Come si trasformò l’angusto spazio della piccola Cappella/Chiesetta dedicata a Maria Annunziata nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Grazie: ce lo spiega il prof. Luigi Trinchillo, degno erede degli scrittori che hanno raccontato la storia di Calvizzano
Come
altrove dimostrato storicamente, l’edificio della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Grazie a Calvizzano andò
arricchendosi, nel tempo, di numerose parti, che fu possibile aggiungere grazie
all’intervento di benefattori privati e devoti benestanti, ma anche con le offerte
raccolte fra la popolazione del piccolo borgo posto alla periferia dell’ampio
territorio della provincia di Napoli.
Così,
lentamente, l’angusto spazio della piccola Cappella/Chiesetta dedicata a Maria Annunziata, visitata alla metà del
mese di agosto del 1542 dal Cardinale Francesco Carafa, si trasformò nello
splendido edificio che noi tutti ammiriamo attualmente.
Il progetto,
infatti, che prese vita partendo dal tempietto dell’Annunciazione, fu esteso,
fino a conferire all’intero edificio il volto attuale. In particolare,
l’aspetto che ci interessa ora da vicino riguarda la realizzazione della navata
centrale e dei tre grandi “cappelloni”, che fanno da corona interna all’ambiziosa
cupola, che sostituì la primitiva “tribuna”[1]
e rese possibile il conferimento di una forte luminosità all’ambiente
sottostante (accresciuta non poco dagli ampi finestroni a vista e dall’aggiunta
dell’alto cupolino/lucernaio, costruito con aperture vitree notevoli, in
rapporto alla sua superficie utile).
Si
realizzava, in tal modo, plasticamente, quel nuovo modello di edificio religioso
che avrebbe favorito la celebrazione dei nuovi riti, introdotti a seguito della
riforma liturgica dell’epoca
post-tridentina, tra la seconda metà del secolo XVI ed almeno la prima di
quello successivo.
Senza
riprendere pedissequamente quanto già altrove ricostruito, soffermiamoci a
considerare solo alcuni aspetti specifici. Modificata la struttura delle pareti
dei cappelloni laterali ed esteso lo spazio posteriore all’altare maggiore[2],
fu possibile modificare il progetto iconografico delle illustrazioni
cristologiche e mariane da annettere agli ambienti superiori della Chiesa di
Santa Maria delle Grazie: il pittore Nicola Vaccaro, all’epoca già rinomato, che
aveva firmato un regolare contratto (conservato nell’Archivio Parrocchiale
Storico), accettò di modificare la primitiva tecnica prevista per le pitture “a
fresco” in quella, a lui ben più congeniale, di esecuzione di olio su tela.
Presero vita così i tre ampi quadri, probabilmente nati in forma perfettamente
rettangolare, anche per utilizzare i cartoni per affresco già disegnati, ed in
seguito adattati, quando furono realizzate le cornici sagomate “a sipario” ed
arricchite di festoni, immagini angeliche, foglie, fiori ed altre “nature morte”,
secondo i modelli iconici del Barocco napoletano[3].
Secondo quanto risulta da una tradizione antica, non documentata da ricevute né altro materiale che possa attestarla, i quadri di minori dimensioni, posti lungo lo splendido soffitto in oro zecchino della navata centrale, sarebbero opera probabilmente della Scuola del Domenichino,[4] (meglio: di ambienti artistici ad essa vicini), altro significativo pittore del periodo barocco napoletano. Tale notizia, tuttavia, appare di difficile verificabilità e forse di scarsa veridicità storica, per quanto riguarda le tele che circondano l’immagine di Maria Assunta in Cielo (al centro del soffitto ligneo in oro zecchino), dipinta da Andrea Malinconico. In ogni caso, essa può rappresentare un’utile indicazione per la ricerca di altre tele, a futuri studi specifici.
[1] Non è dato sapere con
sicurezza se la “tribuna”, di cui parlano i documenti più antichi, vada intesa
come una parte originaria dell’attuale cupola oppure come un elemento
architettonico differente, poi abbattuto per far luogo alla vera e propria
cupola attuale.
[2] Fu determinante
l’acquisto, da parte dell’Opera laicale di SMdG, di una non minuscola zona di
terreno perimetrale, ceduto dal primo e celebre notaio calvizzanese del
Seicento, quel Marco Antonio Sirleto, che scrisse con la “Platea”
un testo ricchissimo di riferimenti cronachistici e documentari insostituibili.
In sostanza, il Sirleto (scritto negli atti antichi anche come Syrleto) può
essere, a ragione, considerato il primo vero storico del nostro Paese, anche se
manca, nella sua opera, una presentazione degli eventi organizzata
sistematicamente.
[3] Sono le tele che
rappresentano la Madonna delle Grazie
sull’Altare maggiore, “titolare” della Chiesa; quello di Gesù che porta la Croce verso il Calvario, con una straordinaria
rappresentazione della Veronica; infine, quello della deposizione dalla Croce di Gesù, con le
figure di Maria, delle Pie Donne e del discepolo che “adotta” la
Madonna, nel momento del supplizio che precede la morte del Signore, cioè Giovanni
Evangelista.
[4] Domenico Zampieri,
detto ll Domenichino, nacque a
Bologna nel 1581 e morì a Napoli nel 1641. L’artista lavorò spesso per la Compagnia
di Gesù, producendo numerose opere di argomento religioso, in stile e
spirito tipici della Riforma Cattolica. Rappresentò varie volte figure
angeliche, come nel caso dell’Angelo
Custode conservato attualmente nella Pinacoteca Nazionale di Capodimonte,
del 1615. La scelta del tema, come anche quello degli elementi presenti nella tela
qui dedicata a San Luigi, potrebbe rappresentare quindi un suo topos iconico.