Calvizzano come Compostella, fino agli inizi del 1200 l’antica chiesa dedicata a San Giacomo era meta di pellegrinaggi

Antiche mura: vennero abbattute seconda metà anni '80 

A Napoli la prima Chiesa eretta e dedicata a San Giacomo sorse solo nel 1238. I fedeli del capoluogo e della provincia, dunque, venivano a Calvizzano, durante la festa dedicata al Santo patrono,  per lucrare della “grande perdonanza” (come a Compostella),  un’indulgenza straordinaria per il perdono dei peccati

A San Giacomo fu dedicata nel nostro paese almeno dal VII/VIII secolo una Chiesetta che rispondeva alle necessità pastorali dei non numerosi cittadini calvizzanesi[15]. Essa deve essere stata, comunque, una delle più antiche nel Napoletano, se è vero che persino a Napoli la prima Chiesa eretta e dedicata a San Giacomo sorse solo nel 1238. Dal Calendario Marmoreo del secolo VIII o IX risulta che l’annuale festa liturgica era celebrata il 25 maggio; solo dopo il Concilio Tridentino fu definitivamente fissata al 25 luglio. Ecco quanto afferma, dopo annose ricerche, il Canonico Don Giacomo Di Maria, che condusse indagini specifiche, anche per rispondere ad un personale bisogno di illuminare di Santo di cui recava il nome[16]: “Per secoli la vetusta Ecclesia S. Jacobi – la parrocchia di frontiera a Nord di Napoli, ubicata “circa montes” (Capodimonte), decorata dall’Arcivescovo Giovanni III Orsini (1337), la prima delle tre dignità diocesane: Arcipretura dei luoghi montuosi – divenne méta anche di napoletani e di paesi vicini per lucrare della “grande perdonanza” (come a Compostella), cioè un’indulgenza straordinaria per il perdono dei peccati; pellegrinaggi si effettuavano nella festa o giorno di San Giacomo, e la città di Napoli – annota l’antesignano dei cronisti calvizzanesi, il notar Sirleto (1663) – restava quasi vuota e riceveva per divozione la tradizionale “Carità del grano”, atto caritativo e religioso che si rinnova nell’attuale Chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie (dal 1608), ogni anno nella festa liturgica – al 25 luglio – distribuendo, alla fine delle Sante Messe, il pane benedetto”[17].

Il primo notaio calvizzanese, vissuto nel Seicento, Marco Antonio Sirleto, autore di un fondamentale manoscritto per la conservazione di memorie locali, noto come “Plateia”, che amava definirsi “amante di antichità”, si impegnò a raccontare, per quanto possibile fedelmente, le più antiche tradizioni dei vecchi cittadini di Calvizzano”. Egli ci riporta sotto una indicazione particolare (“Carità del grano”), per il 1663, la seguente dichiarazione:

“Nella festa o giorno di S (an) Giacomo Ap (ostolo) restava quasi vuota la città di Napoli e le (località) circonvicine per concorrere alla perdonanza e festa prescritta – non essendo al tempo ancora edificata la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli alla strada Toledo di detta città (di Napoli) – per continuare l’antica usanza, essendo che la Città in quel tempo non aveva altro spasso o delizia che venire in questo Casale, come primo figlio di essa Città. E li poveri mendicanti del Regno da estrema parte di esso venivano in detta giornata a ricevere la Carità del grano che dispensavano e distribuivano le persone in detto Casale ed anche a quelli si dava la Carità di mangiare. Il più povero di detto Casale in quella giornata dispensava almeno un tomolo[18] di grano in allegrezza ed in onore di San Giacomo, e gli altri da grado in grado facevano secondo le qualità loro. Essendovi in quel tempo in detto Casale, Case e Famiglie ricchissime e facoltose, il che al presente molti se lo ricordano. (…) ed oggi, deplorevole giornata, per la grande penuria e povertà del Casale di Calvizzano, si è lasciato di fare tanto bene”.[19]  

 

Tratto dall’articolo del prof. Luigi Trinchillo sull’antica chiesa dedicata a San Giacomo


[15] Il cui nome era, all’epoca, ancora di incerta origine e spiegazione.

[16] Potrebbe sembrare banale, ma il redattore di queste note ricorda di averlo sentito affermare dal diretto interessato.

[17] La citazione è tratta dall’opuscolo già citato di Don Giacomo Di Maria: Una importante scoperta archeologica, a pagina 8.

[18] Il tomolo era una misura di capacità per granaglie e materiali aridi in genere, di valore abbastanza vario nelle singole regioni dell’Italia Meridionale e nei vari periodi storici in cui fu in uso. A Napoli, nel XVII secolo, un tomolo valeva all’incirca il corrispondente attuale di 45 chilogrammi. Da segnalare, comunque, che lo stesso nome stava ad indicare anche un’unità di misura di superficie agraria, sempre in uso nel Centro-Sud d’Italia, di valore decisamente ancora più incerto da definire. 

[19] Il testo appena riportato dalla “Platea” del notaio Marco Antonio Sirleto è andato perduto, insieme con l’intero manoscritto sirletano, probabilmente bruciato nel periodo del Secondo Conflitto Mondiale. Il professore Don Raffaele Galiero, che poté averlo fra le mani durante la prima stesura del suo volume Il mio Paese, trascrisse l’intero documento, che lo coinvolgeva, in particolare, per motivi pastorali, in quanto attestava l’antica tradizione locale calvizzanese della Carità del pane, comune ad altre simili (si pensi alla distribuzione del pane di Sant’Antonio, ancor’oggi vivacissima a Padova, ma anche qua e là in Italia e altrove). A Calvizzano essa fu ripresa quale atto devozionale negli anni Cinquanta/Settanta, rinvigorita nello spirito del XXX Sinodo della Chiesa Napoletana degli anni Ottanta, tendente a recuperare la tradizionale religiosità popolare locale, ma è andata perdendosi alquanto in quelli a noi più vicini. 

 



Visualizzazioni della settimana