Calvizzano. Un’altra chicca di storia locale che ci ha inviato il prof. Trinchillo: la “canzoncina” in onore di San Ciro eseguita a Calvizzano tradizionalmente nella Congrega dell’Assunta, in occasione dell’annuale ricorrenza della Novena e della Festa a Lui dedicate. Attribuita al signor Francesco Ricciardiello, alias “Ciccio ‘o Fato-ne”
Nella
Comunità di Calvizzano è particolare e speciale il legame del popolo dei
credenti con San Ciro, che risale a tempi remoti, e sicuramente almeno
coevi all’edificazione della Chiesa che ha sempre ospitato la Congrega
dell’Assunta nel nostro Paese, costruita agli inizi del XVIII secolo.
Infatti,
essendo stata istituita, nel 1693, la ricorrenza annuale della memoria del
Santo Medico, Eremita e Martire San Ciro, soprattutto grazie alle sollecitazioni
da parte della Compagnia di Gesù, che ne conservava le Sacre Reliquie,
essa, presso i nostri avi, trovò immediato riscontro nella sistemazione di una
venerata icona del Santo nella nostra Congrega.
Le
Reliquie di San Ciro erano state trasportate in Italia dall’originario Egitto,
fra l’VIII e il IX secolo, ed accolte a Roma, per sottrarle al pericolo della
dispersione, al momento dell’islamizzazione dell’intero Nord-Africa. Edificata,
poi, la Chiesa del Gesù Nuovo, furono traslate a Napoli, dove divennero
presto oggetto di una straordinaria venerazione da parte del popolo, che ne
sperimentava il prodigioso intervento in occasione di malattie del corpo e
dell’animo.
La
rapida diffusione della venerazione popolare della figura di San Ciro fu merito
soprattutto di un personaggio, che a sua volta, sarà canonizzato, per essere
stato un vero Apostolo della Carità e del Vangelo: vale a dire, San
Francesco De Geronimo, gesuita ed “innamorato” della figura del Santo
Medico Eremita e Martire[1]. All’infaticabile opera di
tale membro della Compagnia di Gesù, che si dedicò con tutto il suo
carisma alla predicazione e alla ri-evangelizzazione popolare a Napoli, città
di cui aveva conosciuto l’estrema miseria, non solo economica, si attribuisce la
proposta dell’istituzione della festa in onore di San Ciro, poi fissata al 31
gennaio.
Infatti,
a San Francesco De Geronimo va riconosciuta l’azione meritoria di aver redatto una
puntuale relazione sul Santo, che ne raccoglieva e sistemava le scarse notizie storico-biografiche
e le riproponeva alla venerazione della Chiesa universale.
Il
culto del Santo Medico trovò subito fertile terreno a Calvizzano, dove non
mancavano i contatti pastorali dei Gesuiti fra la nostra popolazione, tanto
che, fino agli inizi del ’900, si sono avute delle vocazioni sacerdotali
gesuitiche e dei consacrati alla Congregazione creata da Sant’Ignazio di
Loyola.
Che
ci fosse un collegamento specifico fra la Compagnia di Gesù e la
popolazione calvizzanese è attestato, direttamente e/o indirettamente, da due
circostanze particolari: devoti locali lasciarono in eredità ad essa un piccolo
appezzamento di terreno, in un punto ancor’oggi identificato nel dialetto
locale come “abbasc’ Sant’Liguor”, vale a dire, “nel fondo agricolo appartenente
al venerabile monastero di S. Liguoro in Napoli”. Difatti, è appena il caso di
ricordare che “Santo Liguoro” era, fra la gente del Napoletano, il nome
distorto, con accezione vezzeggiativa, di San Gregorio: lo conferma il titolo
che, a Napoli, viene attribuito al Monastero di San Gregorio Armeno,
conosciuto anche e specificamente, a livello popolare, come “Monastero di
Santo Liguoro”.
E,
se ciò non bastasse, non ci spiegheremmo altrimenti la presenza nella nostra bella
Chiesa Parrocchiale cinque/secentesca di Santa Maria delle Grazie di una
anonima tela raffigurante San Luigi Gonzaga, il Santo della Gioventù Cattolica
per eccellenza, fra i primi gesuiti ad essere stati canonizzati per le sue
eroiche virtù. L’immagine su tela presenta, a guardarla con attenzione, tutte
le attribuzioni iconiche del Gesuitismo: il Santo in meditazione con Gesù
Crocifisso fra le mani, in abito talare e con la “cotta”, con il teschio accanto
per la riflessione costante sulla caducità della vita, la corona nobiliare a
cui aveva rinunciato per aderire all’Ordine, disposta ai suoi piedi, con in
alto degli Angeli e l’iscrizione IHS (Jesus Hominum Salvator),
divenuta un topos, grazie ai Gesuiti[2].
Se
non ammettessimo lo stretto legame locale con la Compagnia di Gesù,
occorrerebbe trovare una più artificiosa giustificazione alla presenza di una
simile immagine sacra, fra noi calvizzanesi.
Ecco,
allora, che non è casuale la speciale venerazione riservata a San Ciro, diffusa
presso la nostra popolazione di Calvizzano anche per azione dei Gesuiti, potremmo
dire, “da sempre”. Non a caso, la Congrega dell’Assunta ha sempre potuto
fruire di una dignitosa conduzione, anche e soprattutto grazie alla presenza in
essa di quell’icona antica del Santo[3], alla quale molti fedeli
cittadini hanno fatto dono di parecchi ex-voto di riconoscenza e di riconoscimento,
nella convinzione della Sua intercessione per grazie ricevute, per la salute
fisica e spirituale.
Per
venire al punto centrale del presente intervento, chiarito che San Ciro non
è presso i Calvizzanesi uno dei tanti Santi venerati dalla Chiesa
Cattolica, bensì una figura particolarmente onorata di Testimone della
Fede in Cristo e di potente Medico Santo, possiamo capire quanto, a livello di persone
di ogni ceto sociale, Egli sia sempre stato (e sia tuttora)[4] “benvoluto”, per la sua
potenza taumaturgica, in un campo in cui tutti sono stati e, diciamolo pure,
siamo particolarmente sensibili: il ristabilimento della salute, dopo una
malattia e, perché no?, per la sua conservazione.
Si
spiega anche in tal modo la nascita di quella Canzoncina a Lui dedicata,
semplice all’apparenza, ma ricca di significato profondo e di valore teologico,
che viene eseguita fra noi in occasione dell’annuale Novena in preparazione
della festa del Santo Medico Eremita e Martire, la cui memoria si conserva localmente,
al di là del calendario, visto che, nello stesso giorno, ormai tutti (o quasi)
gli almanacchi riportano, al 31 gennaio, il nome di San Giovanni Bosco.
È
tradizionalmente giunta fino a noi la notizia che l’autore del testo sia stato un
fedele della nostra Parrocchia, benché residente, negli anni conclusivi della propria
vita, nelle pertinenze anagrafiche di Mugnano di Napoli, vale a dire il signor Francesco
Ricciardiello, vissuto fra la fine dell’Ottocento e buona parte del
Novecento, popolarmente noto col il nomignolo affettuoso di “Ciccio ’o Fatone”.
Tale notizia non trova tuttavia riscontro scritto in nessuna carta o/e documento
conosciuto, né mai risulta attestata in modo chiaro ed evidente da altre fonti,
che non siano quelle orali.
Il
Parroco Don Luigi Ferrillo, che ne conosceva a memoria (e bene!) le parole e la
base musicale che accompagna il canto, scritto “a devozione”, come
risulta in ogni copia giuntaci, alla richiesta dello scrivente di mettere su
carta anche la musica di accompagnamento, confermò anch’egli che non c’era
possibilità di attribuzione sicura, mancando, non dico il copyright, ma
almeno una prova certa, anche se in custodia della famiglia, che ne suffragasse
la tesi.
Un’ipotesi
avanzata in quell’occasione di dialogo dell’estensore della presente nota col
Parroco Don Luigi, potrebbe ancora oggi essere ritenuta plausibile, se non probabile,
per cui penso di poterla sintetizzare come qui di seguito.
Francesco
Ricciardiello, fedele attento e partecipe, oltre che buon benefattore di ogni
iniziativa religiosa ed ecclesiale si organizzasse in Parrocchia ed oltre, potrebbe
avere “finanziato”, per così dire, la stesura del testo e potrebbe aver approvato
l’accompagnamento musicale prescelto, suggerendo all’estensore reale, finale e
materiale delle frasi, i concetti e le idee che egli voleva esprimere.
Infatti,
la struttura metrica sostanzialmente rispettata, le rime ottenute con una
scelta lessicale non forzata, l’andamento progressivo dei concetti che si
sviluppano da una visione “umana” prossima, fino a raggiungere un livello di
innalzamento che tende al Cielo e alla Divinità, il ritmo melodico ben
cadenzato e privo di specifiche difficoltà nell’esecuzione in gruppo ed anche “a
coro a cappella”, come nella tradizione del canto gregoriano più elementare, risultano
tutti elementi abbastanza difficili da elaborare, anche da parte di una persona
di cultura medio/alta, figurarsi poi, già allora, in chi non avesse compiuto
studi specifici regolari e si fosse semplicemente formato in modalità tali da
poterlo inquadrare come “autodidatta”. La fama popolare, infatti, di chi lo
frequentava sosteneva che l’anziano Francesco Ricciardiello fosse persona “acculturata”,
intelligente e capace, ma queste qualità, da sole, non sembrano “chiavi di
accesso” sufficienti a garantire le potenzialità per comporre quel canto, tra
noi tanto popolare, dedicato a San Ciro. D’altra parte, il fatto che detta
canzoncina non sia diffusa anche in altri centri del circondario e/o non appaia
in nessuna tradizione religiosa cattolica remota, ne fa un testo radicato solamente
fra i Calvizzanesi, per il quale non esiste, come più sopra detto, non solo il copyright
ma nemmeno l’imprimatur ufficiale, e la dichiarazione che ci si trovi di
fronte ad un “inno” scritto “a devozione”, per il popolo dei fedeli del
Santo Medico Eremita e Martire. La somma di tali circostanze dovrebbe essere
sufficiente ad indurci ad astenerci dal dare un’attribuzione sicura, certa e
definitiva di esso a “Ciccio ’o Fatone” (vale a dire a Francesco Ricciardiello).
Ciò
non toglie che a tale devoto del Santo debba andare, da parte della nostra Comunità
Parrocchiale di Calvizzano, il merito di averne avanzata la proposta di
scrittura e/o, probabilmente, di averne suggerito il testo e/o il ritmo
musicale, ed infine, sicuramente, l’ampia diffusione locale.
Prof. Luigi Trinchillo
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Canzoncina a San Ciro
eseguita a Calvizzano tradizionalmente
nel corso della Novena e della Festa in onore
del Santo
Medico, Martire ed Eremita
Oh!
San Ciro benedetto
dolce
padre e gran dottore.
Deh!
Tu reggi l’alma mia
nel
sentier della virtù.
Se
a te volgo mesto il ciglio
mormorando
una preghiera
pria
che il giorno giunga a sera,
tu
consoli questo cor.
Deh!
Dispiega il tuo potere
negli
affanni e nel dolore
mi
difendi dal furore
dell’antico
tentatore.
Tu
rammenta il tuo devoto
nell’estremo
della vita
fa
che l’alma sia rapita
agli
amplessi del Signor.
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[Attribuita, nella vulgata popolare orale
al signor Francesco Ricciardiello, alias "Ciccio 'o Fatone"
[1] La sua festa liturgica è fissata annualmente all’11
maggio.
[2] Oggi potremmo definirla quasi un “logo”,
caratterizzante ed esclusivo, valido come un copyright.
[3] Attualmente ospitata nella Chiesa-madre, in attesa di
quella profonda ristrutturazione della Cappella settecentesca, resasi
indispensabile per infiltrazioni d’acqua dalla base del pavimento, da tutti
sperata e più volte rinviata per sopraggiunte difficoltà.
[4] … Nonostante il Suo inspiegabile “declassamento” non
solo sui calendari “civili” e laici (dai quali è scomparso), ma anche in quello
liturgico, dov’è prevista la sola possibilità della scelta di riservare a Lui,
il 31 gennaio, la memoria facoltativa locale.