“Vieni
a scuola, che tu ti difenderai dal padrone, dal fattore e dal prete”
Articolo, scritto da Enzo Salatiello, molto profondo e
semplice nella lettura: vi consigliamo di gustarvelo tutto
Nella
vita della Chiesa Cattolica, spesso, si sono avute figure di grande spessore e sostanza
oltre che fedeli servitori della stessa. Don Lorenzo Milani, nato a Firenze nel
1923, dove poi vi è anche morto soltanto quarantaquattro anni dopo, è uno di
questi. Egli ha avuto, come tutte le figure straordinarie che hanno
attraversato il XX secolo, una vita affascinante, ricca di elementi che faranno
discutere. Prete, educatore, polemista contro le classi abbienti, vicino ai
poveri per tutta la sua breve vita. Di famiglia ebraica benestante (non erano
ferventi praticanti) con illustri personaggi in famiglia, don Lorenzo fu fin da
giovane una personalità poliedrica. Approdò alla vocazione cattolica e ai voti
partendo da una posizione lontana anni luce: era ebreo come si è detto e si
convertì. Nella prima gioventù fu attratto dalla pittura, e fu proprio in una
chiesetta sconsacrata, mentre stava dipingendo che prese tra le mani un
breviario che lo colpì profondamente. Egli apprese dal suo maestro di pittura
che si “deve cogliere l’essenziale e
l’assoluto delle cose, spogliarle dai dettagli, semplificare e considerare gli
elementi come unità interconnesse tra loro.”
L’essenziale e l’assoluto, Lorenzo lo cercò in Dio, non
nell’arte. Da qui si spinse verso l’uomo
e non verso la canonicità delle forme e delle consuetudini intrinseche della
Chiesa. Egli non fu un prete normale, non badò mai alla messa domenicale, ma
alla condizione dei poveri, poiché uomini e non anime da salvare anche se, egli
spesso diceva che “Da bestia, non si può diventare santo, bisogna prima passare
per l’uomo.” Alla sua santità ci pensava ma non come a un fatto ultraterreno e pertinente
al Sacro ma come al giusto riconoscimento del suo buon lavoro. Don Lorenzo,
spesso usò espressioni forti e senza mediazioni dettate dalla prudenza tipica
dell’abito talare. Era un combattente sui campi di battaglia della povertà,
dell’analfabetismo e della condizione umana di contadini e operai. Le gerarchie
cattoliche lo vollero confinare presso San Donato di Calenzano, vicino Firenze,
e già mostrava l’inquietudine del genio, egli ripeteva che bisognava “elevare gli spiriti insieme ai corpi”, insomma,
badare alle anime, ma anche alla condizione esistenziale delle persone. La
Chiesa non riteneva di coltivare attività educative e formative se non in
istituti esclusivi per chi se lo potesse permettere. Don Lorenzo, invece, immaginò e fondò una scuola non convenzionale, di
tipo inclusiva, nemica dei voti, della competitività, delle bocciature: se
un bambino non capiva una lezione, tutti gli altri dovevano aspettarlo. Questa
è la rivoluzione che mise in atto. Per queste idee e per delle lettere di
critica forte contro i ricchi e il sistema scolastico dell’epoca che non teneva
conto delle storture sociali, don Lorenzo fu spinto ancora più isolato verso
una località di montagna sperduta sulle colline toscane: Barbiana. Questo nome che nemmeno figurava sulle carte geografiche,
sarà destinato a diventare famoso per l’altissimo livello simbolico e educativo
che don Milani infuse a quell’ambiente. Egli
capì che i bambini figli di pastori e contadini dovevano imparare nuovi e
sempre più numerosi vocaboli per
difendersi dalle angherie della società. Egli soleva dire ai bambini, oltre
alla frase contenuta nell’INCIPIT quest’altra molto più caustica: “Ogni
parola che imparerete sarà un calcio in culo in meno che riceverete nella vita”,
così parlava don Lorenzo Milani, lui che veniva da un ambiente
familiare coltissimo, che aveva la stoffa e la sostanza del letterato, parlava
al popolo con il codice del popolo. Questo faceva inorridire la Chiesa
preconciliare di Pio XII, ma anche quella di Papa Giovanni XXIII non fu mai tenera,
anche se in privato, Roncalli lo apprezzava. Secondo don Lorenzo, la parola, il
sapere del linguaggio, costituiva il processo di liberazione dalla schiavitù
della povertà. Il potere, per don Milani, era tale in virtù della detenzione
stessa della parola, come potevano, poveri contadini e operai analfabeti non
farsi sopraffare dalla dialettica forbita dei potenti e dai mezzi che
possedevano, se non conoscevano il significato delle parole? La scuola di
Barbiana, fece presto proseliti tra intellettuali e uomini di cultura, ma creò
anche una forte resistenza e opposizione dal mondo accademico. Don Milani
rispose a queste critiche pubblicando la “Lettera a una professoressa”, dove
fa parlare in prima persona i bambini. Questi muovono delle contestazioni alle
critiche attraverso l’esempio di “Pierino del dottore” dove questa
figura, il figlio di un dottore, quando arriva per la prima volta a scuola, sa
già leggere e scrivere, quindi,s’ignora che la scuola deve essere un
potentissimo strumento al servizio di quelli che devono ancora imparare, per
trasformarli da sudditi di un sistema economico vessatorio, a cittadini
consapevoli dei propri diritti. La scuola di Barbiana era molto dura, si
cominciava al mattino presto per finire la sera tardi, anche nei festivi. Le
attività erano le più svariate, quelle più strettamente didattiche alla lettura
dei giornali, all’insegnamento di mestieri manuali per opera di artigiani
disponibili a tali lezioni. Le lezioni di lingua francese si svolgevano con
l’ausilio di dischi di cantanti francesi che don Milani comprava. La cattedra,
come oggetto fisico e simbolico di separazione tra il mondo di “quelli che
sanno” e di quelli che ignorano, fu abolita. Egli preferiva lasciare
l’iniziativa ai bambini sulla lettura sulla spiegazione di certi concetti loro
partecipavano in modo orizzontale alla discussione. L’altra presa di posizione
che ebbe don Milani fu quella contenuta nel libro, proibito dalla Chiesa: “Esperienze
pastorali”. Da questa sua opera, estrapoliamo quanto basta per capire
di che pasta era fatto Don Lorenzo: “La terra appartiene a chi ha il coraggio di
coltivarla, le case coloniche appartengono a chi ha il coraggio di starci, il
bestiame appartiene a chi ha il coraggio di ripulirgli ogni giorno la stalla…”
. Sembra un proclama comunista ma don Milani aveva Dio nel cuore e il
randello nella lingua, con un linguaggio crudo e diretto, criticava la sostanza
dell’azione pastorale della Chiesa. I suoi limiti, dovuti a una visione
dualistica della vita specie nel mondo sociale, finivano, secondo Don Lorenzo,
per creare ostacoli oggettivi tra essa e i fedeli. Egli diceva che un buon
cattolico, doveva limitarsi a osservare i Dieci Comandamenti. Nella sua scuola,
i due testi fondamentali erano solo due: Il Vangelo e la Costituzione italiana.
Un Don Milani ogni dieci anni, la Chiesa e l’Italia, sarebbero molto più
avanti. C’è da scommetterci su questa ipotesi.