Il grande artista-pittore Ernesto Tatafiore ha vissuto per oltre trent’anni a Marano



Dal libro di Enzo Savanelli (giornalista e scrittore) e Angelo Marra (artista eclettico, maestro della fotografia, scenografo) “Marano, una presenza millenaria”



Quando mi fu chiesto di andare a visitare Ernesto Tatafiore che da molti anni abita e dipinge nel castello di Torre Caracciolo, nella frazione omonima di Marano, dissi che senz’altro un giorno o l’altro mi sarei deciso a farlo. In realtà per mesi “cocciutamente” ho disatteso quell’invito per una sorta di diffidenza “preconcetta” contro tutti quelli che in un modo o nell’altro sono legati al mondo dell’arte. Contro, insomma, tutti quelli che credono di essere “il”  genio che l’umanità attende per chissà quale redenzione.
Ed intanto affidano il loro “messaggio” a squallidi galleristi che poi lo rivendono incorniciato a metro quadro e magari a rate.
Quando finalmente Angelo (Marra l’autore del libro dal quale è stato tratto l’articolo su Tatafiore, Ndr) mi trascinò fino a Torre caracciolo, senza neppure chiedere ad Ernesto cosa dipingesse, gli chiesi scusa per quella mia stupida presunzione che mi portava a condannare anche senza motivo.
M’era bastato fissare un solo attimo le sue tele per rimanere letteralmente ammaliato. Come per incanto mi ritrovai catapultato in un mondo dal quale avrei preferito sinceramente non fare più ritorno. Un mndo non eccessivamente definito, dove al massimo qualche contorno era fatto a matita. Dove il pesce Pietro giocava a rincorrersi con il bambino che è in noi, dove il giorno aveva la durata di un secolo, dove Masaniello s’imparentava con Robespierre, dove Paganini andava a spasso con l’alfista Nuvolari.
Un mondo che “forse” anche a Napoli, con i suoi suoni, i suoi odori, ma senza le folle che si agitano per un niente. Dove il Vesuvio è un seno di donna oppure un cappello francese, che sbuca ora dal mare, ora dalla testa di qualche rivoluzionario.
Più che un maranese in senso lato, amo definirmi torreggiano. Del resto non so fino a che punto questo castello mi protegge o invece mi incanta guidando la mia pittura. Molto probabilmente sarà stato lui ad avermi spinto nella rivisitazione della rivolta napoletana di Masaniello o francese di Robespierre”.    
A Torre Caracciolo vive dal 1974. E’ sposato con Simonetta e ha due figli. Marco il più grandicello, con le sue domande e scoperte è l’involontario accompagnatore di questo malinconico giovane-vecchio, da poco inoltrato nella quarantina, nella ricerca della lucida confusione dell’infanzia non pienamente goduta, dove il nulla è abitato e dove anche la morte può essere gioia.
Ma c’è anche Pietro, assai più piccolo, chiamato così il giorno in cui Ernesto riuscì a pescare il pesce Sampietro.
La sua prima mostra gliela organizzò, nel 1969, addirittura Lucio Amelio, quello della fondazione omonima e dei “Terrae Motus” che hanno messo Napoli al centro della scena artistica mondiale.
Da quell’anno è stata una dirompente fuga in avanti a fianco di nomi come Cucchi, Paladino, Pistoletto, Schifano, Longobardi, nella stessa costellazione del povero Beyus o Kiefer, Merz, Warhol, là dove le etichette sono il più delle volte irriguardose e semplicistiche, come il termine “Transavanguardia” proposto da Achille Bonito Oliva non certamente per la sua pittura e dove invece vi fu “costipato” dall’Ammann il quale, accanto ai “veri” transavanguardisti”, volle esporre alla Kunsthallen B.C. di Essen in Germania, opere di questo indefinibile ed “eruttivo” torreggiano-maranes giustamente coccolato dalle più importanti gallerie del mondo che se lo contendono con cifre da capogiro.
Enzo Savanelli     

Breve bio di Tatafiore
Nato a Marigliano nel 1943. Si avvicina alla pittura anche attraverso l’attività artistica dello zio Guido (1919-1980) e del padre, medico e pittore dilettante. Laureatosi in medicina, si specializza in psichiatria. La vita professionale si intreccia in un rapporto di reciprocità con il percorso artistico. Fondamentale è il contatto con la galleria di Lucio Amelio, dove organizza la prima personale nel 1969. La figura di “Robespierre”, simbolo dell’incompatibilità tra la virtù teorica e la prassi del terrore, viene riprodotta in senso emblematico rispetto alla connotazione morale e utopistica dell’artista, utilizzando mezzi rappresentativi di tipo tradizionale in modo convenzionale. La Rivoluzione francese, come ambigua contraddizione tra ideali politici e ideali umani, si traduce quindi nell’ambiguità delle forme (opere composte in più parti) e dei materiali usati (disegni realizzati su pezzi di carta sovrapposti ad altri materiali) spesso sottolineata da motti verbali citati o creati dall’artista. Il disastro del Titanic, i personaggi di Mozart, Masaniello e Maradona incarnano il tema dell’assurdo e del paradosso. Premiato nel 1964 dal Ministero della Pubblica Istruzione, ha partecipato nel 1966 alla Quadriennale d’arte romana. Tra le numerose mostre si ricordano le personali organizzate presso il Kunstmuseum di Lucerna (1982) e presso il Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna (1993-94 e 1999).  
Fonte il Brigantino- il Portale del Sud

Alcune opere del maestro Tatafiore


Trittico Robespierre poeta

Masaniello,1984. Tecnica mista su carta intelata.





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