Calvizzano, in via Roma “Irene non c’è più”: personaggi del passato nei ricordi dell’artista Paolo Ferrillo. L’omaggio poetico-musicale alla sua città di origine e l’ottima recensione dello scrittore Enzo Salatiello
“Antieroi che della generosità e disponibilità erano l’incarnazione”
Ferrillo: tengo a precisare che ho sempre scritto per diletto, non ho mai pensato di proporre a qualcuno i miei testi musicati. So di non avere una bella voce ma per conservarli, dovevo cantarli e registrarli. Le registrazioni sono “casalinghe” e quindi “”arrangiate” (nel senso napoletano della parola).
“Antieroi che della generosità e disponibilità erano l’incarnazione”
“Caro Mimmo (Rosiello di calvizzanoweb) – scrive Paolo – ho ricevuto la telefonata di Peppino (primogenito di Irene). Gli avevo inviato il brano dedicato a via Roma: era doveroso farlo, in quanto sua madre e la sua cantina sono il pilastro della canzone. Mi ha detto che gli ho regalato bellissime emozioni, riportandolo indietro nel tempo. Abbiamo ricordato insieme le persone citate nel testo: “Maria re’ caramell”, “Michele ro’ pesc”, “Pietr o portaletter”, “Giulietta”, cara amica d’infanzia che il male del secolo ha portato via tanti anni fa, “Graziella”…e che resteranno sempre nei cuori di chi ha abitato in via Roma. In quegli anni, ‘ncopp a chiazz”, durante le ore di luce, i portoni di accesso ai cortili erano sempre aperti ed esisteva una sola grande famiglia. I bambini – continua Paolo - erano “figli” di tutti e, ovunque giocassero, venivano accolti e sorvegliati. Non ho mai sentito la frase “ch’ stat a ffà”, “iatevenn”, ma solo “statev’ accort”, “nun v’ facit mal’”, “s’è fatt scure”, “e’ mamm voste stanno ‘mpziere”. “Iolanda”, “Giuseppin e Carminiell e Scirocc”, “don Gennar ‘o cuccin, “zì Siviell e pasteffasul”, “don Rafel’”, “Marilloccia”, “Maria a verola”, “’a cummara ‘Ngiulin”, “’a Papess”: per molti saranno solo nomi, ma dietro di essi (e quelli citati nella canzone) ci sono vite che andrebbero raccontate in un romanzo “Pratoliniano”, antieroi che, della generosità e della disponibilità, erano l’incarnazione.
“Se chiudo gli occhi – conclude Paolo – riesco a sentire le loro voci che dai balconi (benedetta l’assenza dei cellulari) si scambiavano informazioni, facevano richieste da tirare su con l’ausilio “do panar”, controllavano cosa accadeva in strada”.
Grazie Paolo per questi bellissimi ricordi che emozioneranno sicuramente chi ci legge, anche coloro che non hanno mai conosciuto questi personaggi della Calvizzano di un tempo.
Via Roma (Irene non c'è più)
Li sentivo cantare nelle Sere d'estate
Il chiasso le urla e le tante risate
Era bello ascoltare la loro allegria
ed i tanti rumori di quell'osteria
I pugni sui tavoli battevano il tempo
Qualcuno si alzava e ballava contento
Qualcun'altro imprecava per il troppo rumore
E cercava nel vino una vita migliore.
Irene seduta sulla sedia impagliata
Con sguardo distratto osservava la strada
La mente tornava a quel grande dolore
Quando una scarica elettrica la privò del suo amore
Ma Irene non c'è più
Ora il vicolo è muto
Non si sente più niente
Neanche un saluto
Ma Irene non c'è più
Gli anni sono volati
Trasformando in ricordi
I momenti passati
Giulietta correva incontro alla vita
Negli occhi suoi il cielo e una speranza infinita
Antonio veniva per vederla passare
Dichiararle il suo amore e poterla sposare
Mia madre stendeva il bucato in cortile
Curava i suoi semi per vederli fiorire
Mio padre sul tetto che voleva aggiustare
E Pietro aspettava leggendo il giornale
Franco rientrava insieme agli amici
Con due secchi di latta ricolmi di noci
Cinque noci una mano Irene contava
Una mano ogni cinque nella conta saltava
Ma Irene non c'è più
Ora il vicolo è muto
Non si sente più niente
Neanche un saluto
Ma Irene non c'è più
Il vicolo ha un'aria stanca
Dietro i volti svaniti
Tanta vita che manca
Michele passava di primo mattino
Spingendo in salita il suo carrettino
Fermandosi quando si sentiva chiamare
Ed il pesce bagnava con acqua di mare
Maria all'alba lessava castagne
Che vendeva in coni di carta ingiallita
I ragazzi sostavano alla sua bancarella
10 lire di dolci da sistemare in cartella
Graziella bussava al mio portoncino
dopo aver chiesto ad Irene un bicchiere di vino
Le piaceva fermarsi pochi minuti a parlare
In via Roma nessuno le avrebbe fatto del male
Ma Irene non c'è più
Ora il vicolo è muto
Col passare degli anni
Si avverte sempre più il vuoto
Ma Irene non c'è più
E via Roma è cambiata
Resta solo il ricordo
Di tanta vita passata.
La recensione dello scrittore Enzo Salatiello
Via Roma
(Irene non c'è più)
Paolo Ferrillo ha scritto una canzone, non è la prima, non sarà probabilmente l’ultima ma, è di sicuro una dolcissima testimonianza delle radici di un ragazzo cresciuto e dei suoi ricordi. A leggerla si nota immediatamente un elemento: il rigore metrico e l’applicazione della rima in ossequio al più corretto modello di musica squisitamente italiana. Le dodici strofe si dipanano come un nastro veloce che corre sul filo delle emozioni rievocate dalla galleria d’immagini e personaggi reali di un passato che vive ancora non solo nei ricordi di questo straordinario e delicato autore ma, anche nell’immaginazione di chi ascolta queste parole. Paolo, capace di rievocare i più genuini processi emozionali in noi, interpella i nostri sensi, l’olfatto per quelle castagne, l’udito per le voci e il baccano che risuonava nel vicolo e lo stesso udito deve accontentarsi del silenzio, assordante di un vicolo che ha perso i suoi personaggi, la sua luce, la sua vita. Anche il cuore è chiamato in causa: non vedete anche voi quella flebile storia d’amore, muta e silente come un messaggio in bottiglia? Giulietta e il suo Antonio, sono ancora lì? Nel vicolo? Chi spinge ancora il carrettino in salita? I volti, le mani, le voci, la sedia di Irene, dove sono finiti? Il padre sul tetto. Nel ripostiglio del tempo? No, sono tutti qui con noi che animano il vicolo grazie alla potente forza della creatività versatile di Paolo, artista poliedrico (è anche pittore), ora che vive lontano dal suo vicoletto dal nome roboante (Via Roma), della Calvizzano più antica e carica di fatti da raccontare, riesce a vedere meglio le porte, scrostate dal sole, i muri, i blocchi in basalto sono come figli che lui conta ogni volta che ripensa alla sua strada. Sente ancora la voce della madre, le facce sono tutte lì. Nella canzone di Paolo. Canzone, della quale ho soltanto letto il testo e immagino il ritmo altalenante e curativo delle sue strofe cucite in modo consapevole addosso all’ascoltatore. Grazie a lui, l’osteria è sempre lì, a far rumore, a intrecciare voci, risate e bestemmie! Il tempo e andato? No, il tempo non c’entra, tutto consiste nel cuore e nella penna dell’autore. Lui ha sconfitto il tempo. Ha richiamato in vita tutti gli spettri buoni e familiari che raccontano una storia, la straordinaria storia di un bambino, poi ragazzo e infine, adulto che vive lontano, ma non dal suo vicolo. Un’ultima considerazione: leggendo queste strofe due, tre, quattro volte e cullandomi con il ritmo cadenzato e sonoro, mi è venuto in mente un componimento: “La vita solitaria” di Giacomo Leopardi (XVI canto). Si nota un ritmo e la snellezza dei versi leopardiani che introducono a un particolare momento della sua vita dove ricorda il nascere di un giorno qualsiasi e tutta la giostra d’immagini che girava intorno al suo sguardo. Non paragono i due componimenti ma ne sottolineo la tecnica del “Climax” ascendente impiegato da Paolo e di come sia riuscitissima e gradita all’occhio del lettore.
“La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s'affaccia
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti
Stille saetta, alla capanna mia…”
Allo stesso modo, vedo la medesima girandola di immagini e personaggi che creano un copione dinamico di ricordi ed emozioni. Spero di stringere presto la mano a Paolo Ferrillo per porgere i miei complimenti e grazie a Domenico Rosiello che è perennemente a caccia di bellezza!
Enzo Salatiello