Storia di Lucrezia Reggio Branciforte duchessa di Calvizzano, una nobildonna da grandi sentimenti e vicino al popolo: era la nonna materna dell’ammiraglio Caracciolo
Nonostante tutto a Calvizzano non esiste una strada a lei dedicata
Lucrezia Reggio Branciforte nacque nel 1684, probabilmente ad
Acitrezza, figlia del Principe Stefano Riggio e di Dorotea
Branciforte. I Reggio e i Branciforte erano all‘epoca tra le famiglie
più importanti del regno, soprattutto politicamente. I Riggio, denominati
anche principi di Aci, dal loro feudo che comprendeva tra l’altro Acitrezza ed
Acicastello (due Comuni della provincia di Catania), godevano di grande
considerazione da parte dei Borboni per cui alcuni componenti della
famiglia ricoprirono incarichi politici e militari di assoluto prestigio. Il
padre di Lucrezia ebbe in Sicilia incarichi delicatissimi di grande rilevanza
pubblica e fece parte del cosiddetto Consiglio di reggenza nominato da
Carlo III per affiancare il figlio Ferdinando IV ancora fanciullo, da lui
designato re di Napoli. Un altro rappresentante dei principi di
Aci, nipote di Lucrezia Reggio, ebbe il delicatissimo incarico da Ferdinando IV
di eseguire il provvedimento che disponeva l’ espulsione dei Gesuiti dal
Regno delle due Sicilie. Fu questo probabilmente il peggior provvedimento
emesso da Carlo III, determinato forse dalla forte pressione su di lui
esercitata da quasi tutti i regnanti europei. Su questa vicenda ritengo
necessario soffermarmi sia pure marginalmente. Quasi tutti i regnanti d’
Europa vedevano nell’azione missionaria dei Gesuiti una minaccia per la
loro attività di colonizzazione. Temevano che i Gesuiti elevando
culturalmente e spiritualmente le popolazioni indigene queste potessero
ribellarsi allo sfruttamento a cui erano sottoposte dai loro colonizzatori.
Ferdinando IV, che da poco aveva raggiunto l’età per poter regnare
autonomamente, cercò di opporsi, forse anche perché educato sin da fanciullo
proprio da un Gesuita, ma più in generale per la grande considerazione che si
nutriva per quest’ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola, i cui adepti
assicuravano ovunque si trovassero l’istruzione primaria e secondaria. Prevalse
purtroppo (già da allora) l’interesse dei paesi più potenti, per cui anche dal
Regno delle due Sicilie, come già accaduto pochi anni prima in Spagna, i
Gesuiti furono espulsi. In verità, molti cercarono di opporsi a una
decisione così grave, ingiusta e assolutamente ingiustificata, tra
cui i maggiori giuristi dell’epoca che non individuavano una ragione di
diritto a fondamento di tale gravissimo provvedimento. Ma Carlo III prese
a pretesto che i Gesuiti si erano insediati a Napoli due secoli prima,
senza alcuna autorizzazione del Re. Il principe di Aci, cercò
effettivamente di organizzare l’espulsione nella maniera più indolore possibile
per i Gesuiti. Ciò nonostante, si verificarono nei loro confronti
atti di crudeltà e di violenza e le loro sedi furono
letteralmente saccheggiate. Su questi fatti è stata prodotta una copiosa
produzione storica, ove spicca a mio parere la minuziosa struggente e
drammatica descrizione che un Gesuita fa trovandosi nella loro sede di Napoli
sin dal momento in cui irruppero le guardie borboniche e fino alla
completa cacciata di tutti i Gesuiti dalla città. Terminata tale infame operazione,
Carlo III e Ferdinando IV, per la gestione dell’enorme mole di beni sottratti
ai Gesuiti frutto di donazioni, decisero di attenersi alle indicazioni
dei maggiori giuristi del tempo, tra cui il Genovesi e Pietro Giannone. Si
aprì, quindi, un vero e proprio dibattito giuridico, molto interessante sotto
l’aspetto del diritto. Si decise allora di assegnare gli immobili ( per lo più
terreni) in fitto partendo dal loro valore per assegnarli al maggior
offerente, praticamente un’asta. Da tali beni furono esclusi dei terreni in
Sicilia, assegnati direttamente al Principe di Aci a ricompensa del buon
servizio reso. E’ importante puntualizzare a dimostrazione dell’azione
caritatevole svolta dai Gesuiti , assolutamente scevra dal ricavare
da tali beni un interesse economico, lo dimostra il fatto che
l’importo ricavato dai nuovi fitti, finita l’asta, era notevolmente
superiore a quello che i Gesuiti in precedenza ricavavano dai fitti
dei medesimi beni.
Lapide dedicata al figlio Antonio
Lucrezia, molto religiosa e di nobilissimi sentimenti,
faceva parte di quel limitato numero di nobili assai vicino al popolo. Morto il
marito il duca Domenico Francesco Pescara di Diano il 12.9.1719 (che
precedentemente aveva comprato con assenso del re nel 1716 il feudo
di Bovalino in provincia di Reggio Calabria), vendendo quello di
Saracena, diventò duchessa di Calvizzano e di Bovalino.
Sul punto colgo l’occasione, per chiarire che Calvizzano non ha mai avuto nel
1200 un’altra feudataria omonima di Lucrezia Reggio Branciforte. Oltre a
esserne assolutamente certo, ciò mi è stato confermato dall’ing. Franco
d’Aci, discendente e storico dei principi di Aci, che voglio pubblicamente
ringraziare attraverso questo sito, per la sua squisita disponibilità nel
fornirmi notizie sulla sua famiglia. Lucrezia Reggio, rimasta vedova, da sola
continuò a curare gli interessi della famiglia, crescendo i figli ed educandoli
alla fede Cristiana. Sicuramente Lucrezia fu molto aiutata dal fratello Michele
Reggio, diventato assai potente sia politicamente che militarmente. Oltre a
essere stato ambasciatore e vicerè, i Borboni gli
affidarono praticamente la riorganizzazione di tutta la loro
marineria. Al museo di San Martino a Napoli, precisamente nel
settore dedicato alla marineria, lo si menziona spesso. Anche l’altro fratello
Andrea fece una carriera militare assai brillante e alla sua morte avvenuta in
Spagna fu sepolto nel Pantheon De Marinos Illustres. Per
le sue riconosciute qualità morali e culturali, in occasione del matrimonio di
Carlo III, Lucrezia fu nominata Guardia Maggiore della Regina,
incarico che le consentiva un diretto contatto con la regnante. Nel libro
“Opere” di Francesco Maria Cavazzoni Zanotti, tomo 1° è pubblicata
una lettera inviata a tal Dottor Gabriele Manfredi di Roma. L’autore della
lettera al ritorno da un viaggio a Roma si reca a Napoli e
confrontandola con Roma, dopo averne lodato le bellezze
naturali, riferendosi all’aspetto culturale della città fa un esplicito
riferimento a Lucrezia Reggio Branciforte, all’epoca chiamata
anche “vedova di Carvizzano “. Avendola ascoltata
in un salotto a palazzo reale testualmente scrive “….La
conversazione parea non fatta per gli uomini ma per gli dei tanto era in ogni
sua parte nobile, sontuosa, vaga e magnifica”. Lucrezia Reggio fu
particolarmente legata a Calvizzano e a Bovalino, ed amata dal popolo locale.
Nella lapide della nostra chiesa parrocchiale posta a sinistra
dell’entrata centrale e a lei dedicata si esaltano le sue doti
umane, la sua generosità (contribuì economicamente a rendere più bella
la nostra chiesa di S.Maria delle Grazie) e il suo
carattere “mite e giusto”.
Lapide dedicata a Lucrezia Reggio
Probabilmente, il re le aveva concesso l’esercizio del “mero e misto
imperio”, significando che ella poteva esercitare nel suo feudo sia l’attività
giurisdizionale che amministrativa, funzione che il re concedeva
raramente. Al fine di comprendere, come all’epoca erano pochi i feudatari che
trattavano la popolazione del loro feudo con benevolenza e generosità, valga da
esempio quando accadde a Marano. I Maranesi, stanchi delle continue vessazioni
ed angherie a cui erano sottoposti dalla loro feudataria, una principessa
spagnola, le bruciarono la casa. Anche a Bovalino, Lucrezia, dopo la morte del
marito, ne divenne la duchessa, fino a che il suo primogenito Giovanbattista
diventò maggiorenne. Pure lì fu molto apprezzata e amata dal popolo,
a cui donò un preziosissimo e artistico reliquario in ottone contenente diverse
reliquie di santi e frammenti della Croce di Gesù. Reliquie che furono
riconosciute autentiche a seguito di ispezione eseguita all’epoca
dal vescovo di Cassano Jonio su incarico papale. Inoltre, a Bovalino finanziò
il restauro di chiese e si distinse in opere di carità.
Lucrezia morì a Napoli il 16- 03-1764: la sua salma fu esposta solennemente nella monumentale chiesa intitolata a S. Francesco di Paola situata in piazza Plebiscito che i Borboni, per ex voto, avevano fatta edificare. Dopo qualche giorno fu portata a Calvizzano accolta dal popolo sinceramente commosso. Fu posta nella sepoltura dei Pescara di Diano, situata, molto probabilmente, sotto la chiesa parrocchiale S. Maria delle Grazie.
Peppe Pezone, appassionato di storia locale