“La rivoluzione non
è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la
si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con
altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La
rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne
rovescia un'altra.”
|
(Mao Zedong, Libretto
rosso)
|
Una sera di settembre del
1976 vidi in televisione un funerale strano, senza prete e senza chiesa. Le
spoglie di un ometto dagli occhi a mandorla erano omaggiate da una fiumana
interminabile di persone in lacrime, inchinandosi un secondo, lanciavano
un’occhiata veloce di disperazione. Avevo da poco più di un anno perso mio
nonno, nella mia testa di bimbo di sette anni pensai: “Ma questo nonno quanti parenti ha?”. Quel “nonno” era Mao Zedong!
Capo indiscusso della Repubblica Popolare di Cina e padre fondatore del
Movimento comunista cinese nonché della patria proclamata il I° ottobre 1949.
Mao, definito dall’ufficialità di partito. “Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante Supremo,
Grande Timoniere” ha sempre avuto sui giovani comunisti europei
un’ascendente molto più forte dei dirigenti sovietici. Se si eccettua Che
Guevara, Mao ha rappresentato un vero e proprio culto ideologico per le masse
popolari non solo dell’Asia ma di tutto il mondo. Il suo famosissimo “Libretto
rosso”, una sorta di agenda politico-ideologica con riflessioni,
aforismi e massime da lui ideate, divenne una piccola bibbia per i militanti di tutto il mondo. Egli condusse e vinse la
grande guerra civile a capo delle armate contadine rivoluzionarie organizzate
dal Partito Comunista cinese contro
i nazionalisti guidati dal Kuomintang. A Mao vengono
riconosciuti i meriti di traguardi importanti. Egli gettò le basi per
traghettare la Cina dal Medio Evo economico e sociale alla modernità.
L’analfabetismo passò dal 65% al 20 su una popolazione di almeno mezzo miliardo
di persone. Distribuì terre ai contadini e attuò molte riforme migliorative del
sistema di produzione nei campi. Egli adottò inizialmente il modello stalinista
dei “Kolchoz”,
organismi collettivi di produzione agricola che accorpava più nuclei familiari
contadini. In Cina si giunse a collettivizzate anche ventimila famiglie in un
unico organo. Ben presto le lamentele cominciarono a prendere corpo e
sfociarono in aperto dissenso. Mao in un primo momento incoraggiò la critica aperta
e schietta (politica dei cento fiori) e quando furono allo scoperto, molti
intellettuali furono imprigionati e messi ai lavori forzati. Si collettivizzò
tutto giungendo a una sorta di parossismo cervellotico. In questi collettivi
nulla era privato: animali, suppellettili, cucine, mobili e strumenti di
lavoro. Uomini e donne non dormivano insieme, anche i coniugi dovevano
rispettare queste regole. Il sogno di un uomo che voleva portare sull’altare
della storia il proletariato contadino cinese si trasformò in un’immane
tragedia umanitaria. La Cina, dopo un breve periodo di politica programmatica
simile, di differenziò dall’Unione Sovietica di Stalin sotto l’aspetto della
determinazione della ricchezza: la prima volgeva in grande maggioranza, tutti i
suoi sforzi nelle campagne e nel settore primario, la seconda verteva
sull’industria pesante e il proletariato metalmeccanico degli operai
specializzati. Quindi città industriale contro campagne. Il piano di
collettivizzazione delle terre costò la vita a centinaia di migliaia di piccoli
e grandi proprietari terrieri. Sia chiaro, la riforma nella sua sostanza di
merito era nobile, milioni di cinesi non possedevano nulla a tutto vantaggio
dei pochi. Ma il bilancio dei morti non è facile da calcolare, le cifre ballano
anche in base all’orientamento politico degli storici ma, ci basta sapere che
costò la vita a tanti cinesi. Mao diede vita al celebre “Balzo in avanti”. L’operazione
era una tecnica mista di produzione agricola collettivizzata con un maggiore
supporto di industrializzazione dei
mezzi necessari affiancata a una vasta diffusione di microaree tecnologizzate
nelle campagne. Il risultato fu un disastro completo: i contadini non erano più
tali ma non erano nemmeno ancora operai. Si ebbe qualcosa come circa trenta
milioni di morti per fame e denutrizione. Un catastrofe completa. Se si
aggiunge che il partito pianificava gli obiettivi e i metodi produttivi senza
tenere conto degli stimoli e della partecipazione dei contadini. Una pericolosa
demotivazione colpì costoro che determinò una sempre maggiore inefficienza. So
ebbe così il perfetto risultato contrario del postulato ideologico marxista: “Dare
in base alla forza, ricevere in base ai bisogni”. I contadini che
producevano poco, morivano di fame nutrendosi di cortecce ed erba! Iniziarono
al vertice del partito una lotta intestina per limitare Mao nei suoi poteri.
Un’altra tragedia fu la “Rivoluzione culturale” lanciata da
Mao contro i vertici dissidenti del partito. Affidò l’azione di contrasto a
migliaia di giovani militanti e guardie che istituirono anche tribunali e tutto
degenerò verso un furore distruttore di monumenti e ogni cosa che sembrava
essere un vecchio lascito della borghesia. Il paradossale è testimoniato da un
altro “nemico” individuato da Mao
contro il quale scatenò la reazione parossistica e feroce di milioni di
contadini. Gli uccelli! Colpevoli di cibarsi del raccolto (e di cosa se non di
quello?) furono sterminati riducendone il numero a una tale quantità da
ingenerare una nuova catastrofe. Il raccolto fu divorato dagli insetti in
sovrannumero perché gli uccelli erano troppo pochi per combatterli. In sintesi,
la mia posizione non cambia, sono un comunista e ne spiego il perché:
concependo la mia ideologia come radicata soprattutto nel carattere e
nell’identità scientifiche marxiste di denuncia delle storture del capitalismo,
le mie idee restano intatte e moderne fino a quando non sarà risolto il
problema dei più deboli e dei poveri. Il problema sta nella risposta. Risposta,
che in una maniera o nell’altra, nessuno dei capi del movimento comunista
mondiale del secolo scorso ha saputo dare. Eppure, dev’esserci un modo per
conciliare i diritti del proletariato e il suo benessere con la libertà
di’impresa e civile dell’individuo. Mao considerò sempre i cinesi come nulli
sotto l’aspetto individuale ma solo molteplici ingranaggi di una complessa
macchina sociale che lavorava per il socialismo. Il comunismo, è innanzitutto
solidarietà! Oggi la Cina mi piace ancora meno, il suo capitalismo sfrenato
unito a una teologia dottrinaria sociale e umana di tipo meccanicistico mi fa
orrore. Oggi milioni di cinesi lavorano quattordici, sedici ore al giorno! Un
altro modo dev’esserci per forza!
Enzo
Salatiello