Martin Luter King, “I have a dream”: l’attualità di un messaggio per la società odierna

Foto fonte NPR
Nel pomeriggio del 4 aprile 1968, sul balcone di un piccolo motel a Memphis, un uomo di colore sulla quarantina, si accascia colpito a morte da un proiettile. Quell’uomo si chiama Martin Luther King Jr. Attivista del movimento per i diritti civili degli afroamericani, pacifista, pastore protestante, “Premio Nobel” per la pace nel 1964. Sul delitto non ci soffermiamo, è la solita questione paludosa degli omicidi eccellenti di uomini scomodi, che si ammantano di ombre e complotti. Cinque anni prima, a cadere sotto i colpi di un’arma da fuoco era stato John Fitzgerald Kennedy. La primavera progressista americana finiva così nel sangue. King, nato ad Atlanta, aveva preso coscienza ben presto che il “Proclama di emancipazione” del 1862 emanato da Abraham Lincoln, era solo un’enunciazione in linea di principio di buoni propositi riferiti a quegli ex schiavi africani che vivevano in America ma, che era rimasta lettera morta. King capisce da subito che le condizioni di vita dei neri americani vanno migliorate solo con un sistema: la NON VIOLENZA. Questa parola d’ordine la prende dalla più importante personalità civile nel mondo, il Mahatma Gandhi. King è instancabile nella sua opera di convincimento prima della sua gente e poi verso la comunità bianca nei suoi strati più progressisti e avanzati. L’organizzazione razzista dei bianchi “Ku Klux Klan”compiva azioni terroristiche e spedizioni punitive notturne che avevano come obiettivo, cittadini neri inermi. Anche la polizia, specie quella locale, era spesso complice di questi misfatti spesso luttuosi. King, a fronte di tutto questo predicava sempre la non violenza e la perseveranza nei metodi pacifici di persuasione. Spesso, organizzava marce per ottenere le cose più scontate ma che vi erano negate. A volte, continuava a marciare anche quando il corteo era attaccato e provocava loro ferite e percosse. Dicembre 1955, Rosa Parks, donna di colore di Montgomery, nell’Alabama e attivista per i diritti degli afroamericani è tratta in arresto per essersi rifiutata di cedere il posto a un uomo bianco sul bus che la riporta a casa dopo una giornata di lavoro. King si trova in città e comincia così una durissima battaglia legale e civile contro questo provvedimento che porterà ad abolire questa norma segregazionista. Di queste leggi, ve n’erano in molti stati americani, chiamate “Leggi locali Jim Crow”. Queste norme servivano a tenere separati i neri dai bianchi, bagni pubblici separati, scuole, servizi di trasporto ecc. Dopo mesi di contrapposizione faccia a faccia, spesso cruento e sanguinoso, la battaglia era vinta, la carta vincente fu il boicottaggio della società municipalizzata dei trasporti, sull’orlo del fallimento e sotto i riflettori dell’intera nazione, dovettero cedere e abolire la norma. Le leggi prendevano il nome da una caricatura sprezzante di un nero zoppicante che balla: “Jim il corvo”. King farà altre marce, alcune celebri come quella di Washington, dove conobbe il presidente Kennedye quella di Chicago. Lottò in modo caparbio e costante per il miglioramento delle condizioni di vita dei neri nei sobborghi delle grandi città del Sud. King è l’inventore di una tecnica vincente di contrapposizione che include il misticismo orientale gandhiano con la fermezza e la praticità degli occidentali. Divenuto ben presto un’icona per le classi progressiste e una certa sinistra europea, cominciò a mettere in pericolo alcune certezze della borghesia che deteneva certi privilegi. Ebbe degli oppositori anche tra la comunità nera americana, Malcom X, leader nero, differente da lui sui metodi ne fu uno. Questi teorizzava il colpo su colpo, all’offesa, secondo questo attivista non pacifico, si rispondeva con una altra offesa. Con Martin Luther King, non si tornò più indietro. I neri d’America ma anche tutti i poveri e i bisognosi, seppero che c’era uno strumento di lotta micidiale per chi non intendeva mollare privilegi: la lotta pacifica e non violenta, la resistenza non armata, perché questo sistema stanca chi lotta contro di te, questo sistema fa proseliti e alla lunga, lentamente, aggrega pareri favorevoli anche tra chi è dall’altra parte, anche tra chi, non si esprime e non schiera. Infatti, la marcia è stata lunga ma alla fine, nel gennaio 2009, un avvocato americano, nero, con un nome afro-arabo, si appresta a giurare sulla Costituzione americana come 44° presidente degli Stati Uniti d’America: Barack Hussein Obama II. Nato a Honolulu quando King era già un famoso attivista. Obama ha governato col Partito democratico per due mandati. Evento rarissimo se non unico nella storia americana. La lunga fila di afroamericani alle urne era un segno dei tempi di un’America che sembrava stanca di un potere W.A.S.P. (White Anglo Saxon Power)  alla Casa Bianca. Egli ha emanato una serie di leggi a favore della sanità pubblica e gratuita almeno per i bambini poveri, in un Paese, dove la sanità è a pagamento tramite assicurazioni sulla vita. In quella fila alle urne, aleggiava lo spirito di Martin Luther King. Era quella una vittoria anche sua, dove si era prodigato e sacrificato decenni prima per preparargli la strada, del resto, la società americana che ha eletto Obama, era un po’ il risultato dell’opera di King, un pastore protestante, nero, visionario, tenace, caparbio, pacifico e micidiale per la classe dei bianchi privilegiati. Un Gandhi nero. Con King prima e Obama dopo, anche se c’è molto da fare ancora, almeno Jim il corvo, non balla più. Ne nasceranno ancora? In un mondo come il nostro, ce n’è davvero ancora molto bisogno.

Enzo Salatiello

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