Marano, il Comune condannato al pagamento del risarcimento di 276mila500 euro in favore della società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. : la sentenza

 


Un’altra tegola si abbatte sul Comune, condannato al pagamento, in favore della società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione, del risarcimento 276.500,05 euro, oltre interessi legali. Il Tribunale di Napoli Nord (con sede ad Aversa), in composizione monocratica, ha dichiarato la risoluzione, per grave inadempimento del Comune di Marano di Napoli, del contratto di concessione stipulato tra le parti in data 25.5.2006.

L’iter del Giardino dei Ciliegi di via Che Guevara, con annesso risanamento delle case popolari di via Piave, è stato abbastanza tribolato. Nel lontano ’96, la Regione fa sapere che è disposta a finanziare progetti di recupero urbano ai Comuni che riescono ad attrarre capitali privati per costruire opere pubbliche. L’amministrazione si dà da fare e riesce, nel ’98, ad approvare il progetto preliminare in Consiglio comunale. Non si riesce, però, a individuare un referente privato disposto a investire in questa operazione. L’intenzione dell’amministrazione era quella di aprire i cantieri prima delle elezioni amministrative del 2001, ma sorgono vari problemi burocratici. A marzo 2001 viene approvata in Consiglio comunale l’adozione dei vincoli a tutela dei terreni interessati dal progetto, in modo da utilizzarli solo per una zona di servizi con verde attrezzato. A votare contro, sono solo i due consiglieri Verdi, “Nella concezione di villetta comunale – dichiarò Tammaro al periodico L’attesa – c’è poco spazio per il verde e molto per il cemento. Ecco perché, provocatoriamente, votiamo contro”.

Nel 2003, viene finalmente bandita la gara per il progetto Giardino dei Ciliegi:  risultano vincitrici la società Edilsa s.r.l. e l'Associazione Polisportiva Partenope, poi confluite nella società consortile Giardino dei Ciliegi.

Il progetto prevedeva la realizzazione di due piscine, un’area ludico-sportiva, un parcheggio e un centro per anziani. Alla fine non si è fatto più nulla.

La sentenza emessa dal Tribunale Napoli Nord in data 23 settembre 2023

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO

(…) Con atto di citazione ritualmente notificato, la società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione deduceva: che, con atto pubblico del 25.5.2006, rogato dinanzi al Segretario Generale, il Comune di Marano di Napoli aveva affidato in concessione alla società, ai sensi degli artt. 19 e 20 L. n. 109/94, la costruzione e la gestione di una struttura sportiva polifunzionale - attrezzata di piscina, palestra, centro benessere, bar-ristorante, area gioco bambini, parcheggi - che doveva sorgere in Marano di Napoli, alla località denominata Giardino dei Ciliegi, da realizzarsi nell'ambito del Piano di Recupero Urbano dell'Ente; che l'affidamento prevedeva la concessione dell'attività di progettazione, costruzione e gestione della struttura, in maniera tale che il vincitore della gara fosse messo in condizione di rientrare nei costi sostenuti attraverso una gestione dell'impianto destinata a durare 25 anni, e ciò sulla scorta di quanto previsto dal Piano Economico Finanziario (P.E.F.) approvato in sede di gara; che, infatti, la concessione era stata stipulata all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, di cui erano risultate vincitrici la società Edilsa s.r.l. e l'Associazione Polisportiva Partenope, poi confluite nella società consortile Giardino dei Ciliegi; che, con la concessione, il Comune di Marano di Napoli si era obbligato a conferire il diritto di superficie delle aree edificatorie destinate alla realizzazione del progetto, obbligandosi ad acquisire dette aree a mezzo mediante procedure di esproprio e/o consegna, con l'impegno ad adoperarsi al compimento di tutti gli adempimenti a ciò necessari; che, alla realizzazione dell'opera, sarebbe stata funzionale l’accensione di un mutuo, nonché il rilascio di idonea polizza fideiussoria a garanzia della regolare e completa esecuzione dei lavori, per un importo non inferiore al 10% del costo di costruzione, polizza fideiussoria al cui rilascio si era impegnato il Comune in virtù della convenzione integrativa stipulata in data 12.3.2007; che, sulla scorta di quanto pattuito, le erogazioni da parte dell'istituto finanziario individuato sarebbero avvenute sulla base di idonea certificazione degli stati di avanzamento dei lavori; che, tuttavia, il Comune di Marano di Napoli era del tutto venuto meno agli impegni assunti, ragione per cui alla condotta inadempiente dell'Ente era seguita tutta una serie di contenziosi dinanzi alla giustizia amministrativa; che, in particolare, il Comune non aveva messo a disposizione le aree necessarie all'avvio dei lavori; che, pertanto, a seguito di una prima diffida notificata all'Ente, effettuata allo scopo di sollecitarlo all'avvio delle procedure espropriative, la società si era vista costretta ad impugnare dinanzi al TAR Campania il silenzio serbato dalla P.A.; che, con sentenza di accoglimento n. 1475/2009, era stato ordinato al Comune di Marano di Napoli di provvedere a quanto richiesto ma che, a fronte della perdurante inerzia, era stato dato avvio ad un giudizio per nza; che, quindi, il Comune di Marano si era costituito deducendo che l'attività di acquisizione delle aree oggetto di concessione era stata annullata da parte del TAR sulla base di alcuni vizi di procedura; che, data la perdurante inerzia dell'Ente, era stato quindi intrapreso un nuovo giudizio dinanzi al TAR che aveva disposto la nomina di un commissario individuato nella persona dell' arch. Alberto D'Urso; di aver, nonostante il decorso di quasi dieci anni dalla presentazione del progetto, manifestato ancora un interesse alla realizzazione del progetto, pur evidenziando tuttavia la necessità che vi fosse una revisione dei prezzi pattuiti per l'esecuzione dell'opera e dei termini della concessione, non più convenienti alla luce del considerevole lasso temporale trascorso; di aver quindi presentato all'Ente un nuovo progetto esecutivo, con prezzi e quadro economico aggiornati, del valore complessivo di 5.081.092,62; che, nonostante la disponibilità inizialmente manifestata dal Comune, nessuna delibera successiva era stata però adottata sul punto; di aver, in data 17.11.2014, nuovamente diffidato l'Ente, diffida alla quale era seguita la predisposizione, da parte del dirigente dell'Area Tecnica comunale, l'arch. Di Lorenzo, di una proposta di delibera contenente le modifiche alla convenzione in linea con il nuovo progetto esecutivo, delibera che tuttavia il Consiglio Comunale non aveva approvato; che, a seguito di un ulteriore ricorso, il TAR Campania, con la sentenza n. 2385/2015, aveva ulteriormente stigmatizzato la condotta inadempiente del Comune ed aveva nuovamente nominato come commissario l'arch. DUrso; che, a fronte della perdurante inerzia del Comune, che aveva omesso di approvare uno schema di convenzione modificato, era stato promosso un nuovo giudizio di ottemperanza, definito con una decisione che era stata poi stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione; di aver, in data 8.6.2018, formulato la proposta di un nuovo Piano Economico Finanziario (P.E.F.) rispettoso delle disposizioni emesse dall'ANAC in tema di concessione, ma che anche a 3 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 tale iniziativa era seguita l'inerzia del Comune; di aver commissionato un'analisi allo Studio Associato Falco, volta a verificare se le condizioni della convenzione del 2006 e dell'antico piano finanziario rendessero ancora praticabile ed economicamente sostenibile la realizzazione del progetto; che, com'era agevolmente intuibile, l'esito dello studio era stato negativo; che allo scopo di evitare l'aggravarsi della propria situazione economica era stata deliberata la messa in liquidazione della società; che l'ingiustificato e perdurante inadempimento dell'Ente comunale aveva completamente frustrato la propria attività imprenditoriale; che, a fronte del grave inadempimento di cui si era reso responsabile il Comune di Marano di Napoli, il contratto poteva essere dichiarato risolto e l'Ente convenuto doveva essere ritenuto responsabile di tutti i danni cagionati, dovendosi tra questi comprendere: i costi sostenuti dalla società per il conseguimento della concessione (costi di progettazione, di consulenza tecnica e legale, etc.), costi indiretti di gestione e funzionamento della società, costituita al solo scopo di realizzare il progetto naufragato, nonché - sotto il profilo del lucro cessante - il mancato guadagno, calcolato sulla base del mancato reddito ed interessi. Tanto premesso ed esposto, convenendo in giudizio il Comune di Marano di Napoli, concludeva affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto di concessione d'appalto stipulato in data 25.5.2006 per grave inadempimento dell'Ente e che, per l'effetto, quest’ultimo fosse condannato al pagamento del risarcimento pari ad 2.482.329,74 a titolo di lucro cessante, e ad 376.000,00 a titolo di danno emergente, ovvero alla somma maggiore o minore da accertarsi in corso di causa, eventualmente anche facendo ricorso ad una C.T.U.. Si costituiva in giudizio il Comune di Marano di Napoli che, opponendosi alle ragioni poste a fondamento della domanda, assumeva: il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo tenuto conto del fatto che la convenzione in questione costituiva uno strumento di attuazione del PRU (Piano di Recupero Urbano) cd. Giardino dei ciliegi, che a sua volta era oggetto di un accordo di programma ex art. 27 L. 142/90; che, pertanto, involgendo la controversia l'esecuzione di accordi amministrativi, era attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133 co. 1, lett. c) c.p.a.; che, nel merito, in ogni caso andava escluso il proprio grave inadempimento dal momento che il compimento delle procedure espropriative non era assoggettato ad una specifica disciplina temporale, qualificata o qualificabile come 4 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 essenziale; che la convenzione aveva stabilito che l'attività di costruzione dovesse essere preceduta, da un lato, dal rilascio del permesso di costruire e, dall'altro lato, dalla conseguita disponibilità delle aree acquisite a seguito delle procedure di esproprio e/o consegna delle aree; che, pertanto, la convenzione, oltre a prevedere tali condizioni, risultava chiarissima nel non contemplare alcun termine di avvio ed ultimazione di tale procedure; che, inoltre, l'art. 22 della convenzione aveva previsto un rinnovo della sua durata a semplice richiesta, in tal modo prevedendo un meccanismo compensativo volto a neutralizzare l'ipotesi di eventuali sopravvenienze (come significative maggiorazioni dei prezzi di mercato), ragione per cui non poteva essere in alcun modo contemplata una revisione convenzionale del P.E.F.; che, pertanto, le parti già avevano previsto, con la possibilità di rinnovo della durata della gestione, un rimedio utile a garantire l'equilibrio economico finanziario dell'operazione; che, inoltre, l'art. 15 aveva previsto che il concessionario stesso potesse aggiornare ogni triennio le tariffe allegate in sede di P.E.F e progetto esecutivo; che la pretesa della controparte a che la convenzione dovesse essere integrata dalle linee guida dell'ANAC non aveva alcun fondamento convenzionale o normativo; che, all'attualità, le aree erano state espropriate e messe a disposizione del concessionario; che del tutto inesistente, sia nell' che nel , doveva ritenersi il danno lamentato dalla società attrice; che, peraltro, l'art. 27 della convenzione aveva previsto una quantificazione dell'indennizzo dovuto al concessionario in caso di risoluzione per inadempimento di una delle parti. Ciò posto, concludeva affinché le domande fossero dichiarate inammissibili o che comunque venissero ritenute infondate nel merito. La causa veniva istruita mediante espletamento di un C.T.U. disposta dal precedente giudicante titolare del procedimento. Quindi, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e riservata in decisione dallo scrivente, subentrato nella titolarità del ruolo a far data dal 27.9.2021. La domanda è fondata nei limiti che si vanno ad indicare. La società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione, convenendo in giudizio il Comune di Marano di Napoli, ha proposto una domanda di risoluzione della convenzione di affidamento in concessione stipulata in data 25.5.2006, domanda fondata sul grave inadempimento della P.A. concedente, che secondo la prospettazione attorea - sarebbe venuta meno, nel corso degli anni, agli obblighi contrattuali assunti. Quindi, la parte 5 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 attrice ha altresì richiesto che l’Amministrazione convenuta venisse condannata al risarcimento di tutti i danni subiti, sia con riferimento al danno emergente che al lucro cessante. Orbene, in via preliminare, va affermata la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande spiegate dalla società attrice sulla scorta del consolidato orientamento di legittimità in punto di riparto di giurisdizione, da ultimo confermato dalle Sezioni Unite con ordinanza del 16/03/2023, n. 7735. A tal proposito, la Suprema Corte ha evidenziato che, ai fini che qui interessano, rileva il sostanziale, che si identifica sia in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, sia e soprattutto in funzione della, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione ( Cass. Sez. U. n. 20350-18, Cass. Sez. U. n. 12378-08; più di recente Cass. Sez. U. n. 13702-22). Nel caso concreto il sostanziale all grave inadempimento della stazione appaltante, inadempimento su cui si fonda la pretesa risolutoria e quella risarcitoria. In sostanza, la società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione ha agito per ottenere una pronuncia risolutoria della convenzione, basata, da un lato, sul venir meno del Comune di Marano di Napoli ai doveri negoziali assunti, inadempienze che avrebbero impedito al concessionario l’avvio dei lavori e, dall’altro lato, sul rifiuto dell'Ente medesimo di avviare il procedimento di revisione del Piano Economico Finanziario della concessione in affidamento. Alla disciplina del contratto è dunque legata l'azione che qui rileva. Quel che a tal fine rileva è che, quando si faccia riferimento all'attività negoziale della Pubblica Amministrazione, sono devolute al giudice amministrativo le controversie che attengono alla fase preliminare, antecedente e prodromica al contratto, inerenti cioè alla formazione della volontà e alla scelta del contraente in base alle regole dell'evidenza pubblica, ma non quelle invece che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento. Tali controversie riguardano la disciplina dei rapporti scaturenti dal contratto in quanto tale, senza che l'asse della giurisdizione possa essere spostata dall'adozione di determinazioni della parte pubblica, giacché codeste quale che ne sia la ragione si 6 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 collocano pur sempre nell'alveo di un rapporto ormai paritetico (cfr. Cass. Sez. U. n. 14188-15, Cass. Sez. U. n. 2144-18, Cass. Sez. U. n. 5597-20, 7219-20, Cass. Sez. U. n. 5971-23). Ancora in via preliminare, vanno chiarite le affinità e le differenze tra le figure negoziali dell'appalto di lavori e della concessione di lavori (quest'ultima rilevante nel caso di specie), accomunate dallo scopo perseguito, in quanto entrambe preordinate alla realizzazione di un'opera corrispondente alle esigenze della Pubblica Amministrazione, ma divergenti in punto di durata del rapporto, di meccanismo di remunerazione e di accollo del rischio imprenditoriale. Invero, laddove nell'appalto di lavori l'appaltatore è remunerato direttamente dalla Pubblica Amministrazione tramite il pagamento del prezzo quale corrispettivo predeterminato per l'opera realizzata, nella concessione di lavori la controprestazione posta a carico dell'Amministrazione concedente consiste, invece, nel riconoscimento in capo al concessionario del diritto di gestire funzionalmente e sfruttare economicamente l'opera realizzata, con risorse proprie del concessionario, per un determinato periodo di tempo al fine di ammortizzare gli investimenti dallo stesso effettuati in luogo dell'Amministrazione concedente ed i relativi costi di gestione. Nella concessione di lavori all'obbligazione principale, comune all'appaltatore, di realizzare l'opera, si somma, dunque, la successiva gestione onerosa in favore dell'utenza finale. Sotto il profilo temporale ne consegue che la concessione di lavori ha ordinariamente durata maggiore rispetto all'appalto in quanto l'opera non viene consegnata all'Amministrazione al positivo esito del collaudo, ma alla scadenza della concessione. La durata ragionevole della concessione, pertanto, è coessenziale alla riuscita dell'operazione imprenditoriale sotto il profilo finanziario in quanto deve, quantomeno astrattamente, consentire al concessionario di ammortizzare i costi sostenuti per la realizzazione e la gestione dell'opera. Altro fondamentale tratto distintivo che differenzia la concessione rispetto al contratto di appalto è rappresentato dalla sussistenza di un rischio operativo sostanziale, da ultimo definito dal legislatore come (in tal senso l'articolo 3, lettera zz) del decreto legislativo n. 50 del 2016). Il legislatore ha 7 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 recentemente chiarito, infatti, che il rischio operativo si ritiene sussistente nel caso in cui, in condizioni operative normali (per tali intendendosi l'insussistenza di eventi non prevedibili) (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 26/04/2019, n. 343). Il legislatore, avuto riguardo alla circostanza che nella concessione gli impegni assunti dall'operatore economico sono correlati ai ricavi ragionevolmente generati sulla base di una valutazione prognostica posta alla base dell'offerta economica presentata in sede di gara confluita nel c.d. Piano Economico Finanziario (P.E.F.) (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 aprile 2018, n. 2214) che concreta, in ultima analisi, un (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 luglio 2020, n. 4636), ha previsto meccanismi correttivi, in parte mutuati dai principi di diritto comune espressi all'art. 1467 c.c., a tutela dell'equilibrio economico-finanziario eventualmente alterato in costanza del rapporto da attuarsi, per l'appunto, attraverso la revisione del P.E.F. e la conseguente rimodulazione delle previsioni contrattuali a rilevanza economica (ad esempio la proroga della durata della concessione piuttosto che la riduzione del canone o delle royalties), al ricorrere di determinate condizioni previste per legge. Invero, lart. 19, comma 2 , L. 104/1994 stabiliva che 8 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 . La disciplina da applicare al rapporto contrattuale in questione deve appunto essere rinvenuta nella Legge 11 febbraio 1994, n. 109 (legge quadro in materia di lavori pubblici) e nei suoi regolamenti attuativi, vigente al momento dell'insorgenza del rapporto e non anche nel successivo Codice dei contratti pubblici portato dal Decreto legislativo n. 163/2006, entrato in vigore solo in data 1.7.2006. Tanto premesso, la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento del Comune di Marano di Napoli è fondata e va accolta per quanto di ragione. Il rimedio generale della risoluzione del contratto di cui agli articoli 1453 ss c.c. è applicabile agli appalti di opere pubbliche (rientranti nell'attività di diritto privato della P.A.) quanto meno perché l'azione discende, nella sua essenza, dai principi propri dei contratti sinallagmatici, senza che la qualità delle parti contraenti possa esercitare al riguardo alcuna influenza. Per il successivo art. 1455 c.c., inoltre, non ogni inadempimento legittima la domanda di risoluzione, avendo la norma ricondotto la sanzione dello scioglimento del contratto ad una regola di proporzionalità, in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è collegata soltanto all'inadempimento di obbligazioni che, per le modalità e circostanze, abbiano notevole rilevanza nell'economia del rapporto sia con riguardo all'interesse 9 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 dell'altra parte, sia con riguardo all'esigenza di mantenere l'equilibrio tra prestazioni di eguale importanza. Per valutare la gravità dell'inadempimento va rilevato che la Cassazione con la sentenza 2799/97 ha affermato che, poiché la non scarsa importanza dell'inadempimento è elemento attinente al fondamento della domanda di risoluzione, il giudice è tenuto a verificare, anche officiosamente, in base alle contrapposte deduzioni delle parti e comunque in base alle risultanze degli atti, se l'inadempimento accertato si presenti caratterizzato dalla connotazione di importanza che giustifichi, alla stregua della considerazione dell'interesse dell'altra parte, la richiesta di risoluzione, e a dare ragione dell'esito di tale valutazione con adeguata motivazione. La valutazione della gravità dell'inadempimento esige di essere effettuata con riferimento al momento del verificarsi dell'alterazione dell'equilibrio del rapporto sinallagmatico. Ai fini della pronuncia di risoluzione, il giudice deve procedere alla valutazione del comportamento di entrambe le parti, compiendo una indagine globale e unitaria coinvolgente nell'insieme tutto il comportamento di ciascuna parte, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell'inadempimento, perché l'unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ciascuna delle parti (indipendentemente dalla collocazione cronologica delle stesse in epoca anteriore o posteriore alla domanda di risoluzione) non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente ma esige un apprezzamento complessivo. L'importanza dell'inadempimento deve essere valutata tenendo conto dell'economia generale del contratto e degli interessi sostanziali che le parti aspirano a vedere soddisfatti con l'esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali secondo le modalità previste, con criterio idoneo a realizzare la coordinazione tra l'elemento oggettivo (la condotta) e l'elemento soggettivo (le finalità concretamente perseguite), nel cui ambito l'inadempimento assume rilevanza, al di là di una valutazione strettamente economica, quale causa di turbamento della prevista corrispettività, anche sotto il profilo del venir meno della fiducia nell'ulteriore corretta esecuzione. Perciò il giudice nel valutare la fondatezza della domanda di risoluzione per inadempimento non può non tener conto (anche in difetto di una formale eccezione ai sensi dell'art. 1460 c.c.) delle difese con cui la parte contro la quale la domanda viene proposta opponga a sua volta l'inadempienza dell'altra parte. 10 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019. Tale inadempienza deve essere considerata nella sua interezza, perché solo attraverso siffatta considerazione totale può risultare soddisfatta l'esigenza di completezza di quell'apprezzamento relativo e comparativo della gravità dei reciproci inadempimenti che il giudice deve porre a fondamento della propria opzione valutativa ai fini della decisione. E se è vero che il giudice non è tenuto, in sede motivazionale, ad analizzare ogni singolo dato acquisito al processo (potendo ritenersi assolto l'obbligo della motivazione con la esauriente giustificazione delle ragioni della decisione in base a quelle risultanze che siano in concreto ritenute determinanti ai fini della soluzione adottata) è pur vero che non si può prescindere dalla necessità che dal contesto complessivo della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi suscettibili di incidere in maniera rilevante sull'equilibrio del contratto, rendendo conoscibile il fondamento logico e giuridico del proprio convincimento. Alla luce dei principi esposti, deve ritenersi che l'appaltatrice possa legittimamente agire per la risoluzione del contratto a fronte dei ripetuti inadempimenti della committente ai sensi degli artt. 1453 e ss. c.c.. In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. S.U. 13533 del 2001). Ciò posto in punto di diritto, la convenzione per l'affidamento in concessione stipulata il 25.5.2006 ha previsto tutta una serie di obblighi gravanti su entrambe le parti. Il concessionario - odierna parte attrice - si impegnava a realizzare le opere secondo i progetti esecutivi che avrebbe dovuto sottoporre all'esame della stazione appaltante al fine poi di ottenere il rilascio del permesso di costruire; quindi, acquisita la materiale disponibilità delle aree, avrebbe dovuto eseguire a perfetta regola d'arte le opere previste negli elaborati progettuali, nel pieno rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia. Realizzata la struttura sportiva polifunzionale oggetto della concessione, la società ne avrebbe dovuto garantire un uso pluralistico all'utenza cittadina, provvedendo ad una gestione conforme alle prescrizioni contrattuali. 11 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 Dal canto suo, invece, il Comune di Marano di Napoli, sulla scorta di quanto previsto dallart. 10 della convenzione, si impegnava a dare corso alle procedure utili all'esproprio delle aree relative ai lotti concessi in diritto di superficie alla concessionaria, aree ove avrebbe avuto luogo l'attività di edificazione; quindi, avrebbe dovuto farsi carico delle spese di esproprio e delle relative indennità. All'esito avrebbe dovuto curare a proprie spese le trascrizioni in proprio favore con vincolo di superficie in favore della società concessionaria ed avrebbe dovuto procedere, mediante emissione di decreto di occupazione d'urgenza, all'immissione in possesso delle aree in favore della società attrice. La parte finale dell'art. 10 espressamente prevedeva poi che . Inoltre, con l'accordo integrativo concluso tra le parti in data 12.3.2007, il concedente si impegnava altresì a rilasciare garanzia fideiussoria a favore del concessionario, una polizza che sarebbe stata rilasciata preliminarmente alla stipula del contratto di mutuo. In tal modo richiamati gli obblighi contrattuali assunti dalle parti e, in particolare, dal Comune di Marano di Napoli, promuovendo il presente giudizio la società Giardino dei Ciliegi, a fondamento dell’azione di risoluzione esperita, ha allegato la totale inadempienza dell'Ente ai vincoli negoziali assunti. Con diffida del 20.10.2008 la parte attrice, dando atto di aver presentato i progetti esecutivi per realizzare le opere circostanza quest’ultima mai contestata dalla parte convenuta - e di aver quindi ottemperato ai doveri contrattuali posti a proprio carico e relativi alla fase iniziale del rapporto di concessione, invitava l'Amministrazione a porre in essere tutti gli atti necessari all’avvio dell’attività esecutiva della convenzione. Tale invito restava tuttavia privo di esito, di talché il concessionario, impugnando il silenzio, instaurava un giudizio amministrativo dinanzi al TAR Campania, che si concludeva con una pronuncia (sentenza n. 1475/2009) che ordinava al Comune di dare il riscontro alla diffida e di proseguire il procedimento amministrativo (cfr. doc. 4 allegato alla memoria ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c.). Il medesimo scenario si riproponeva in maniera identica a seguito di una seconda diffida del 12.10.2009. Anche in questo caso il TAR, con la sentenza n. 1627/2010, ribadiva 12 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 l'obbligo del Comune di provvedere e nominava a tal fine un commissario . Dalla documentazione versata in atti si ricava allora che il concedente, dal 2006 (anno di stipula della convenzione) e sino al 2014 (quando poi la società si attivava per richiedere formalmente una revisione del P.E.F.), non si sia in alcun modo adoperato per dare avvio e portare a conclusione tempestivamente le procedure di esproprio, così da consentire all'appaltatrice di essere immessa nel possesso delle aree e di dare quindi inizio all'attività edificatoria. A fronte delle puntuali allegazioni della parte istante, l'Ente convenuto, su cui gravava il relativo onere della prova, non ha in alcun modo dimostrato di essersi invece tempestivamente adoperato per la riuscita della importante operazione contrattuale messa in campo e di aver quindi compiuto le attività poste a suo carico. Né, d'altro canto, risultano essere state fornite dalla parte convenuta - né in questa sede, né a seguito delle diffide stragiudiziali inviate dal concessionario valide, convincenti e documentate giustificazioni, utili a chiarire le ragioni della situazione di stallo di fatto determinatasi e protrattasi per anni. Il Comune di Marano di Napoli si è limitato a richiamare in maniera assolutamente generica delle problematiche afferenti le procedure espropriative avviate, annullate per alcuni vizi accertati. Trattasi di affermazione solo allegata e rimasta del tutto priva di adeguato riscontro probatorio. L’Ente non ha infatti né affermato, né documentato se tali problematiche abbiano riguardato tutte le aree coinvolte nel progetto o solo una parte di queste, né ha poi chiarito in che momento tali criticità siano state superate e quali azioni siano successivamente state messe in campo per dare corso alloggetto della concessione. Peraltro, dal contenuto della sentenza del TAR sopra richiamata (n. 1627/2010) sembrerebbe evincersi che l'annullamento avrebbe riguardato le procedure espropriative relative solo a poche e limitate aree, una minima parte rispetto a tutte quelle interessate dalla concessione che, al contrario, erano state già acquisite al patrimonio comunale. Dunque, emerge con chiarezza la totale inerzia che ha caratterizzato la condotta del Comune di Marano di Napoli all'indomani della stipula della convenzione, inerzia protrattasi quanto meno sino al 2014, per un lasso temporale considerevole, nel corso del quale, senza alcuna valida motivazione - nemmeno eventualmente riconducibile ad una ipotetica condotta inadempiente del concessionario (mai richiamata dalla parte 13 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 convenuta) - la società attrice non è stata posta in condizione di dare corso ai lavori di realizzazione delle opere oggetto della concessione. Va altresì considerato che, se è certamente vero che la convenzione di concessione non faceva riferimento ad alcun limite temporale entro il quale dovessero essere avviate e concluse le procedure espropriative, il fatto che sia trascorso un periodo di tempo tanto prolungato, pari a circa otto anni dalla stipula del contratto, senza che il concedente abbia dato prova di essersi in alcun modo adoperato per consentire alla società appaltatrice di essere immessa nel possesso delle aree e di dare così inizio ai lavori, non può che configurare una condotta contraria a buona fede e del tutto irrispettosa dei doveri negoziali assunti dall'Amministrazione. La condotta tenuta dal Comune di Marano di Napoli certamente configura allora quel grave inadempimento contrattuale, idoneo a fondare una pronuncia di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c.. Pertanto, va pronunciata la risoluzione del contratto per grave inadempimento della P.A.. Per mera completezza dell’esposizione va altresì posto in evidenza come, a sostegno della domanda, la società consortile abbia altresì allegato l'ulteriore violazione dei doveri contrattuali derivanti dalla mancata disponibilità del Comune a dare corso ad una revisione del Piano Economico Finanziario. La parte attrice ha infatti rappresentato che negli anni successivi, a partire dal 2014, si era adoperata affinché lEnte procedesse ad una revisione del P.E.F. alla luce del lungo lasso temporale trascorso, che in sostanza aveva reso non più conveniente e praticabile la realizzazione dell'appalto alle condizioni concordate nel 2006. Quindi, nonostante le aperture e la disponibilità manifestata dall'Area Tecnica del Comune, il Consiglio Comunale, che avrebbe dovuto dare il proprio nulla osta alla revisione del Piano, non aveva approvato la relativa delibera proposta. Orbene, opina lo scrivente che, in ragione della normativa di settore allepoca vigente e già sopra richiamata, non sussisteva alcun obbligo normativo in capo alla stazione appaltante di procedere ad una revisione del Piano Economico Finanziario a base della concessione ma che, solo in presenza di determinate sopravvenienze, allo scopo di garantire il permanere dell'equilibrio economico e finanziario degli investimenti e della commessa gestione, l'Amministrazione avrebbe potuto decidere di accettare le modifiche richieste. Nessun obbligo di legge o alcun dovere previsto dal contratto imponeva alla 14 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 P.A. tale revisione, ferma restando la possibilità in capo al concessionario di esercitare legittimamente il diritto di recesso dalla convenzione laddove, pur in presenza delle condizioni di legge, alla richiesta di una rimodulazione delle condizioni economiche della concessione, non fosse seguita alcuna disponibilità da parte della stazione appaltante. Dichiarata la risoluzione del contratto per grave inadempimento del Comune di Marano di Napoli, deve a questo punto passarsi all'esame della domanda di risarcimento avanzata dalla società attrice. Sul punto la società concessionaria ha richiesto il ristoro sia del danno emergente che del lucro cessante. Con riferimento al danno emergente, l’ istante ha fatto riferimento ai costi sostenuti per l'ottenimento della concessione (costi di progettazione e di consulenza tecnica e legale, etc.), nonché ai costi indiretti di gestione e funzionamento della società, costituita al solo scopo di realizzare l'oggetto della concessione, costi tutti quantificati complessivamente in 376.000,00. Con riferimento al lucro cessante, la parte ha fatto invece riferimento alla perdita derivante dal mancato reddito in ragione della mancata realizzazione del progetto, voce di danno quantificata in 2.482.329,74, importo comprensivo di rivalutazione ed interessi. La normativa applicabile alla vicenda contrattuale in esame, la legge n. 104/1994, nell ipotesi di risoluzione contrattuale, allart. 37 , comma 1, prevede che . Pertanto, questi sono i criteri di legge che devono orientare la stima del ristoro dovuto alla società attrice per i danni sofferti in ragione della risoluzione dovuta 15 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 all inadempimento della controparte. Con riferimento alla voce di danno di cui alla lettera a), si evidenzia che la circostanza che i lavori non abbiano mai avuto inizio e che nessuna opera sia stata realizzata dal concessionario esclude di ritenere dimostrata tale voce di danno. Nessuna delle parti in causa ha provato documentalmente il P.E.F. richiamato nella concessione, ragione per cui non può allo stato verificarsi se, nell ti che il concessionario avrebbe dovuto sostenere per realizzare le opere, fossero anche inclusi anche quelli di progettazione e quale ne fosse il relativo valore. Tuttavia, pur a voler ritenere provato che il concessionario abbia diritto al rimborso dei costi sostenuti per l ettazione, non potrebbe comunque riconoscersi alla parte il ristoro richiesto atteso che nessuna prova è stata in alcun modo fornita degli esborsi sostenuti per tale causale. La parte si è infatti limitata a documentare la richiesta di compenso avanzata dall'ing. Lucio de Rosa - - senza tuttavia fornire alcun riscontro documentale alla corresponsione dell'importo della parcella. Parimenti, non può essere accolta la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute per fare fronte ai giudizi amministrativi instaurati, trattandosi di costi non direttamente riconducibili all'attività esecutiva della concessione e, pertanto, non sussumibili nell'ambito della previsione normativa richiamata (senza considerare il fatto che il titolo fondante il diritto alla rifusione delle spese di lite non può che risiedere nelle sole pronunce dei giudici amministrativi che hanno definito i diversi giudizi). La lettera b) contempla il diritto del concessionario al rimborso delle penali e degli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione. Orbene, nessuna spesa è stata allegata con riferimento agli effetti della risoluzione contrattuale. In relazione invece alle penali, deve evidenziarsi come le parti, nell'ambito della convenzione, pare abbiano con l'art. 27 effettivamente incluso la previsione di una clausola penale. Il testo della clausola è il seguente: 16 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 . Trattasi evidentemente di una previsione contrattuale che ha predeterminato i criteri di calcolo del risarcimento dovuto in caso di risoluzione contrattuale, prevedendo criteri certamente più favorevoli rispetto a quelli legali, nonchè del tutto prescindenti dalla prova delleffettiva entità del danno subito dal concessionario; in tal senso allora tale clausola deve essere intesa come una clausola penale. In punto di diritto giova a tal riguardo osservare che (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10741 del 24/04/2008). Nel caso di specie la parte attrice, nell'ambito dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, non ha in alcun modo richiesto l'applicazione diretta della clausola (richiesta per la prima volta avanzata solo nell’ambito delle note d’udienza depositate il 18.2.2022), essendosi invece solo limitata ad indicare le voci di danno ed i relativi criteri di calcolo, questi ultimi del tutto diversi ed autonomi da quelli previsti dall’art. 27 della convenzione. Pertanto, facendo applicazione del principio di diritto sopra richiamato, in assenza di specifica e tempestiva domanda di parte, l'operatività della clausola penale contenuta nella convenzione non può che essere in questa sede esclusa. Il risarcimento dovuto va a questo punto calcolato esclusivamente sulla scorta del criterio 17 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 di diritto posto dalla lettera c) dell’art. 37 , cioè avuto riguardo al 10% del valore delle opere ancora da eseguire (che nel caso di specie corrispondono alla totalità di quelle previste dal Piano). A tal riguardo, ribadendosi il fatto che nessuna delle parti risulta aver fornito prova documentale del P.E.F., va comunque evidenziato che il costo delle opere originariamente programmato, , può in ogni caso ricavarsi dal contenuto della clausola contrattuale posta dall'art. 11. Pertanto, sulla base di tale dato, può riconoscersi il diritto del concessionario ad un .500,05. Al pagamento di detto importo va quindi condannato il Comune di Marano di Napoli, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Le spese di lite seguono strettamente la soccombenza, e sono liquidate, come da dispositivo, in virtù del D.M. Giustizia 55/2014 nella versione aggiornata al D.M. n. 147 del 13.8.2022, in relazione al valore della controversia - rientrante nello scaglione da - ente esercitata dai difensori costituiti per la parte attrice (estrinsecatasi nelle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, di cui al richiamato D.M., del quale andranno presi in riferimento, tuttavia, i relativi parametri minimi, data la limitata attività processuale svolta). Vanno definitivamente poste a carico del Comune di Marano di Napoli le spese di C.T.U., già liquidate come da separato decreto.

                                                           P .Q. M.

 

IL TRIBUNALE DI NAPOLI NORD in composizione monocratica, definitivamente pronunziando nella controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: letti gli artt. 1453, 1455 c.c., dichiara la risoluzione, per grave inadempimento del Comune di Marano di Napoli, del contratto di concessione stipulato tra le parti in data 25.5.2006; condanna il Comune di Marano di Napoli, in persona del Sindaco p.t., al pagamento, in favore della società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione, del risarcimento 276.500,05, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; 18 Tribunale di Napoli Nord R.G. 1650/2019 19 condanna il Comune di Marano di Napoli, in persona del Sindaco p.t., al pagamento, in favore della società Giardino dei Ciliegi s.c.a.r.l. in liquidazione, delle spese di lite relative al presente giudizio, che si liquidano in 1.700,00 per esborsi .229,00 per compenso, oltre rimborso spese generali, nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., se dovute, come per legge.

Così deciso in Aversa in data 23.9.2023

IL GIUDICE dott. Alfredo Maffei

 

 

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