Un’altra chicca culturale che ci ha inviato il prof. Luigi Trinchillo, degno erede degli scrittori che hanno raccontato la storia locale: il paliotto di marmo del 600 raffigurante la Madonna delle Grazie sottostante l’Altare Maggiore della Chiesa Parrocchiale di Calvizzano


Ci troviamo sotto la cupola della nostra splendida Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Grazie a Calvizzano, che dà una straordinaria luminosità a tutta la parte inferiore dell’edificio, cioè al transetto. Quello che colpisce subito è la presenza di tre ben altari storici in marmo nei tre cappelloni, che rendono l’edificio a croce latina[1]. Il più bello è, naturalmente, l’Altare maggiore, che è stato usato per oltre trecento anni per tutte le celebrazioni liturgiche e della Santa Messa[2]. Tutti e tre gli altari sono ricoperti di marmi policromi (cioè di vari colori), che li arricchiscono e li rendono molto eleganti. Ciò che affascina maggiormente i fedeli e i visitatori è, tuttavia, un altorilievo posto sotto l’Altare maggiore: si tratta di una delle opere artistiche più importanti dell’intera Chiesa. È un paliotto di marmo bianco del tardo Seicento, che rappresenta la Madonna delle Grazie odigitria[3], che stringe a sé il Bambino appoggiato sul braccio sinistro, a proteggerlo e a significare che è Lui il centro della Rivelazione, secondo i canoni imposti all’arte post-tridentina.[4] Attualmente, nel transetto, esiste anche un altare basilicale in posizione avanzata, con una pedana di marmo, la cui costruzione risale a pochi decenni orsono, quando, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-65), si decise che il Sacerdote dovesse celebrare la Messa con il volto rivolto al popolo di Dio riunito in assemblea, cosa impossibile da fare sull’antico altare secentesco. Fu necessario, perciò, aggiungere questo nuovo altare, che è semplicemente “appoggiato” sul pavimento di marmo ottocentesco, per consentire ai fedeli di partecipare alle funzioni liturgiche con maggiore coinvolgimento e costante attenzione, senza modificare, distruggere né danneggiare l’antico manufatto.



[1] Vengono così definite le Chiese che presentano una navata longitudinale molto più estesa di quella centrale. Nella tradizione occidentale è questo il modello che, nel tempo, si è affermato prevalentemente. Nelle Chiese a pianta greca, invece, gli spazi sono divisi in modo che i quattro bracci della Croce ideale rappresentata dal tempio sono sostanzialmente di uguale lunghezza, così da avere il punto di incontro là dove è posto l’Altare, e permettere al popolo di Dio riunito in assemblea liturgica, di sentirsi logisticamente più vicino alla Mensa. Non fu un caso che, dopo il Concilio di Trento, si impose il modello a Croce latina, laddove, nei templi cattolici di edificazione più recente, soprattutto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, con una nuova visione ecclesiale, l’architettura si è potuta esercitare a realizzare edifici senza più avere tali limiti strutturali.

[2] Lo stato di usura per consumo secolare di quella pavimentazione è testimone muto della frequentazione di quella modalità di celebrazione del Sacrificio Eucaristico.

[3] Il termine, apparentemente difficile in sé, si riferisce al particolare che l’autore della scultura fa indicare a Maria con la mano libera il Bambino Gesù e, in quanto tale, Ella suggerisce la strada (cioè il Cristo), per raggiungere la salvezza eterna. Questo particolare, un tempo riservato alle icone venerate nella Chiesa d’Oriente (sia Ortodossa che Cattolica di Rito Orientale), dopo il Concilio di Trento (1545-1563), divenne raccomandazione comune a tutti gli artisti di opere iconografiche e di materiale duro, affinché vi si  attenessero, per non prestare il fianco alle critiche luterane e dei fratelli riformati, che accusavano i Cattolici di “adorare” Maria, ponendola sullo stesso piano valoriale di Dio: cosa evidentemente falsa, perché a Maria viene sempre riservato un culto di “venerazione”, laddove a Dio è riservato il culto esclusivo di “adorazione”. Tutta (o quasi) l’Arte post-tridentina mostra l’allineamento a questa posizione iconografica mariana.  

[4] A questo proposito possiamo ricordare un episodio particolare, che fu riportato nelle cronache del 1934. Il 6 giugno di quell’anno ci fu l’inaugurazione del Monumento dedicato nel nostro Paese ai Caduti della Prima Guerra Mondiale. Vi partecipò, fra gli altri, il futuro re d’Italia Umberto II, che allora era ancora Principe ereditario, il quale, dopo l’inaugurazione del Monumento in Piazza, volle entrare in Chiesa e si avvicinò al paliotto di marmo della Madonna delle Grazie e i presenti testimoniarono che il Principe si commosse fino alle lacrime e raccomandò al Parroco dell’epoca, Don Antonio Di Sabato, di averne cura, perché era un vero capolavoro. [Conservava vivida ‘memoria storica’ di questo evento l’ormai troppo poco rimpianto Professor Raffaele Galiero, che me lo riferì oralmente e di persona, in uno dei tanti incontri con lui avvenuti tra la fine degli anni ‘60 e quella degli anni’70 del ’900].

 

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