Marano, i segretari dei partiti degli ultimi 30 anni: ad aprile 2008 il giornalista-scrittore Antonio Menna, ex rifondazione, prese le redini del Pd
Antonio Menna, all’epoca trentanovenne, venne eletto segretario in piena campagna elettorale
e nel mezzo di una bufera politica che vide contrapposti ex Ds ed ex Margherita
in una dura polemica sia sugli assetti interni dell’amministrazione comunale
sia su una campagna elettorale che vide deflagrare il temuto “effetto De Mita”. Eletto all’unanimità
dal coordinamento formato da 54 persone, Menna nominò la sua segreteria,
mettendo insieme dodici nomi provenienti dalle varie realtà del partito e
mescolando giovani ed esperti, consiglieri comunali e rappresentanti della
società civile.
“L’obiettivo – dichiarò al giornale “L’attesa” –
è costruire un partito aperto, moderno, che riesca a essere agente della
vita culturale della città. Una sorta di luogo di promozione sociale che non
guardi solo alle strategie della politica, ma alla necessità di innescare
dinamiche culturali su un territorio che produce pochissime occasioni di
aggregazione e militanza”.
In altre città della provincia di Napoli – gli chiese
il cronista che lo intervistò – l’elezione del segretario è stata oggetto di
divisione e polemiche; a Marano è avvenuta all’unanimità e al primo colpo. Come
mai?
“La costruzione del Partito democratico, a Marano,
è avvenuta in un clima di grande concordia. Da parte di Ds e Margherita, i due
principali partiti che, sciogliendosi, hanno dato vita al Pd, c’è la
consapevolezza che bisogna aprire una fase nuova, lasciandosi alle spalle
vecchie appartenenze e dando il via a un progetto che allarghi la
partecipazione. In questo senso è uscita la mia candidatura a segretario,
sostenuta da tutti, proprio perché non vengo da nessuna delle famiglie di
origine e, probabilmente, meglio di altri posso provare a cucire un tessuto
unico per un partito che ha davanti una sfida di non poco conto”.
Le toccherà far dialogare e tenere assieme due culture
che non sono sempre andate d’accordo, come quella che viene dagli ex Ds e uella
che proviene dall’ex Margherita.
“E’ proprio questa la sfida del Pd: mettere assieme
culture e provenienza diverse, naturalmente unite da un collante comune. E’ la
sfida dei grandi partiti di massa. Ne Novecento ne abbiamo avuti, in Italia,
solo due. Il Pci e la Dc. Entrambi avevano profonde diversità interne, ma
riuscivano sempre a trovare la sintesi e a presentarsi agli elettori
rispettivamente con un messaggio unico. Questo li rendeva capaci di raggiungere
percentuali altissime e di pesare davvero sulla scena politica. Oggi,
paradossalmente, proprio mettendo assieme la cultura cristiano-sociale e quella
della sinistra riformista si vuole costruire un nuovo partito di massa che
abbia un peso reale nella vita politica. Naturalmente tenere insieme le due
culture di provenienza non è semplice; ci vogliono apertura mentale, capacità
di mettersi in discussione, senso di responsabilità. Ci sono mille occasioni
nelle quali, ognuno di noi, per salvaguardare la sua identità, nella difficoltà
di convivere con chi è diverso da noi, vorrebbe mandare tutto all’aria. Ma poi
ci si rende conto che serve un progetto unitario di un partito di massa e
quindi si riprova a tenere tutto assieme”.
Lei ha militato a lungo nella sinistra radicale, che
oggi ha avuto una sconfitta bruciante, della quale a livello nazionale viene
accusato proprio il partito di cui fa parte. Che ne pensa?
“Intanto dico che la sinistra radicale è ben
lontana dallo scomparire dalla scena politica. E’ solo uscita dal Parlamento in
uno snodo difficilissimo della vita politica nazionale. Ma la sinistra
antagonista ha argomenti, intelligenze, qualità per rilanciare la sua presenza
politica. Io dico che il Pd deve riallacciare un dialogo con quell’area politica
che rappresenta un mondo di ideali necessari. Io ho fatto un percorso personale
che mi ha portato a preferire la sinistra moderata, in un partito di massa,
nella convinzione che da qui possano difendere meglio i valori in cui credo. Mi
sa che la pensano così anche molti elettori di sinistra, probabilmente stanchi
di proclami astratti, minoritari e testimoniali. Elettori che non hanno visto
nel Pd una riedizione della Dc, come alcuni hanno insinuato, ma hanno ritenuto
di poter affidare al Pd molti valori della sinistra, nella ricerca di un
progetto riformista che metta in soffitta slogan e astrattezze filosofiche e
costruisca un progetto concreto e realizzabile”.