infaticabilmente la sua attività missionaria itinerante, percorrendo Paesi e Città italiane, specialmente comunità poste in zone spesso degradate economicamente e socialmente, privilegiando coloro che conducevano un’esistenza culturalmente deprivata, quando non assente o poverissima di nozioni, che risiedevano in zone spesso malsane, come paludi e periferie urbane prive di servizi sociali, oltre che sfornite, talvolta, di mezzi di sussistenza minima. Per molti, la stessa cultura religiosa era un “lusso” e quasi tutti ricevevano i rudimenti della formazione cristiana solo in occasione dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, per tradizione o per semplice appartenenza ad una Nazione epidermicamente cristiana e cattolica, quale la Nostra.

Il primo impegno di San Paolo della Croce era, in genere, quello della testimonianza personale di una vita semplice, dedita alla preghiera e alla meditazione: due valori, questi ultimi, che i “Passionisti” si sforzavano di diffondere attraverso una vera e propria opera di proselitismo acceso, ma non fanatico. Il punto centrale del messaggio era quello di far raggiungere anche ai più semplici la consapevolezza di dover tendere ad una fede e ad una religiosità centrata sulla convinzione dell’amore incondizionato di Gesù Cristo per ciascuno, spinto fino all’estremo sacrificio della Sua stessa vita. Dopo aver ricevuto la stabilità giuridica dal pontefice Clemente XIV, San Paolo della Croce, da tempo convinto dell’opportunità di estendere il carisma della sua Congregazione ad un ramo femminile, gli diede vita, con una caratteristica peculiare aggiunta, fin dall’inizio: un impegno ulteriore a quello di base, vale a dire l’assistenza e l’evangelizzazione delle donne che avevano subito violenza fisica o psicologica, quasi sempre sfruttate in una società che non riconosceva loro dignità né diritti di alcun genere. Nel corso dell’intera sua vita, San Paolo della Croce mostrò pragmaticamente come un’esistenza contemplativa dedita alla preghiera e alla solitudine, potesse essere congiunta ad una attività intensa e concretamente missionaria, per non venire mai meno agli impegni di chi abbracciava le regole della Congregazione, e questo aspetto non era mai opzionale né derogabile. Alla scomparsa del Fondatore, avvenuta a Roma il 18 ottobre 1775, la Congregazione era già una realtà operativa sul territorio, con 12 ritiri e 176 religiosi, impegnati in un’intensa attività missionaria, che prosegue ai nostri giorni: i metodi e le forme della comunicazione, nel corso del tempo, soprattutto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, hanno saputo adeguarsi ed esigenze sempre nuove, rimanendo, tuttavia, nell’ambito del carisma ruotante sulla centralità della Passione di Cristo.

Una caratteristica identitaria dei Padri Passionisti era[10] quella di fermarsi nelle singole comunità locali per 7-10 giorni, proponendo forme di catechesi adatte per i singoli gruppi, quali bambini, giovani, uomini e donne di età adulta, anziani, ecc., oppure gruppi specifici, uniti da un qualche vincolo o legame particolare (ex-detenuti, prostitute, ecc.). Il carisma in una Comunità come quella calvizzanese portava i Passionisti a mettere in atto strategie operative particolari, come quelle, ad esempio, di “scendere per la strada”, per recarsi ad invitare personalmente ciascuno alle funzioni religiose in Chiesa; di tenere delle prediche catechetiche fervorose, infiammate; di ricevere le confessioni di persone spesso lontane dal Sacramento da parecchi anni; di dirigere spiritualmente i singoli e i gruppi; di proporre processioni eucaristiche, con l’adorazione del Santissimo Sacramento e preghiere comunitarie; di fornire informazioni religiose di base. Le Missioni dei Padri Passionisti erano l’occasione per comunicare gli aggiornamenti intervenuti nell’ambito della metodologia di una corretta vita cristiana cattolica, con la spiegazione in lingua volgare e addirittura, talvolta, nel vernacolo locale, di pagine significative del Vangelo e della Bibbia in generale, un tempo precluse alle masse, perché proclamate in Chiesa esclusivamente in Latino. Si trattava di una vera e propria “azione missionaria”, come si vede, atta ad evangelizzare le fasce più fragili di fedeli, per formazione, per cultura, per condizioni socio-economiche, ecc. Se riflettiamo, il complesso di queste azioni rappresenta, mutatis mutandis, il nucleo essenziale di quella trasformazione che Papa Francesco sta imprimendo alla Chiesa Cattolica in questi primi decenni del XXI secolo, e proprio ai nostri giorni, con il suggerimento di portare Cristo alla gente, per la strada, “in uscita”, per renderla sempre più vicina ai bisogni delle “periferie”, degli “ultimi”, parlando “anche” con le parole, ma solo se esse sono sostenute dalla testimonianza diretta, “una Chiesa povera per i poveri”, nella quale la preghiera è un elemento caratterizzante e ineludibile di testimonianza per i singoli e la Comunità.

Se appena consideriamo tutto ciò, ci rendiamo conto della profonda attualità delle intuizioni di San Paolo della Croce e della Congregazione da lui fondata quasi tre secoli fa. Sempre valida la sua raccomandazione dominante ad immergersi nel concreto vissuto dei Battezzati e delle Comunità dei più fragili: per condizioni socio-economiche e culturali, certamente, ma soprattutto per pratica quotidiana religiosa e di testimonianza cristiana sperimentata.

Una caratteristica costante degli interventi pastorali organizzati secondo le direttive originarie impresse da San Paolo della Croce che rendeva “plastica” ed evidente il recente “passaggio” di ciascuna Missione dei Padri Passionisti era la sistemazione di Croci “essenziali”, molto spesso anche senza le figura di Gesù Crocifisso, nei punti estremi del paese, arricchendo via via il territorio di nuove Sue Icone, così da formare quasi un’ideale Croce, unendo i quattro punti cardinali di ciascun Paese o Contrada.

Così, fra noi, qui a Calvizzano, fu sistemata una Croce all’ingresso del Paese, in Via Conte Mirabelli, subito dopo l’incrocio con la Strada Provinciale che congiunge Marano con Villaricca; un’altra Croce la rinveniamo ancora presso la Piazza San Pietro; una terza sulla “rotonda” di Via Molino; un’altra alle spalle di Via Vittorio Emanuele, in Via dell’Indipendenza; un’ultima Croce fu, dalla devozione popolare, piantata nei pressi della piccola Chiesa rurale, in località San Pietro, quasi a trasmettere il messaggio che anche chi risiede in quella parte periferica di un Paese antico come Calvizzano è stato raggiunto dalla testimonianza di una Missione dei Passionisti in visita fra noi. In tal modo, l’intero centro abitato del nostro paese è “stretto” in un ideale abbraccio con Cristo e da Cristo[11].

Un effetto “collaterale”, verificatosi in conseguenza della realizzazione nel vivo delle decisioni operative del Concilio Ecumenico Vaticano II, con la norma di concentrare tutte le attività pastorali di ciascuna Comunità intorno alla Parrocchia, forse non preventivato né auspicato in partenza, è stato quello di una drastica riduzione, se non del (quasi) abbandono nelle Missioni dei Padri Passionisti classiche, nell’epoca posteriore al Concilio novecentesco. D’altra parte, anche uno dei quattro impegni fondamentali da realizzare a mente del XXX Sinodo della Diocesi della Chiesa di Napoli, tenutosi agli inizi degli anni Ottanta, ponevano il momento della Tenda (intesa come Chiesa Parrocchiale) come centrale rispetto a quello della Strada (da individuare nelle attività “feriali” dei credenti). Tutto ciò ha fatto decrescere, di fatto, gli interventi missionari esterni, assorbiti in quei momenti di attività pastorale quotidiana che il Parroco può e deve programmare per evangelizzare la Comunità, che necessita, ai nostri giorni, maggiormente di questa forma di testimonianza, rispetto a quella, un tempo prevalente, di un proselitismo accentuato. Non a caso, il grande Papa Paolo VI, che accompagnò per gran parte dei lavori i Padri Conciliari e guidò la Chiesa fra i difficili Anni Sessanta e i Settanta del Novecento, ebbe a dire che, ai nostri giorni, “la Chiesa ha bisogno di Testimoni più che di Maestri”. E la sua elevazione agli onori dell’Altare, con lo stigma della canonizzazione, può confermare la sua intuizione profetica, più che ogni altro lungo discorso che qui potremmo proseguire.  

Quale ultima riflessione mi pace ricordare che, nella sua straordinaria capacità di parlare per segni e simboli, Dante nel suo “Paradiso” ha indicato una verità che sembra un po’ il compendio di quanto la Croce possa rappresentare per ciascun credente molto più che un semplice richiamo al Sacrificio del Cristo e possa valere come esperienza capace di collegare la vita quotidiana, in qualche modo, con l’esperienza futura di Grazia  che ciascun Battezzato si augurerebbe di sperimentare un giorno.

Ecco i suoi splendidi versi: “Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno; / ché quella croce lampeggiava Cristo, / sì ch’io non so trovare essempro degno; / ma chi prende sua croce e segue Cristo, / ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, /  vedendo in quell’albor balenar Cristo”.[12] 

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Prof. Luigi Trinchillo

Ringrazio Luigi Trinchillo, uomo di immensa cultura (degno erede dei Galiero, Di Maria, Barleri, scrittori che hanno raccontato in diversi libri la storia di Calvizzano) per quest’altra eccezionale testimonianza storica locale, mai argomentata in nessun libro. Caro Luigi, ti ho “corteggiato” per un anno, ma ne è valsa la pena: ti ringrazio ancora, poiché mi hai fornito questa eccezionale ricerca che rimarrà nella storia di Calvizzano, immagino non sia un caso, a ridosso del Natale di Gesù, quasi messaggio testimoniale per la comune fede nel Signore.

Mi.Ro.



[1] Dalla voce specifica del “Dizionario della Storia”, Il Saggiatore-Bruno Mondadori-CDE Gruppo Mondadori, 1993.

[2] Dalla voce specifica dell’Enciclopedia “E12 dell’Istituto Geografico De Agostini” di Novara, 1979. Volume 8, pagina 358.

[3] Il termine è coniato sulla radice greca pros = verso, oltre + elyt = provenire, venire; il significato, quindi, si deduce chiaramente, perché identifica chi da poco si è convertito ad una religione o ha abbracciato le idee di una dottrina o di un partito. Ecco, allora, il passaggio: sopravvenuto, proveniente, forestiero, prosèlito, convertito. La voce è dotta: più comune è il corrispondente termine proselitista (da proselitismo), con il corollario di proselito/proselite/ probabilmente da un originario intermediario francese proselytisme.

[4] Come dimenticare o trascurare di fare qui memoria dell’ottimo film del 1986 di Roland Joffé “The Mission”, che, al ‘cast’ stellare, aggiunge la magnifica colonna sonora di Ennio Morricone, con una parte in cui il “Gabrie’s Oboe” trascina lo spettatore in un’atmosfera speciale, alla quale è impossibile sfuggire? Il “Gabriel’s Oboe from The Mission” ebbe subito, e conserva ancora ai nostri giorni, una propria vita parallela, tanto da entrare a far parte anche delle musiche spesso eseguite in ambito religioso e liturgico, riuscendo a trasmettere emozioni che vanno molto al di là delle immagini della pellicola cinematografica. Una sorte simile l’ha conosciuta il celebre “Dolce è sentire/Fratello Sole, Sorella Luna” che, nato quale musica per un film di Franco Zeffirelli del 1972, si è imposto come brano autonomo.

[5] Le informazioni di base in relazione alla Congregazione dei Chierici Scalzi della Santa Croce e Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (nome completo dei Passionisti) sono state attinte dal volume “I Santi nella Storia / Ottobre” – Edizione con © Periodici San Paolo S.r.l. 2006, alle pagine105-107. 

[6] Questa tipologia di carattere, all’epoca, veniva indicata come “sanguigna”, perché facilmente portava ad eccessi.

[7] È tradizione che la prima stesura della “Regola”, severissima, dovette essere dal Fondatore dei Passionisti modificata (tra il 1741 ed il 1746), per mitigarne l’originaria austerità e il rigore estremo, per espresso invito del Pontefice, prima dell’approvazione definitiva, che avvenne solo nel 1769.

[8] La Croce: valore di un simbolo - La Croce costituisce un simbolo maggiore, universalmente diffuso. Divenuto l’emblema del Cristianesimo, essa si ritrova, sotto forme diverse, in molte tradizioni. Niente di più spontaneo quanto a grafismo del Tau o Thav arcaico dei Fenici, che graficamente può essere rappresentato come il segno positivo in matematica (+). Il suo nome semitico significa segno, intaglio, carattere di scrittura o lettera per eccellenza: indubbiamente perché la mano traccia da sola e in semplicità questa firma degli illetterati. Pur offrendo una pluralità impressionante di stili, la sua composizione di base è tuttavia invariabilmente la stessa: l’incrocio di due assi, uno orizzontale, che unisce la destra e la sinistra, l’ovest e l’est; l’altra verticale, che unisce l’alto e il basso, il nord e il sud. Come tale, la Croce costituisce un simbolo di unione, sintetizzando le coppie di opposti complementari e accorpando, in un unico tratto espressivo, l’insieme dei valori fondamentali: i punti cardinali, i quattro elementi primari, le polarità, ecc. La Croce è così collegata, oltre che al Sacrificio di Gesù Cristo, al quaternario e ai simboli ad esso attinenti, ma è anche una manifestazione del quinario con la nozione-chiave di centro, di cuore, di mezzo. È questo, in particolare, il caso delle Croci che presentano un simbolo nel punto di intersezione. Perfino nella rappresentazione della “quintessenza” alchemica, l’Etere si trova al centro della croce, i cui bracci sono costituiti dai quattro classici elementi (Terra, Aria, Acqua, Fuoco).

[9] Il nome completo con il quale è identificato ufficialmente l’Ordine cui appartengono i religiosi passionisti è alquanto più complesso. Infatti, negli atti istitutivi, si parla della “Congregazione dei Chierici Scalzi della Santissima Croce e Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”.

[10] Potremmo usare anche il presente “è”, ma i metodi e i sistemi di comunicazione adottati dai Passionisti attualmente si fondano ormai intensamente e talvolta precipuamente sugli strumenti messi a disposizione dai “mass-media” e dai “social”.

[11] Il carisma della Congregazione dei Passionisti ha fatto, nel tempo, breccia anche nella nostra piccola Comunità calvizzanese: le persone non più giovanissime non possono aver dimenticato Padre Giacomo Gagliardi, la cui figura, già di per sé alta e imponente, sembrava ricevere ulteriore possanza dall’abito completamente nero, con il monogramma bianco dei Passionisti sul petto, spostato sul lato sinistro, sempre in abito talare, anche dopo la concessione della possibilità di indossare il clergymen fuori dalle occasioni liturgiche e per esigenze della vita pratica. È stato l’ultimo rappresentante del nostro Paese a scegliere di aderire alla “Società” fondata da San Paolo della Croce. Padre Giacomo ricoprì numerosi incarichi di alta responsabilità, nell’ambito della sua Congregazione, sempre con entusiasmo e spirito di sacrificio e di abnegazione, evidenziato in modo particolare nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Esercitò il suo carisma passionista dedicandosi all’insegnamento, nei difficili anni del Secondo Dopoguerra. Fu di certo anche grazie al suo amore per il Paese che gli aveva dato i natali e dove vivevano tanti suoi parenti ed amici, se, nel corso del Novecento, si susseguirono (al massimo ogni 5-10 anni) numerose le “Missioni dei Passionisti” a Calvizzano, finché i nuovi indirizzi pastorali applicativi del Concilio Ecumenico Vaticano II imposero una differente struttura della catechesi e dell’aggiornamento dei fedeli, rimodulando il ruolo della missione straordinaria presso la Parrocchia e la Chiesa locale. 

[12] Versione in lingua corrente: “Qui la mia memoria supera il mio ingegno, dal momento che Cristo stesso faceva risplendere quella Croce, cosi che non riesco a trovare un paragone adeguato a farmi capire e trasmettere la mia emozione; ma chi prende la propria croce e segue Cristo, mi perdonerà ciò che ora io taccio, proprio nel giorno in cui (egli stesso, giunto nel Paradiso) vedrà in quella luminosità sfolgorare la grandezza di Cristo Redentore e Salvatore degli uomini”. [Dante, Divina Commedia, Paradiso XIV, versi 103-108].

 

 

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