Un tempo ci si impegnava di tutto: biancheria per la
casa, mobili, argenteria, pellicce, oggetti d’oro. Dopo la seconda guerra
mondiale tutto tornava utile per
comprare da mangiare. Oggi, scene che sembravano ormai dimenticate sono tornate
d’attualità, specialmente durante l’emergenza sanitaria del Covid-19. Chi a metà mese non ha più soldi per
fare la spesa, chi deve pagare la bolletta scaduta da tempo o l’affitto perché
pressato dal padrone di casa, ma c’è pure chi è finito sotto le grinfie
spietate di qualche usuraio che non vuole sentire ragioni, neppure quella del coronavirus.
La tipologia dell’impegnatario è diventata estremamente eterogenea, segno che
la recessione economica ha colpito tutte le fasce sociali. Oggi, infatti, sono
anche i piccoli imprenditori, i liberi professionisti, gli extracomunitari e
tutta la media borghesia a scegliere “la strada dl pegno”. Impegnare un oggetto
prezioso, soprattutto d’oro, appare quindi come la soluzione più facile per
acquisire un introito per affrontare con immediatezza un problema economico,
evitando di cadere nella trappola degli usurai. La tecnica è molto semplice:
impegnando un oggetto prezioso, si ottiene, dopo la valutazione, una somma di
contanti; dopo un determinato periodo di tempo, l’oggetto impegnato può essere
riscattato aggiungendo un interesse al capitale iniziale. Nel caso di un
mancato riscatto, l’oggetto in questione viene esposto all’asta dalla banca di
riferimento. Ed è proprio la semplicità con cui si ottiene un prestito che ha
decretato il successo, o meglio, la riscoperta di questo tipo di credito.
“Sono stata costretta a vendere la fede nunziale e
un braccialetto del mio defunto marito. La situazione è insostenibile
– confessa, in lacrime, una signora maranese – non riesco a pagare l’affitto
e no so più dove sbattere la testa”.
Casi del genere, come dichiarano i titolari di queste
attività, sono all’ordine del giorno, ma non mancano clienti disposti a far
fruttare in denaro la loro, seppur modesta, riserva aurea.