Esclusiva calvizzanoweb, le “prigioni” del parroco Annibale Mirabelli: il sacerdote calvizzanese fu arrestato e morì a Genova nel forte di Compiano. La sua famiglia era di sentimenti borbonici

 

Il pertugio di accesso alle antiche carceri del forte

Ce le ha inviate Bruno Davide, appassionato delle storie passate dell’hinterland partenopeo e discendente dei nobili Mirabelli: i suoi antenati furono coinvolti nei tumultuosi eventi del 1806

La missiva

Carissimo Mimmo;

ho letto con piacere l'articolo che hai dedicato ieri nel tuo blog ai miei antenati Mirabelli che furono loro malgrado coinvolti nei tumultuosi eventi del 1806. Premetto che il “Libro di famiglia Mirabelli” che citi, attualmente lo conservo io, dopo che una quindicina di anni fa mia zia Ida (purtroppo mancata due anni fa) me lo aveva affidato. Qualche anno fa, recandomi per un weekend in Liguria, decisi di fermarmi a Compiano -Comune nell'Appennino Emiliano-Ligure - per visitare il "forte di Compiano" dove i miei antenati furono reclusi nell''800. Il forte, all'epoca baluardo militare a difesa dell'accesso all'alta valle del fiume Taro, divenne poi proprietà privata nel 1996, acquistato dalla Contessa Raimondi, che lo elesse a sua dimora fino alla sua morte nel 1987, quando lasciò la sua proprietà al Comune di Compiano. Oggi è un luogo davvero interessante che ospita un museo; il paese di Compiano è pregevole, con splendidi panorami, ed è inserito nel circuito dei borghi più belli d'Italia. 

Comunque, durante la visita dialogai con il personale del Castello, raccontando il mio episodio familiare e chiedendo se fosse possibile visitare le "segrete" dove un tempo i reclusi venivano detenuti. Purtroppo non fu possibile (nel Castello è anche proibito scattare foto), ma un'addetta fu particolarmente comprensiva e mi consentì di riprendere -dopo aver rimosso un pannello ligneo - l'ingresso delle "segrete". Ti allego la foto, dove si vede il pertugio attraverso il quale si accede alle antiche carceri del "forte", dove Annibale, Salvatore e Gennaro Mirabelli furono condotti alla detenzione.

Un caro saluto, Bruno Davide  


 Grazie Bruno 

per le tue pregevoli testimonianze: ancora grazie a nome di tutti cittadini di Calvizzano, me compreso, che amano leggere fatti di storia del proprio paese.

Mi.Ro.

Altre foto

 






L’articolo per coloro che non lo hanno ancora letto

Ne parla il compianto don Giacomo Di Maria, storico e scrittore, in una sua trilogia:  alcuni anni fa scovammo l’articolo nella biblioteca del Comune. Ve lo proponiamo

Annibale Pasquale Giuseppe Mirabelli, figlio del “dottor fisico” (medico) Salvatore Maria Domenico Pietro Aniello Mirabello (Mirabelli) e di donna Carmina Crispino, nacque a Calvizzano il 5 settembre 1735(. ..). Nel libro VI dei Battezzati della Parrocchia di Calvizzano, al foglio 89 leggiamo che fu battezzato il 6 dello stesso mese. Prese possesso del beneficio parrocchiale di Calvizzano nei primi giorni di settembre del 1770. Dopo il 26 maggio del 1806 (ultima sua firma in atti parrocchiali) troviamo “come Economo Curato” il reverendo don Eligio Giaccio, fino alla vigilia del possesso del Parroco Giordano, avvenuto il 22 ottobre 1810, come ha scritto lo storico di Calvizzano, Prof. Raffaele Galiero.

Non mi è riuscito sapere nulla di così lunga “vacatio”, finché alcuni anni fa (inizio anni ’90, Ndr) mi capitò tra le mani il manoscritto del pio zelante padre spirituale della Congrega dell’Assunta, don Pasquale Giglio, cultore di memoria storiche, il quale, accennando al parroco Annibale Mirabelli, dice che questi fu “carcerato” (arrestato) a Napoli. Tale notizia sfuggì al nostro storico Galiero, che pure consultò il manoscritto suddetto, perché vi attinse notizie circa l’egregio anzidetto Pasquale Giglio.

La scarna notizia dell’arresto del parroco Mirabelli mi ha indotto a ricercarne il motivo, pensando che esso dovette essere di natura politica. La sua famiglia, come è facile congetturare, era di sentimenti borbonici  e non osannava gli usurpatori francesi che in quel momento imperavano a Napoli.

Resto sorpreso e appagato nel poter leggere un estratto di memorie familiari manoscritte, il “Libro di famiglia Mirabelli”, conservato gelosamente dalla N.D Sig.na Maria Ida Pensa, la cui madre Maria Teresa, morta a Napoli, era figlia del compianto conte Avvocato Domenico Mirabelli.

Dal contesto della semplice narrazione si rileva che alcuni Mirabelli ed altri furono “accusati rei di Stato”. Riporto in sintesi la parte che ci interessa.

Annibale, Salvatore e Gennaro Mirabelli, insieme con i due nipoti Domenico e  Giacomo, furono chiamati dal Prefetto di Polizia di Napoli, in quanto risultavano tutti e cinque “ad mandato” per essere stati accusati rei di Stato. Dopo un mese, i tre fratelli Mirabelli uscirono dal Palazzo della Prefettura e furono carcerati nel largo dello Spirito Santo, dal tenente Morelli e dal cadetto Lara, i quali deposero che i tre fratelli andando a casa gridarono che non era vero che la città di Gaeta era stata occupata, ma che tra breve veniva l’armata della Calabria e riprendeva Napoli.

Dopo essere stati detenuti quattro mesi nelle carceri di Santa Maria Apparente alla Vicaria, si fece la causa nel tribunale straordinario e i tre fratelli Mirabelli risultarono colpevoli, mentre i due nipoti seguirono ad essere soggetti “ad mandato per lo Palazzo”.

Innocenti erano gli accusati, falsa era l’accusa sia dei denuncianti sia dei testimoni nemici degli accusati (forse dovette esserci una congiura contro i francesi), i quali non contenti del male fatto, riuscirono ad ottenere un dispaccio del re, in data 2 novembre dello stesso anno 1807, per il quale i tre fratelli Mirabelli e i due nipoti erano condannati all’esilio fuori del regno, e precisamente nel forte di Compiano, terra di Genova.

Immediatamente i nipoti e gli zii furono arrestati e imprigionati nel carcere di santa Maria Apparente. Intanto, nella notte del 2 novembre fu implorata la grazia per i due nipoti, spiegando al re che essi non meritavano il castigo. E il re concesse loro la grazia, per cui uscirono dal carcere prima di Natale, mentre i tre fratelli furono esiliati nel citato forte di Compiano, dove, appena giunti, si ammalarono di febbre altissima e il Parroco don Annibale morì.

 

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