Marano da sempre nella morsa di vicerè, usurai, gabelle e rate: la storia di Marco Bayano eroe della rivolta antispagnola ai tempi di Masaniello
Articolo inviato al periodico “L’attesa” da
Peppe Barleri, scrittore, uno dei più profondi conoscitori della storia di
Marano e di Calvizzano. Morì nel 2006
Torre Dentice di Sopra e di Sotto, due masserie che furono teatro del sanguinoso scontro tra truppe realiste e rivoluzionari maranesi |
A luglio 1997 saranno trascorsi tre secoli dalla
rivolta di Masaniello: la rivolta popolare che, partendo dalla insofferenza
nella sempre crescente imposizione fiscale operata dal governo vicereale di
Napoli, si colorò delle più svariate sfumature politico-sociali sulle quali non
è stata ancora scritta la parola fine.
A quella epopea legò, tra gli altri, anche il suo
destino il maranese Marco Bayano, all’epoca in cui la città era da
poco stata acquistata dalla “reginella” Caterina Manriquez. Marco,
figlio di Vincenzo e di Lionora Camerlingo, apparteneva a una famiglia modesta
che abitava nei pressi dell’attuale Eremo di Pietraspaccata, la cui cappellina
era dedicata al salvatore e detta comunemente “del Salvatoriello”. Poiché i
campi rendevano poco e le tasse erano feroci, i Bayano più di una volta erano
stati costretti a contrarre debiti con usurai. Poi erano sopraggiunte lunghe
malattie di Vincenzo a complicare le cose, e più volte Marco aveva pensato di
andarsene via da Marano. Per uscir dalle grinfie dei creditori e soprattutto
dall’incertezza sul futuro, agli inizi del 1646 Marco disse al padre di aver
deciso il suo destino. Si sarebbe arruolato come soldato e sarebbe andato a
combattere, magari sperando in un discreto bottino di guerra, in uno dei tanti
luoghi dove la Spagna (cui eravamo assoggettati) era impegnata in quel momento
dentro e fuori l’Italia. La madre Lionora tentò di scoraggiarlo, ma più di
tutti fu la bella fidanzata Tozza Mirabello a supplicarlo di non lasciarla. Ma
Marco fu irremovibile e, tra le lacrime della fidanzata, si arruolò. Quello che
ricevette come paga e come compenso della “ferma” lo diede agli usurai per
liberare i suoi da una morsa diventata ormai insopportabile. Passarono alcuni
mesi e il pensiero della bella Tozza, lasciata in lacrime, a Marano, non dava
pace al povero Marco, al punto da fargli cambiare idea sul suo stesso futuro.
Così, per il suo amore, Marco decise di lasciare l’esercito, la guerra e gli
Spagnoli. Ma per non finire impiccato come tutti i disertori, chiese al padre
di aiutarlo a mettere da parte 50 ducati occorrenti per il suo “riscatto” e
reinserimento nella vita civile. Vincenzo allora chiese soldi “ a interessi”,
ma occorrevano garanzie. Lionora Camerlingo, la moglie di Vincenzo, non si
perse d’animo e il 2 giugno 1646 inviò perfino una supplica al Vicerè nella
quale, dopo aver denunciato che, incredibilmente, i suoi 140 ducati di beni
immobili non erano sufficienti a garanzia dei 50 ducati richiesti dal marito,
chiese…”il suo beneplacito ed il Real assenso a ciò possa suo marito ordinare
al notaio di stipulare il prestito con le debite cautele di simili contratti…”
Riuscito a realizzare il suo intento, Marco tornò a
casa e sposò immediatamente Tozza, e si avviò a ripercorrere la monotona vita
del contadino.
Invece, a luglio del 1647,in piazza Mercato, scoppiò
la scintilla che porterà in men che non si dica il pescivendolo Masaniello a
capeggiare una formidabile rivolta antispagnola e a diventare capopopolo della
città più insofferente a qualsiasi tipo di dominazione straniera. In pochi mesi
la rivolta napoletana investì tutti i casali della provincia, alcuni dei quali,
però, furono ferocemente avversari dei rivoltosi.
I maranesi non persero tempo a organizzarsi e, il 24
ottobre di quell’anno, combatterono una feroce battaglia contro i “realisti”
nella gola vicino alla masseria del nobile napoletano Dentice. Marco, che aveva
già avuto esperienze militari, si trovò subito a essere tra i capi della
rivolta e con un’azione di aggiramento fu tra quelli che riuscirono a bloccare
e sconfiggere le armate reali, facendo un notevole bottino di armi. Ma quest’azione
militare gli costò la vita. Un colpo di archibugio gli trapassò il petto e si
ritrovò col volto nella polvere, insanguinata dal sangue di altri 14
concittadini che avevano creduto in un possibile cambiamento. Marco fu sepolto
nella “sua” cappella del Salvatoriello, vicino alla sua masseria, confortato
dal pianto della infelice Tozza.
Ma la storia non finì lì. Caterina Manriquez,
principessa di Marano, a rivolta domata in tutto il napoletano, chiamò a
raccolta la “universitas” cittadina e condannò tutti i rivoltosi, a cominciare
dai familiari delle vittime, al pagamento di tutti i danni causati da quella
infelice rivolta. Ai contadini fu data un’unica agevolazione: la rateizzazione
del debito.
E Vincenzo Bayano passò il resto della sua vita tra
debiti e usurai.