Carlo Alberto Dalla Chiesa, una vita dedicata con eccelso senso del dovere al servizio delle istituzioni
“Qui
è morta la speranza dei palermitani onesti.”
(Scritta apparsa
sul luogo del duplice omicidio di Dalla Chiesa e della sua compagna Emanuela
Setti Carraro)
Carlo Alberto dalla
Chiesa era un carabiniere, un partigiano, un piemontese. Oggi è un martire
della nazione. Immolato sull’Ara della Patria nella lotta al brigatismo rosso prima e a Cosa Nostra dopo. Tutto chiaro? Per
nulla! Contro Cosa Nostra il vice comandante dell’Arma non riuscì a fare molto.
Arrivato a Palermo cento giorni prima, inviato da Giulio Andreotti, venne
ucciso la sera del 3 settembre 1982. In questo periodo egli si lamentò più di
una volta e in modo piuttosto ruvido degli strumenti e possibilità insufficienti
per attaccare la criminalità nell’isola. Il militare di alto rango capì
immediatamente che a Palermo il miracolo doveva farlo la società civile, la
scuola e l’associazionismo. Parlava a studenti e operai, pensionati e
organizzazioni civili di cittadini. Una celebre intervista di Giorgio Bocca a
Palermo ne svelò tutta la fragilità e l’isolamento a cui era stato condannato
il generale. Bocca, lo trovò solo e senza nemmeno un carabiniere al fianco in
una prefettura vuota, deserta. Perché? Certamente la mafia non uccide a cuor
leggero e non fa rumore senza un vero tornaconto vantaggioso. Insomma perché il
crimine organizzato doveva ammazzare un prefetto che stava ancora guardandosi
intorno nella città simbolo del suo potere. Dalla Chiesa, cominciò a morire qualche
anno prima. Dopo aver ingaggiato una dura lotta contro il terrorismo rosso
delle “Brigate Rosse” e averle
sostanzialmente sconfitte. Con l’arresto di due dei capi storici e la morte di
una di essi (Margherita Cagol): Renato Curcio, Alberto Franceschini. Sventò poi
un sequestro ma, soprattutto, il primo ottobre del 1978, a cinque mesi
dell’assassinio di Aldo Moro, in via Montenevoso
8, a Milano, scoprì non solo un covo delle BR arrestando anche dei brigatisti
ma, ritrovò una parte dattiloscritta del celeberrimo quanto misterioso “Memoriale Moro”. Una parte, un’altra,
venne fuori dodici anni dopo dallo stesso appartamento, nel 1990. Forse vi fu
una regia occulta a guidare il ritrovamento, insieme ad armi e soldi. Si disse
che in quel memoriale ritrovato dal generale, Moro descriveva i fatti più bui
della storia nazionale non risparmiando neanche i suoi compagni di partito,
Andreotti su tutti. Si disse anche che Dalla Chiesa tenne per sé parte del
memoriale, ipotesi sempre smentita e senza fondamento. Successivamente, il
carabiniere più famoso d’Italia, fu messo prima a riposo e poi, sarebbe stato avvicinato
da un suo collega che lo avrebbe invitato a iscriversi alla loggia massonica
“P2” (Non è mai stato chiarito il
vero scopo di dalla Chiesa nel tentativo di adesione alla P2: secondo alcuni
sarebbe stato quello di indagare come infiltrato le manovre della loggia,
secondo altri la domanda fu inoltrata quasi involontariamente…Fonte Wikipedia).
Il generale era molto amareggiato per questo suo isolamento. Quando fu inviato
a Palermo realizzò immediatamente che vi era stato mandato per toglierselo
davanti. A Roma non c’era più spazio per lui. La verità giudiziaria si è
fermata dove quella storica ci è passata oltre e ha concluso che forse, non fu
il crimine organizzato a compiere questo atto delittuoso, o meglio, i padrini
siciliani furono il braccio armato di un altro potere che nell’ombra aveva
deciso che Dalla Chiesa doveva finire i suoi giorni. Il generale aveva coraggio
e senso dell’onore da vendere, già nel 1949 fu a Corleone distinguendosi per
abilità e tenacia investigativa. Indagò sulla scomparsa del sindacalista
Placido Rizzotto, ucciso da Cosa Nostra. Prima ancora di Corleone fu a Casoria,
impegnandosi nella lotta al banditismo. Il 3 settembre del 1982, qualcuno
scrisse una frase emblematica: “Qui è
morta la speranza dei palermitani onesti.” Ma frase fu più tristemente premonitrice
di una lunga serie di lutti e delitti che riguardarono magistrati,poliziotti,
carabinieri, giornalisti e coraggiosi cittadini onesti. Dalla Chiesa è un caso
ancora misterioso e inquietante. Come del resto fra i tanti che la nostra
nazione ha conosciuto. A chi gli chiese della sua assenza ai funerali dell’uomo
che aveva voluto a Palermo, Andreotti rispose: “Preferisco andare ai battesimi”. Questo personaggio ha condizionato
la vita pubblica e privata della nazione italiana e la sua storia nei
cinquant’anni che vanno dal dopo-guerra a “Mani pulite”.
Enzo Salatiello