Calvizzano, personaggi del passato rivisitati dall’appassionato di storia locale Peppe Pezone: la mitica “Divirola”
Caro Mimmo, continuando l’appassionante rubrica dedicata alle
persone che a Calvizzano, per un motivo o l’altro, tutti
ricordiamo, ti invio questo articolo su Graziella,
soprannominata Divirola. Della sua famiglia so poco, tranne che la
mamma si chiamava Maria ed era soprannominata “Maria a cuprtar“
perché manualmente confezionava coperte. Una sua sorella
si chiamava Filomena e veniva chiamata “Filumen a
ferrover”, suppongo perché suo marito lavorava in Ferrovia. Un altro
suo familiare era probabilmente un signore soprannominato Scì Scì (all’epoca
scampare a nomignoli era probabilmente impossibile). Questi
vendeva come ambulante a Calvizzano, orologi, accendini e
radioline . Graziella era affetta da una disabilità che le aveva caratterizzato
l’aspetto fisico e, parzialmente, anche quello mentale, che, sicuramente,
si aggravò negli anni per tutto quello che la sua
condizione di disabilità la costrinse a subire. Ogni volta che la
vedevo in giro per il paese, ricordo che indossava sempre
scamiciate , anche d’inverno ,tanto da darmi l’impressione che non
sentisse mai freddo. Spesso si recava da mia zia Elena che
vendeva vino , sicura che le avrebbe offerto un bicchiere di buon rosso. Se mia
zia era impegnata in qualcosa, Graziella dopo un po’, con un fare
garbato, chiamandola per nome richiamava la sua attenzione in modo
che mia zia avrebbe subito compreso il perché della sua visita.
Allora mia zia, senza mai spazientirsi, la salutava con quel suo solito sorriso
e le versava un bicchiere di vino, invitandola a sedersi. Lei,
quasi sempre restando in piedi , rapidamente lo beveva
ed altrettanto rapidamente salutando se ne andava. Ricordo che aveva
con mia zia un rapporto cordiale, ma ne ignoro il
motivo. Forse era per quel modo affabile che mia zia aveva in
genere con le persone o forse più semplicemente per
gratitudine. Comunque pare che anche Graziella era di carattere
molto affabile. Proprio in una di queste occasioni, trovandomi da mia zia
ebbi modo di guardarla da vicino scorgendo nei suoi occhi
quella tristezza e quella malinconia che spesso si
legge sul volto e negli occhi di certi disabili. E’ una tristezza che
conosco, li c’e’ la sofferenza non tanto perché consapevoli della loro
condizione, ma per tutto quello che essa di negativo causa loro, in
primis l’emarginazione. Imparano da piccoli a convivere con la loro
condizione e con superiore spirito di sopportazione conducono la
loro complicata esistenza, cercando di uscire dall’emarginazione, da
quell’isolamento, che per loro risulta essere più grave dell’ handicap che
patiscono . Basta poco però per farli sorridere, renderli felici. Basta
dedicarsi loro con affetto, con amore, farli sentire soggetti attivi,
protagonisti, quindi coinvolgerli in attività collettive, così come
renderli il più possibile autonomi. Insomma, non emarginarli.
Purtroppo Graziella spesso era vittima di ragazzacci che, non
rendendosi conto del male che le facevano, la canzonavano fino a farla
piangere e ricordo bene che quel suo pianto faceva tenerezza perché
sembrava il pianto di una bimba. Addirittura per la sua
condizione entrò nel linguaggio comune di alcuni ,che con incosciente
grettezza nel censurare determinati comportamenti di una ragazza usavano
dire “ ‘m par na Divirol “ . Gli ultimi anni della
sua vita Graziella li ha vissuti a Mugnano di Napoli dove con la
sua famiglia si era trasferita. Nello scrivere queste cose Mimmo, mi è venuta
la stessa tristezza che provo quando penso a Franco Davide
(Spellichione, ndr) a Otello, ad Anna Salatiello e alla loro
difficile esistenza, causata anche dalla nostra indifferenza.
Peppino Pezone
Grazie al tuo prezioso lavoro, caro Peppe, stiamo rendendo un gran servizio
alla città, facendo conoscere anche a tanti giovani questi personaggi da molti
dimenticati e che , probabilmente, ci guardano dal cielo.
Noi, dopo, quest’ultima perla che ci hai inviato, ci siamo incuriositi e
siamo andati un po’ più a fondo, bussando alle porte di persone anziane che,
nel loro immaginario, hanno ancora un ricordo nitido di questa donna minuta,
dall’aspetto un po’ goffo, che molti, riduttivamente, la ricordano come la “scema
del paese”. Il cognome di Divirola, nata nel 1924 e morta il 6 febbraio del
1986, era De Magistris: abitava in via Roma, la strada alle spalle del
Monumento. Nel 1969 si trasferì a Mugnano, ma tornava ogni giorno a Calvizzano
il paese al quale era da sempre affezionata. Per riuscire a ottenere la sua
foto, quella dei suoi genitori e di un suo fratello, quello soprannominato Scì
Scì, ci siamo recati nel cimitero di Mugnano-Calvizzano, dove sono sepolti, ma
non è stato facile risalire alla sua tomba. Sono state preziose le indicazioni
forniteci da Antonio Trinchillo, dipendente del Comune, ma grazie al
parroco don Ciro abbiamo potuto appurare l’anno della sua nascita e quello
della sua morte. Non sappiamo tutto questo quanto possa contare ai fini divulgativi,
ma, in ogni caso, ce la stiamo mettendo tutta per ricostruire la vita di un
tempo, fatta anche di personaggi considerati minori che, forse, per tanti,
rappresentavano la parte peggiore della città, da evitare se li incontravi per
strada.
Michele Ciccarelli, sacerdote e figlio di Calvizzano, nel 1993 dedicò una
poesia a Divirola
Le ali ormai schiuse
sono agili piedi
in questa scia di luce.
Sono Divirola,
la scema del paese.
Piccola sciancata
scivolavo nei vicoli.
Ora conosco ogni cosa
e so leggere i cuori.
So misurare…
- quale
miracolo mi diede
scienza d’angeli? –
so misurare i vostri passi.
Ora dovrete credere
alle mie parole:
molti tra voi
che se ne vanno sicuri
sono pula nel vento.
7 novembre 1993
Divirola conosce gli sguardi invisibili e l’ironia delle cose
Lia Ricciardiello:la mitica “Divirola era una donna
che aveva solo bisogno di un po’ d’amore
E’ notorio che gli artisti, generalmente, hanno una
sensibilità più spiccata rispetto alla gente comune. Lia Ricciardiello,
calvizzanese trapiantata a Marano, va annoverata sicuramente tra queste
persone. Ci ha colpito come ha raccontato sui social, in breve, la storia
di Divirola, un nome che, ancora oggi, quando viene pronunciato,
incuterebbe un po’ di timore, specialmente nei bambini più piccoli. La
riproponiamo a coloro che non l’hanno letta.
Tanti anni fa viveva a Calvizzano una donna che tutti
chiamavano "Divirola". Io non so ancora oggi cosa significhi quel
nomignolo, però, anche se ero bambina, ricordo bene lei. Era, quella che oggi
chiameremmo "DIVERSAMENTE ABILE": fisicamente era rimasta una bambina
con un'altezza di un metro e dieci circa e aveva un viso asimmetrico, mentre
mentalmente aveva un quoziente intellettivo di una bambina di 3 o 4 anni. I più
la deridevano e le mamme la usavano per farsi ubbidire dai figli con frasi tipo
"wè si nun mang chiamm'a Divirola”. Io la sognavo spesso e ne avevo
paura. Penso che nessuno mai si sia accorto che era lei ad avere paura, paura
della vita, della gente, e dell'incomprensione di tutti noi che non avevamo
capito che "DIVIROLA", in fondo, aveva bisogno solo di un po’di
amore.
“Tutta la vita sempre solo non sarò, un giorno troverò un po’ d’amore anche
per me. Per me che sono nullità. Nell’Immensità …”