In un mese, 800 chilometri a piedi camminando nel mondo e dentro se stessi: l'indimenticabile esperienza di un giovane maranese



Nel 2007 il giovane maranese Giovanni decise di fare il cammino verso Santiago de Compostela: la sua esperienza raccontata dallo scrittore-giornalista Antonio Menna. La città spagnola è sede di un’importante cattedrale, quella di San Giacomo apostolo (Santo patrono anche di Calvizzano), uno dei martiri del cristianesimo, la cui tomba si trova proprio nella piccola ma suggestiva città galiziana. Giovanni:  “non c’è bisogno per forza di Ibiza e di Formentera per passare un’estate al massimo”.

Una pietra di sapone di marsiglia, con cui avare i vestiti, il corpo e, strofinando  bene,  anche i capelli. Un sacco a pelo da stendere a terra se necessario o su un letto qualunque e non aver bisogno di lenzuola, coperte e federa. Un paio di scarponi impermeabili e resistenti, con cui poter calpestare sassi, guadare torrenti, scorrere su lunghe accaldate di prateria. Dieci chili di zaino sulle spalle: e dentro scatolette di cibo, una borraccia da riempire a ogni fontana, un paio di libri, tre magliette, una felpa, un pantalone di ricambio.
C’è un giovane a Marano che si chiama Giovanni e che il 21 di agosto ha deciso di partire.
Qualche giorno prima si era laureato in medicina. Dopo qualche settimana avrebbe cominciato  quella lunga, snervante spremitura a cui viene sottoposto un ragazzo che si affaccia sul mercato del lavoro: tirocini, iscrizione all’Ordine, primi passi nella professione, specializzazione, concorsi. “Adesso o mai più”, ha pensato Giovanni.  
Si era laureato da pochi giorni ed è partito. Un mese. A piedi.
Giovanni ha deciso di fare il cammino verso Santiago de Compostela, nella Galizia spagnola. Un pellegrinaggio. Un atto di fede. Ma di più. Una prova. “Fisica – precisa Giovanni – un’esperienza fisica prima ancora che spirituale. La misura del tuo corpo, della tua forza; capire che risorse hai, dove conservi le energie. E quanto lontano queste ti possono portare”. Il cammino verso Santiago è ovviamente una tappa di fede. La città spagnola è sede di un’importante cattedrale, quella di San Giacomo apostolo, uno dei martiri del cristianesimo, la cui tomba si trova proprio nella piccola ma suggestiva città galiziana.  Fin dal medioevo, Santiago è meta di pellegrinaggi che si sviluppano attraverso una serie di itinerari che vengono percorsi a piedi, come nella tradizione dei pellegrini. Il cammino verso Santiago è diventato negli ultimi trent’ anni, un’esperienza di massa: nel 1985, a fare il cammino sono stati circa 2500 pellegrini. Oggi, si cimentano mediamente 200mila pellegrini l’anno. Tra loro anche Giovanni, che ci rimuginava sopra già da qualche tempo. “Dovevo partire con un amico di studi – racconta Giovanni – ma io mi sono laureato un poco prima. Ho superato alcuni intoppi sul mio percorso universitario e ho pensato: quest’estate è il momento”.
Il 21 di agosto, Giovanni ha preso un aereo per Nizza; da lì un treno per Saint Jean Pied de Port, una piccola località a ridosso dei Pirenei da cui parte il cammino francese. I percorsi ufficiali verso Santiago, in realtà, sono sette: oltre a quello francese, ci sono quelli aragonese, del Nord, inglese, del Sud Est, portoghese, , la Fisterra Muxia e la rotta marittima. Quello aragonese e quello francese a un certo punto si fondono e diventano un corpo unico. Ogni pellegrino sceglie il suo cammino; i percorsi si differenziano per durezza, lunghezza, suggestione. Molto conta, nella scelta, anche il mezzo con cui si vuole fare il pellegrinaggio. Si po’ raggiungere Santiago a piedi, in bicicletta o a cavallo. Il cammino francese è quello più vero, più solido, quello che senti di più sotto la pianta dei piedi, nelle unghia che, come spine, si infilano nella carne.
Giovanni ha scelto il cammino francese. Settecentosettantacinque chilometri. A piedi, passo dopo passo. Con lo zaino sulle spalle. Il cielo sulla testa. La pioggia nella maglia. Il vento che si infila nei pantaloni larghi e comodi. E l’umanità di tutti i colori che inciampa nei suoi passi e ti rotola davanti. Giovanni ha incrociato, lungo il suo cammino un uomo irlandese che era incredibilmente guarito da un linfoma non Hodgins, che però gli aveva lasciato, come ricordo, l’insensibilità al dolore sotto la pianta del piede. “Così ho deciso di fare il cammino – ha raccontato, scherzosamente, l’irlandese a Giovanni – tanto non sento il dolore”.
Il cammino è così. Parti a piedi, segui la concha (una conchiglia, il simbolo che viene lasciato lungo il percorso per indicare la strada) oppure segui le frecce di fortuna che altri pellegrini fanno con rami, pietre, palline di sterco degli animali. Parti e vai. Cammini con il tuo passo; incontri qualcuno che fa il cammino come te e ti metti al suo fianco, come fosse normale. E vai con lui. Condividi la tua storia, i tuoi pensieri di quel tempo. E poi quando il tuo passo diventa diverso dal suo, lo saluti e vai oltre. Verso altri passi e altre storie. Come quella di un ingegnere milanese che si era appena separato dalla moglie e aveva deciso di lasciare il lavoro per avviare un’impresa in proprio o di una ragazza svizzera o di una donna romana in crisi con la famiglia. “Ho conosciuto gente di tutto il mondo -racconta Giovanni – e ho mescolato la mia storia alla loro”.
La prima tappa del cammino di Giovanni è stata Roncisvalle, a venticinque chilometri dalla partenza. Poi, a seguire, altre tappe. Mediamente venti, venticinque chilometri al giorno; cinque, sei ore di cammino. All’alba, poi a pranzo, poi nel pomeriggio. In mezzo qualche pausa nei rari villaggi, in qualche agglomerato di case. Una trattoria per il pasto caldo, una fontana per bere e lavarsi. Per la notte, ci sono gli alloggi del pellegrino. Enormi dormitori ricavati in chiese, conventi, edifici pubblici. Un letto in camerata, l’uso del bagno e della cucina. E ancora condivisione, stare assieme e da soli al tempo stesso.
Il miracolo del cammino.
All’inizio del percorso – racconta Giovanni – si ritira la Credencial. E’ una sorta di libretto universitario. A ogni tappa c’è un ufficio che ti mette un timbro con la data e la località. Perché il cammino sia compiuto è necessario farsi apporre almeno due timbri al giorno. Con la credencial completa si arriva a santiago e si ritira la Compostela, un attestato, un simbolo del cammino compiuto. In Spagna il cammino è diventato così importante da fare curriculum per i giovani. E’ considerata un’esperienza formativa prima ancora che religiosa”.    
Nutrirsi di carni secche e scatolame, arrivare in una città sconosciuta e dormire in camerate, cucinare la pasta per sé e per chi c’è, bere insieme un potente liquore galiziano che ti infiamma la gola e agevola la chiachhiera, togliere scarpe e calzini e dare schiaffi compiaciuti ai propri piedi, mettere la testa nel sacco a pelo e sprofondare in un sonno che non credevi di avere, trovare l’alba negli occhi e rimettersi in cammino, attraversare (come in un dipinto) il sole bollente, la pioggia, il vento, di nuovo il sole, e di nuovo la sera. Sentire la meta che si avvicina e liquidare se stessi. Non si cammina per ritrovarsi ma per perdersi, per diluire i grumi, sciogliere i nodi e mescolarsi. Prendere una distanza e ridere di sé. Capire. Capirsi. Capirci qualcosa.
Quelli che partono – racconta Giovanni – sono spesso in un momento particolare della loro vita. Una scelta importante, uno snodo”.
E’ come se il cammino fosse un luogo neutrale dove sentire se stessi. Giovanni lo ripete, non è una questione di fede, o almeno non solo. E’ un’esperienza fisica, che senti nella carne. Una misura di sé, nel mare ora calmo ora mosso dell’umanità.
Mi sono laureato in medicina – dice Giovanni – e voglio specializzarmi in terapia del dolore. Mi sembra che il cammino, in quest’ottica, abbia avuto ancora più senso. Circa ottocento chilometri a piedi in un mese sono una prova fisica di resistenza e motivazione, di sforzo e volontà. Sono gli arnesi principali con cui si combatte il dolore, quello fisico e quello morale.
Non solo fede, quindi, ma vita. La materia prima del dolore, niente di meno trascendente.
Giovanni è un ragazzo di Marano. Uno che incontri per strada e che è uguale a tutti gli altri. Giovanni, brillante, che ha voglia di divertirsi, come tutti.
Vedo rappresentato il cammino – dice – come un’esperienza noiosa e pesante, quasi da vecchi. Invece mi verrebbe da definirlo uno sballo. Mi sono sentito un giovane come tutti i giovani. Non c’è bisogno per forza di Ibiza e di Formentera per passare un’estate al massimo”.
Antonio Menna
     
     

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