La pittura del sacerdote calvizzanese Michele Ciccarelli, la continua ricerca come fine ultimo della vita
Ciccarelli, attualmente
parroco a Contrada (provincia di Avellino), è un artista completo: ha scritto
poesie e dipinto quadri
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Tela 1 |
Di Michele Ciccarelli
sappiamo tanto, a Calvizzano è una figura umana considerata con affetto e
amicizia, da quanti l’hanno conosciuto. È anche il mio pensiero. Michele ha un’umanità
vasta e complessa che lo ha guidato verso scelte significative nella vita. Non
lo vedo da un po’ ma, credo di avere un ricordo del carattere allegro e
affabile, unitamente però a un poderoso spessore morale e spirituale
naturalmente. Oltre alle sue poesie, egli ci offre anche la pittura. Basandoci
su queste tre tele, delle quali non sappiamo il periodo di realizzazione, né se
sono successive l’un l’altra o se ve ne sono di altre inframmezzate, faremo un
tentativo blando di darci un’interpretazione. Cominciamo dalla tela della porta
chiusa circondata dall’erba: essa forse è una finestra, vecchia, ha una strana
linea orizzontale che denota un’apertura insolita, non destinata agli uomini
tanto è bassa, sembra un uscio di un ricovero per animali in una stalla ormai
abbandonata. Forse sbagliamo ma, in questa tela, a rafforzare il concetto di
solitudine, è l’erba cresciuta intorno a una porta che non si apre da anni,
l’erba circonda tutta la figura centrale e solo un timido accenno di fiori in
basso a destra risveglia nell’osservatore un moto di speranza. La tecnica non è
ricercatissima e i colori accesi dei mattoni contrastano con il verde
decisamente più spento.
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Seconda tele |
La seconda tela, funge da
conferma al discorso della prima anche se, ripetiamo, non conosciamo l’ordine
di successione delle opere. Qui i colori sono ancora la parte predominante, lo
scenario è integralmente naturalistico. Ma i toni, anche in questo caso, non
assolvono il compito celebrativo della bellezza della natura. Il promontorio
che si spinge nelle acque del mare, con la sua vegetazione è nero. Un colore
che nega ogni discorso ottimistico e incoerente con il tramonto accennato di
fronte. Il nero, è un altro messaggio implicito e forse inconsapevole di “mondo da cambiare”. Il piano calpestato
è sottoposto a un’intensa azione critica da parte del pittore. Il mondo solido,
immerso in un blu intenso delle acque assolutamente simile a quello delle
montagne in lontananza, reca un messaggio simile a quello della porta. Gli elementi
naturali, per posizione e consistenza materiale non hanno mai lo stesso
identico tono, qui però, vediamo che montagne in lontananza e acque del mare,
sono assolutamente coerenti, a dispetto di un tramonto che dovrebbe infondere toni
più caldi. Infatti la dislocazione dell’arancio e un rosso più deciso è visibile dietro le
montagne con un sole giallo, cioè non nascente né calante. Sembra che l’autore
“avverta” il mondo che lo circonda
attraverso regole ribaltate della naturale bilancia policroma della luce. Anche
se sulle acque si riflette l’azione del sole, tutta la tela, è oscura e
raccolta in un “auto abbraccio”. Qui
la natura, celebra se stessa, senza curarsi degli uomini.
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Terza tela |
La terza tela, a
differenza delle precedenti ha una figura umana. La presenza dell’uomo, qui
risponde anch’essa alla necessità di sottolineare l’esistenza piuttosto
faticosa e vissuta con sacrificio dall’uomo. L’ambiente è quello invernale, il
viandante se ne va in una postura tristemente dimessa e rassegnata. Egli avanza
a testa bassa per difendersi dal freddo e con le mani in tasca, non guarda
nemmeno la strada per altro appena accennata (temi e scenari cari a Van Gogh).
Questo ambiente sembra un normale bosco innevato ma è un contesto
“psicologico”. Qui il pittore, dotato di un notevole spessore spirituale e di
fede naturalmente, sostituisce la “traversata
nel deserto” di evangelica memoria con questa camminata nella neve e nella solitudine,
il cammino è lungo, nessuno ad accompagnarlo, solo gli alberi osservano la
scena. A differenza di quelli sullo sfondo, che sono decisamente alberi, questo
grosso in primo piano, sembra terminare con una sorta di gambe in movimento,
come se volesse dargli appoggio e compagnia, con i suoi quattro rami alzati a
cielo, ci pare di scorgere sotto la corteccia gelata, il soffio della vita
umana. Il viandante, porta addosso a sé ancora una volta il blu forte, come
nella tela del mare, come a distinguersi dal contesto, decisamente più chiaro
ma, attenzione: l’azzurro del cielo, artefatto dalla creatività del pittore
(Secondo coerenza realistica dovrebbe assumere toni cinerini, tipici dei cieli
invernali e innevati), si specchia a macchia di leopardo sulla neve, altro
elemento questo che non risponde alla rappresentazione di un semplice contesto
naturale ma piuttosto a un mondo interiore fatto di contrasti e aspettative
future, diremmo escatologiche. Il cielo, lascia flebili tracce di sé sulla
terra, come uno specchio in frammenti. Si tratta della riflessione della
speranza di una vita oltre questa che si
manifesta attraverso timidi segnali sporadici? Solo chi crede in
determinati valori spirituali (non necessariamente solo religiosi) coglie il
senso della vita.
Michele ha un mondo
interiore di grande complessità e stimolo. Tutta la sua vita si è impiantata in
una continua ricerca della dimensione interna. Le sue tele, sebbene non abbiano
una decisa tecnica narrativa, anche se, accostarle a una procedura
impropriamente “Chagalliana”, cioè sospesa a metà tra messaggi rassicuranti e
dubbi forti, con similitudini da avanguardie non definite, i suoi quadri,
raccontano non la “valle di lacrime”
ma la felicità raggiunta nella continua ricerca di un ruolo dell’uomo nel
creato. Sperando di non aver fatto torto alle reali intenzioni del pittore.
Concludiamo auspicandoci di conoscere altre tele di Ciccarelli per meglio
assaggiarne i messaggi.
Enzo
Salatiello