L’articolo su “Divirola” offre lo spunto per molteplici riflessioni



Ho letto l’articolo garbato e sensibile dell’ottimo Peppe Pezone.
Anche io, come Lia Ricciardiello ne avevo paura, il lato positivo di questa e altre tristi storie, sta nel constatare i passi avanti giganteschi fatti nel giro di un paio di generazioni, nel rispetto dei diversamente abili.
Soprattutto nei piccoli paesi come Calvizzano, queste persone erano oggetto di scherno e vessazioni, dice bene Peppe che la pena sofferta per l’emarginazione superava il male stesso che loro pativano.
Come spesso accade, nel male non c’era dolo, era solo banale ignoranza, superstizione e sub cultura della quale la popolazione tutta era la prima vittima.
I bambini venivano “educati” ad averne paura e persone come Divirola diventavano la personificazione del “mammone”, sempre evocato come castigatore dei birichini.  Era così da sempre, chissà, forse lo scostarsi dai “non normali” poteva avere radici ancestrali che richiamava alla paura del lebbroso o dell’appestato o di altra qualsivoglia malattia epidemica, paure antiche senza più memoria del perché.
Anche la superstizione contribuiva molto. Ricordo che tra gli anziani girava un detto tremendo sbiascicato in un dialetto con improbabile e millantata ambizione di radice latina, come a volerne suggellare la presunta religiosità: “Io te libero de’ segnalati mea” . Il senso orripilante era che Dio “marchiava” i maligni perché potessero essere riconoscibili, quindi l’inabile diventava un demone.
L’assimilare  la malattia all’ opera del demonio ha radici antiche, perfino gli evangelisti descrivono le guarigioni operate da Gesù come esorcismi, così come la deformità fu un’aggravante in molti processi della Santa Inquisizione. 
Nell’insalata dei disvalori va sicuramente aggiunta la rivalsa sul più debole, più si era poveri e ignoranti e più si avvertiva la necessità di affermazione di una dignità difficile da dimostrare, nessuno vuole essere l’ultimo gradino della scala del pollaio, quello più carico di deiezioni.
Questo crudo spaccato di una realtà passata ma vicina nel tempo e nel luogo, voleva essere il pretesto per affermare la mia personale profonda avversione a quell’area di pensiero del “Si stava meglio quando si stava peggio”,  Prima c’era rispetto ed educazione”, “Dove stiamo andando a finire”, “Belli tiemp e ‘na vota” ecc. ecc. ecc. Tra i maestri di questa infondata teoria ci sono certamente i testimoni di Geova, i quali, in base alla presunta decadenza dei tempi, ritengono di poter dimostrare l’imminente fine del mondo.
Ma la sindrome del rimpianto del tempo andato  attanaglia un po’ tutti, soprattutto quanto più si va in là negli anni e si confonde la nostalgia della personale prestanza proponendola come strampalata analisi sociologica.
Ma la realtà dice altro, per esempio che Divirola, Otello, Spellecchione ecc. sono stati gli ultimi di una serie di diseredati che si perde nella notte dei tempi, persone derise ed offese non per quello che facevano ma per quello che erano, oggi si va in galera per crimini del genere. La realtà dice che io ho 54 anni e non ho mai vissuto una guerra, addirittura i settantenni non hanno ricordo di una guerra, fatto UNICO nella storia, non c’è mai stato un periodo precedente di pace così lungo MAI! Uno dei maggiori problemi della nostra  società è il sovrappeso, ma fino ad appena due o tre generazioni fa era la fame. Disquisiamo dei migranti, ma molti di noi rappresentano la prima generazione a non essere costretta ad emigrare.
Tirando qualche somma possiamo dire che negli ultimi decenni siamo riusciti a nutrirci, abbiamo imparato a leggere e scrivere, a rispettare i diversamente abili, abbiamo imparato l’italiano e altre lingue straniere, a digitare velocemente e connetterci con il mondo intero… ma non abbiamo imparato ad essere felici.
Paradossalmente nelle società del benessere aumentano le frustrazioni, le depressioni e i suicidi.
Molti sociologi e filosofi battezzano questo fenomeno come “nichilismo” dandogli una dignità soggettiva ma in effetti il nichilismo non è una causa ma un effetto, non è la malattia ma il sintomo. Il nichilismo non è che il figlio dell’egoismo e l’uomo di nichilismo muore perché contro la sua natura. La cultura predominante è quella dell’affermazione di se stesso all’interno della società, ma percorrendo questa strada ci si ritrova in un vicolo che non ha sbocchi perché l’uomo non “E’” per questo. L’assenza di scopo alla fine della corsa è il risultato di una corsa su una pista sbagliata.
Ma come siamo arrivati al nichilismo partendo da Divirola, passando per l’inconsapevolezza del benessere?
E’ ora di tirare i fili: Se il benessere non è portatore di felicità, evidentemente l’evoluzione ha saltato qualche passaggio e per questo i conti non tornano. Se non siamo coscienti del nostro stato privilegiato è perché abbiamo puntato tutto sull’appagamento attraverso noi stessi, anche i credenti intendono la preghiera esclusivamente o comunque prettamente come richiesta. La nostra vita è una continua richiesta di un di più che ad un certo punto perde di senso, perché è un di più per un per  se’ già pieno ma  mai appagato.
Il passaggio saltato è la Divirola emarginata alla Divirola “punto a favore”, in effetti la natura dell’uso strumentale è molto simile: Divirola serve ancora per emancipare noi stessi.
Ma la Verità è che la Via da perseguire per una Vita veramente felice, è Divirola stessa, il fine ultimo, lo scopo non sta in noi ma nell’altro, nell’altro guardando verso il basso, nel prossimo diverso, bastonato e derubato.
Teoria da credente senza riscontri scientifici oggettivi? E mica tanto! Ecco un esperimento da laboratorio ripetibile e attuabile da tutti: Provate ad incrociare lo sguardo di alcuni top manager e poi di certi missionari e poi ditemi chi emana più appagamento, pienezza e felicità. Avrei voluto dire “luce”, ma si sono attenuto a riferimenti riconosciuti dalla comunità scientifica.

Gennaro Gb Ricciardiello
(dedicato suor Ada Galioto)
L’unica cosa che mi sento di aggiungere alla tua lucida analisi (condivisibile o meno) è che prima poi devi parlare di questa piccola ma grande donna, ossia Suor Ada Galioto. Nella vita valori ed esempi da seguire contano molto.
M.R.



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