Fotografia di un’epoca:1650-1750, quando i maranesi erano soprannominati “montanari”



Nelle chiese di San Castrese e dello Spirito Santo sarebbe venuto a predicare da giovane missionario Sant’Alfonso Maria dè Liguori

Poco più di un quarto di secolo fa venne pubblicato un nuovo libro di Mons. Orlando, buonanima, intitolato “Marano di Napoli. Vita socio economico religiosa. Parte II” dedicato al nonno Raffaele e al nipotino con lo stesso nome. Un viaggio nostalgico nella laboriosità della vecchia Marano agricola dei “montanari”. Il saggio, in circa 120 pagine, analizza avvenimenti ed operosità della laboriosa terra di Marano, dal 1650 al 1750. Non fu messo in vendita: per riceverlo bastava versare un’offerta per una costituenda borsa di studio a favore di un seminarista maranese.
Era il tempo in cui i maranesi erano soprannominati “montanari”. Il casale contava poco più di cinquemila anime.  Da poco tempo la città era stata “acquistata” dall’amante del re di Spagna soprannominata “reginella”. Costei, avendo avuto un figlio (ovviamente illegittimo) dal re, fu fatta allontanare in fretta e furia, dall stessa regina, dalla corte di Madrid. Tra i cittadini e la nuova “padrona” non corse mai buon sangue, tanto che, all’epoca della rivolta di Masaniello, i maranesi insorsero, le incendiarono il palazzo e si resero in un certo senso “liberi”. In seguito, per evitare di essere sopraffatti da truppe “realiste” venute a “riportarci sotto il vecchio padrone”, tendemmo loro un’imboscata tra contrada Dentice e San Marco, così ben preparata, che non solo le sbaragliammo, ma ci impadronimmo anche di alcuni cannoni. Pagine di grande eroismo che, però, durarono assai poco. Troppo forti gli spagnoli e assai miseri noi.
Ma come viveva la sua giornata il maranese? Era dedito alla pastorizia (allevava soprattutto capre) e all’agricoltura. Piselli e ciliegie resero fin dal Seicento Marano assai famosa tra i casali napoletani. Non era raro imbattersi nella stessa Napoli in venditori che, per vendere ciliegie di altre località a buon prezzo, dicevano che provenivano proprio da Marano “So cerase de Marano” era il grido tipico del venditore di questo prodotto.
“A proposito di “cerase” – dichiarò al periodico “ideaCittà”il professor Giacomo Di Maria (buonanima), insigne storico calvizzanese che ha abitato a Marano gli ultimi anni della sua vita – molti maranesi concorsero ai moti di Masaniello perché si videro tartassare le loro saporitissime ciliegie elencate nel “Bando del Ben Vivere”, conservato nell’Archivio Storico del Comune di Napoli.
Lavoravano sodo i nostri progenitori, ma al calar della sera (come pure nei giorni festivi) amavano trascorrere troppo tempo nelle osterie a bere e a giocare a dadi o a carte. Non è che questo fosse un reato, nonostante tutto i parroci cercavano in tutti i modi di esortarli a cambiare abitudini di vita. Molto spesso, poi, bestemmiavano, come si afferma in una relazione inviata al cardinale Spinelli. Così, per “rieducare” e migliorare questo popolo, venivano abbastanza spesso le santi missioni. Non poche volte, però, i poveri missionari se ne andavano “sconfitti” dalla nostra cattiva fede e cocciutaggine. “Sono montanari…” si legge in una di queste relazioni, quasi a dire: “Pazienza sono testardi”.
Ma questi testardi dei nostri avi  riuscirono a sopravvivere alla peste, alle rivolte, agli spagnoli ed ebbero la capacità di promuovere varie congreghe che avevano, tra l’altro, lo scopo di aiutare gli infermi, gli anziani, gli indigenti. Qualche confraternita si occupava perfino di preparare, a proprie spese, il corredo a ragazze povere onde facilitare il matrimonio. Le donne erano un vero “tormento” per il cardinale. Questi non vedeva di buon occhio il fatto che se ne stessero sempre in chiesa a prendere la santa comunione. Tanto che si decise a chiedere al clero locale di non assecondare troppo queste donne senza essere sicuri che “veramente” fossero in grado di ricevere l’ostia consacrata.
Dubbi sulla fede del popolo? Ognuno è libero di pensarla come vuole.
E l’istituzione scolastica? Già c’era.
Quella che oggi chiameremmo “elementare” era affidata ad Andreina Giordano e Castrese Coppola, rispettivamente per le femminucce e per i maschietti rigorosamente separati tra loro. Nel convento degli Agostiniani, che sorgeva là dove oggi c’è il cimitero e la chiesa di vallesana, invece, si insegnava la filosofia e teologia morale. Nell’eremo di Pietraspaccata, intanto, si decise una volta per sempre che per il futuro dovesse continuare a risiedervi un solo eremita per volta(cosa che nel secolo precedente succedeva regolarmente) per evitare litigi e scandali.
Il saggio si conclude con le Sante missioni del 1747. Ma, avvertì sempre il dottor Di Maria: “Ho trovato una notizia sfuggita a al Monsignore. Notizia che, però, che non scalfisce l’inesausto scrittore, che ben abbina la storia alla sua cultura filosofico-teologica.Ecco la notizia: “Dal 1 gennaio 1730 (così recita il P. Santonicola in “Vita cronologica di S. Alfonso De Liguori) nella chiesa dello Spirito Santo e di San Castrese   in Marano ci fu la Santa Missione. Forse dovette predicare l’allora giovane missionario  Alfonso, il futuro Santo”.
Enzo Savanelli, giornalista-scrittore         

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