Calvizzano, in via Roma “Irene non c’è più”: personaggi del passato nei ricordi dell’artista Paolo Ferrillo. L’omaggio poetico-musicale alla sua città di origine e l’ottima recensione dello scrittore Enzo Salatiello

 “Antieroi che della generosità e disponibilità erano l’incarnazione”

Ferrillo: tengo a precisare che ho sempre scritto per diletto, non ho mai pensato di proporre a qualcuno i miei testi musicati. So di non avere una bella voce ma per conservarli, dovevo cantarli e registrarli. Le registrazioni sono “casalinghe” e quindi “”arrangiate” (nel senso napoletano della parola).


“Antieroi che della generosità e disponibilità erano l’incarnazione”


Questa volta non sono i vari Peppe Pezone, Giorgio Zapparella, Lella Di Marino,  Franco Ciccarelli, Massimo Sabatino, Gennaro Gb Ricciardiello, con la sua “Street View”, a raccontare i personaggi del passato che hanno scandito le giornate di chi oggi ha superato abbondantemente i 50 anni. E’ Paolo Ferrillo, autore di “
Via Roma- Irene non c’è più”, che li racconta.

“Caro Mimmo (Rosiello di calvizzanoweb)  – scrive Paolo –  ho ricevuto la telefonata di Peppino (primogenito di Irene). Gli avevo inviato il brano dedicato a via Roma: era doveroso farlo, in quanto sua madre e la sua cantina sono il pilastro della canzone. Mi ha detto che gli ho regalato bellissime emozioni,  riportandolo indietro nel tempo. Abbiamo ricordato insieme le persone citate nel testo: “Maria re’ caramell”, “Michele ro’ pesc”,   “Pietr o portaletter”, “Giulietta”, cara amica d’infanzia che il male del secolo ha portato via tanti anni fa, “Graziella”…e che resteranno sempre nei cuori di chi ha abitato in via Roma. In quegli anni, ‘ncopp a chiazz”, durante le ore di luce, i portoni di accesso ai cortili erano sempre aperti ed esisteva una sola grande famiglia. I bambini – continua Paolo - erano “figli” di tutti e, ovunque giocassero, venivano accolti e sorvegliati. Non ho mai sentito la frase “ch’ stat a ffà”, “iatevenn”, ma solo “statev’ accort”, “nun v’ facit mal’”, “s’è fatt scure”, “e’ mamm voste stanno ‘mpziere”. “Iolanda”, “Giuseppin e Carminiell e Scirocc”, “don Gennar ‘o cuccin, “zì Siviell e pasteffasul”, “don Rafel’”, “Marilloccia”, “Maria a verola”, “’a cummara ‘Ngiulin”, “’a Papess”: per molti saranno solo nomi, ma dietro di essi (e quelli citati nella canzone) ci sono vite che andrebbero raccontate in un romanzo “Pratoliniano”, antieroi che, della generosità e della disponibilità, erano l’incarnazione.

“Se chiudo gli occhi – conclude Paolo – riesco a sentire le loro voci che dai balconi (benedetta l’assenza dei cellulari) si scambiavano informazioni, facevano richieste da tirare su con l’ausilio “do panar”, controllavano cosa accadeva in strada”.

 

Grazie Paolo per questi bellissimi ricordi che emozioneranno sicuramente chi ci legge, anche coloro che non hanno mai conosciuto questi personaggi della Calvizzano di un tempo.       

 

Via Roma (Irene non c'è più)

 

Li sentivo cantare nelle Sere d'estate

Il chiasso le urla e le tante risate

Era bello ascoltare la loro allegria

ed i tanti rumori di quell'osteria

 

I pugni sui tavoli battevano il tempo

Qualcuno si alzava e ballava contento

Qualcun'altro imprecava per il troppo rumore

E cercava nel vino una vita migliore.

 

Irene seduta sulla sedia impagliata

Con sguardo distratto osservava la strada

La mente tornava a quel grande dolore

Quando una scarica elettrica la privò del suo amore

 

Ma Irene non c'è più

Ora il vicolo è muto

Non si sente più niente

Neanche un saluto

Ma Irene non c'è più

Gli anni sono volati

Trasformando in ricordi

I momenti passati

 

Giulietta correva incontro alla vita

Negli occhi suoi il cielo e una speranza infinita

Antonio veniva per vederla passare

Dichiararle il suo amore e poterla sposare

 

Mia madre stendeva il bucato in cortile

Curava i suoi semi per vederli fiorire

Mio padre sul tetto che voleva aggiustare

E Pietro aspettava leggendo il giornale

 

Franco rientrava insieme agli amici

Con due secchi di latta ricolmi di noci

Cinque noci una mano Irene contava

Una mano ogni cinque nella conta saltava

 

Ma Irene non c'è più

Ora il vicolo è muto

Non si sente più niente

Neanche un saluto

Ma Irene non c'è più

Il vicolo ha un'aria stanca

Dietro i volti svaniti

Tanta vita che manca

 

 

Michele passava di primo mattino

Spingendo in salita il suo carrettino

Fermandosi quando si sentiva chiamare

Ed il pesce bagnava con acqua di mare

 

Maria all'alba lessava castagne

Che vendeva in coni di carta ingiallita

I ragazzi sostavano alla sua bancarella

10 lire di dolci da sistemare in cartella

 

Graziella bussava al mio portoncino

dopo aver chiesto ad Irene un bicchiere di vino

Le piaceva fermarsi pochi minuti a parlare

In via Roma nessuno le avrebbe fatto del male

 

Ma Irene non c'è più

Ora il vicolo è muto

Col passare degli anni

Si avverte sempre più il vuoto

Ma Irene non c'è più

E via Roma è cambiata

Resta solo il ricordo

Di tanta vita passata.

 

 

La recensione dello scrittore Enzo Salatiello

 

 

Via Roma

(Irene non c'è più)

 

Paolo Ferrillo ha scritto una canzone, non è la prima, non sarà probabilmente l’ultima ma, è di sicuro una dolcissima testimonianza delle radici di un ragazzo cresciuto e dei suoi ricordi. A leggerla si nota immediatamente un elemento: il rigore metrico e l’applicazione della rima in ossequio al più corretto modello di musica squisitamente italiana. Le dodici strofe si dipanano come un nastro veloce che corre sul filo delle emozioni rievocate dalla galleria d’immagini e personaggi reali di un passato che vive ancora non solo nei ricordi di questo straordinario e delicato autore ma, anche nell’immaginazione di chi ascolta queste parole. Paolo, capace di rievocare i più genuini processi emozionali in noi, interpella i nostri sensi, l’olfatto per quelle castagne, l’udito per le voci e il baccano che risuonava nel vicolo e lo stesso udito deve accontentarsi del silenzio, assordante di un vicolo che ha perso i suoi personaggi, la sua luce, la sua vita. Anche il cuore è chiamato in causa: non vedete anche voi quella flebile storia d’amore, muta e silente come un messaggio in bottiglia? Giulietta e il suo Antonio, sono ancora lì? Nel vicolo? Chi spinge ancora il carrettino in salita? I volti, le mani, le voci, la sedia di Irene, dove sono finiti? Il padre sul tetto. Nel ripostiglio del tempo? No, sono tutti qui con noi che animano il vicolo grazie alla potente forza della creatività versatile di Paolo, artista poliedrico (è anche pittore), ora che vive lontano dal suo vicoletto dal nome roboante (Via Roma), della Calvizzano più antica e carica di fatti da raccontare, riesce a vedere meglio le porte, scrostate dal sole, i muri, i blocchi in basalto sono come figli che lui conta ogni volta che ripensa alla sua strada. Sente ancora la voce della madre, le facce sono tutte lì. Nella canzone di Paolo. Canzone, della quale ho soltanto letto il testo e immagino il ritmo altalenante e curativo delle sue strofe cucite in modo consapevole addosso all’ascoltatore. Grazie a lui, l’osteria è sempre lì, a far rumore, a intrecciare voci, risate e bestemmie! Il tempo e andato? No, il tempo non c’entra, tutto consiste nel cuore e nella penna dell’autore. Lui ha sconfitto il tempo. Ha richiamato in vita tutti gli spettri buoni e familiari che raccontano una storia, la straordinaria storia di un bambino, poi ragazzo e infine, adulto che vive lontano, ma non dal suo vicolo. Un’ultima considerazione: leggendo queste strofe due, tre, quattro volte e cullandomi con il ritmo cadenzato e sonoro, mi è venuto in mente un componimento: “La vita solitaria” di Giacomo Leopardi (XVI canto). Si nota un ritmo e la snellezza dei versi leopardiani che introducono a un particolare momento della sua vita dove ricorda il nascere di un giorno qualsiasi e tutta la giostra d’immagini che girava intorno al suo sguardo. Non paragono i due componimenti ma ne sottolineo la tecnica del “Climax” ascendente impiegato da Paolo e di come sia riuscitissima e gradita all’occhio del  lettore.

La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s'affaccia
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti
Stille saetta, alla capanna mia…”

Allo stesso modo, vedo la medesima girandola di immagini e personaggi che creano un copione dinamico di ricordi ed emozioni. Spero di stringere presto la mano a Paolo Ferrillo per porgere i miei complimenti e grazie a Domenico Rosiello che è perennemente a caccia di bellezza!

 

Enzo Salatiello

 

 

 

 

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