Curiosando nei vecchi documenti di Marano, “l’antenato nostrano dei pedofili”



Le storie che  lo scrittore Giuseppe Barleri, buonanima,  inviava al periodico “L’attesa”

Giovanni Syrleto era un poco di buono. Figlio dell’infaticabile e acculturato notaio Marco Antonio, aveva un fratello, Geronimo, che era il suo opposto ed era anche lui notaio come il padre. Quanto più scansafatiche era Giovanni, tanto più attaccato al lavoro e alla famiglia era il fratello notaio. Alla morte del genitore, nel 1725, Giovanni aveva da poco sposato Concetta Candida. Ma non era stato un matrimonio d’amore, bensì una “riparazione” alla violenza sessuale compiuta da lui stessa sulla donna. E poiché navigava in cattive acque, cominciò a dilapidare il ricavato della vendita degli immobili ereditati.  Geronimo aveva molto a cuore le sorti del fratello e faceva di tutto per aiutarlo. Ma non otteneva risultati concreti. Giovanni non voleva far nulla, assolutamente nulla e pretendeva che il fratello gli pagasse puntualmente ogni debito. Dopo otto anni di matrimonio  di vita d’inferno, la moglie Concetta si trovò un lavoro come sarta a Napoli e lo abbandonò al suo destino. Giovanni cominciò, allora, a bere e ad andare a prostitute, che finirono per trasmettergli la sifilide. Ma non per questo si calmò. Anzi, cominciò perfino a infastidire i ragazzini, tanto da rischiare il linciaggio quando, nel 1742, fu sorpreso mentre stava tentando di violentare Cesare Pragliola di 13 anni, figlio di un bracciante. Per allontanarlo dal paese (dove per il suo comportamento molti avevano giurato di ucciderlo alla prima occasione) e anche per dargli l’opportunità di rifarsi una vita, il fratello Geronimo acquistò apposta per lui il podere denominato “la Galtiena”. C’era tutto  l’occorrente per permettergli di trasformarsi in contadino. Invece, ancora una volta, la cosa si dimostrò un fallimento, perché, dopo soli due mesi, Giovanni “tirò un colpo di scoppetta ad uno scrivano del fratello. Nel medesimo tempo fu preso, carcerato e portato in Napoli. E detto notaio Geronimo lo fece scarcerare”.
Appena scarcerato , il “mal francese” cominciò a procurargli fastidi assai seri, per cui Giovanni pensò di “vendere i beni, la terra, la giumenta, i buoi e gli stigli a un prezzo assai minore del prezzo che il fratello li aveva comprati. E non per curarsi, ma per andare, quando non stava malato, a vagabondare per il casale, giocare e cercare donne da portare a casa e prezzolate. Poi, è stato diverse nuove volte carcerato in detto Casale di Marano, quanto in Napoli, per molti disastri dal medesimo procurati e per debiti non onorati”.   
Il 12 maggio del 1755, consumato dal male, Giovanni spirò senza un minimo di rimpianto per quello che era diventato.
E quando la morte venne a pigliarlo, non si trovò un prete per confessarlo, né un monaco. Quando i servitori glielo riferirono, Geronimo raccomandò a Dio onnipotente il suo sfortunato fratello e più ancora l’animo di quello”.   


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