Nato a Sassari il 25 maggio 1922, morto a Padova l'11 giugno 1984
ELOGIO DELLA MORALE POLITICA AVVERSA AL MORALISMO
“…I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico…”.
Il 28 luglio 1981, Enrico Berlinguer, segretario nazionale del Partito Comunista Italiano, parla della “questione morale”. Lo fa rilasciando un’intervista all’allora direttore del quotidiano “La Repubblica”, Eugenio Scalfari. Questo breve stralcio, a leggerlo tutto d’un fiato sembra che risalga alla settimana scorsa. Chi era Berlinguer? Un comunista italiano che ebbe il coraggio di allontanarsi dalla politica di Mosca. Egli sancì il celebre “strappo” dall’Unione Sovietica, lo fece in una tribuna politica in televisione nell’ottobre dello stesso anno parlando di “esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. Ma veniamo alla questione morale. Berlinguer era un comunista, atipico ma, era certamente incapace di concepire una “morale” intesa come quella cattolica o quella borghese conservatrice e perbenista intrisa di ipocrisia. Il concetto di morale secondo Berlinguer era semplicemente scritto nel secondo comma dell’Art. 57 della Costituzione democratica italiana che recita:“I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”Si potrebbe racchiude in questa breve ma efficacissima frase la posizione del segretario comunista. Egli era uno statista pur non essendo mai stato ministro o sottosegretario neanche per un’ora.Infatti, lui guardava alle generazioni future mentre gli altri politici si riferivano alla prossima scadenza elettorale. Per Berlinguer lo stato non doveva essere lo strumento per vantaggi e prebende di politici e partiti. Le cose che elenca nel brano dell’intervista sono chiare: un ministro, un direttore di rete televisiva pubblica, un presidente di una ASL,non possono e non devono usare le istituzioni a proprio uso e consumo per finalità elettorali e di potere. Egli annusava già il puzzo della corruzione, dell’intreccio tra interessi privati e di partito e quelli del pubblico. Il politico, affermava Berlinguer confondeva (e confonde tuttora) il servizio al cittadino con il mero esercizio del potere fine a se stesso. Come fece a capire tutto questo? Lo stesso eccezionale intuito che lo guidò anni prima a capire che Mosca non era più un punto di riferimento della sinistra mondiale seppur comunista. Insomma, per il segretario comunista la “morale” pubblica consiste nel divieto assoluto di usare le istituzioni pubbliche per i propri scopi perché si finisce per renderle inservibili al cittadino, commettendo un tradimento della Costituzione. Questa sua posizione gli valse l’odio politico dei partiti di governo e in particolar modo del Partito socialista di Bettino Craxi, divenutone segretario nel 1976. Infatti, Berlinguer aveva ragione, nel 1992 il sistema s’inceppa e viene fuori tutto il marcio. Vi fu un esponente del PCI che criticò aspramente Berlinguer e che faceva capo alla cosiddetta “area migliorista” del partito: Giorgio Napolitano. L’ex presidente della repubblica biasimò aspramente Berlinguer perché intravedeva nell’analisi del segretario un’assunzione di superiorità morale e intellettuale rispetto agli altri partiti in modo da coartare il campo delle complesse relazioni da cui non si poteva prescindere con questi ultimi. Critica piuttosto genuina, poiché Napolitano è sempre stato alla “destra” del partito. Fautore dell’apparentamento con il PSI, allora e delle coalizioni “aggregate” ai giorni nostri, affetto da in interventismo smanioso nelle cose del governo dalla sua posizione di capo dello stato, cose non sempre attinenti alle sue competenze costituzionali. Berlinguer costituì l’”anomalia rossa”, in Italia e nel movimento comunista internazionale. Egli, a differenza di Togliatti, fu un segretario “intellettuale” e studioso della società in cui viveva, pagò a caro prezzo insieme al suo interlocutore Aldo Moro, il tentativo di dare una soluzione di governo legittima, a più di dieci milioni di voti comunisti sì, ma italiani. Moro finì stritolato nelle spire di una cospirazione di stato che interessò anche centrali di potere nel mondo. Enrico Berlinguer morì ucciso da un Ictus cerebrale l’11 giugno 1984. Indubbiamente, lo stress per livelli così lati e delicati di tensione politica e sociale italiana, fecero la loro parte. Nativo di Sassari, figlio di una famiglia benestante, ha sempre avuto un concetto rigoroso dell’onestà personale e politica necessarie per ogni soggetto. Se fosse vivo oggi, come reagirebbe ai Razzi e agli Scilipoti di turno, a una sinistra che ha abdicato ai suoi valori? Non lo sappiamo, possiamo solo formulare ipotesi ma anche a tutti quei politici che “campano” di politica con stipendi e poltrone riscaldate. Perché, non basta essere onesti ma, bisogna impegnarsi e portare avanti il proprio compito come prescrive il dettato costituzionale. Non stupisce che in un mondo come il nostro, oggi, egli sia un simbolo e un modello per tantissimi giovani che non lo hanno conosciuto. Insieme ai Moro e ai Pertini, egli esercita un grande fascino umano e politico. Pierpaolo Farina, Blogger e giovane giornalista italiano, qualche anno fa, ancora adolescente, creò un blog d’informazione e cultura politica, dedicato a Berlinguer divenendo uno dei blog più apprezzati nel mondo. Berlinguer fa ancora la sua parte. In un mondo che lo vedrebbe alieno e straniero nella sua patria quella sinistra profondamente e inesorabilmente cambiata.
Enzo Salatiello