Una
storia pubblicata dal periodico “ideaCittà nel 1989”
Crederci o non crederci? Una casa del centro storico
abitata dai fantasmi. O meglio, dal “monaciello”, atavico retaggio della
subcultura napoletana rispolverato di recente, tra le superstiziose credenze
del re Francischiello, nel fortunato film “o’ re”.
E proprio il monaciello si sarebbe improvvisamente
manifestato nella misera casa al Corso Vittorio Emanuele di Pasquale Cappuccio
(venditore ambulante meglio noto ai maranesi col soprannome di “o’ pesce” ) e
avrebbe dato vita a fenomeni soprannaturali di ogni genere: quadri che si
staccano da soli dalle pareti, un televisore che esplode improvvisamente, lampadari
e piatti in frantumi, la radio che sobbalza sui mobili, le castagne del
caldarrostaio “o’ pesce” che sibilano per la casa come proiettili, scarpe che
girano all’impazzata. E ancora, all’arrivo delle forze dell’ordine, un
brigadiere dei carabinieri sarebbe stato colpito al volto, inspiegabilmente, da
un telefono animato di vita propria.
Secondo il padrone di casa, il monaciello non
sarebbe altro che l’anima di un morto evocato dalla moglie Luisa, spessa dedita
alle sedute spiritiche. E, anzi, sempre a detta dei Cappuccio, pare che il
monaciello se ne stava buono in casa loro da molto tempo e che, talvolta, dava
alla famiglia ance qualche soldo per tirare avanti, ma solo a patto che non ne
avessero mai fatto parola con nessuno. Poi, invece, uno dei figli aveva parlato
e perciò era scoppiato il finimondo.
Certo, non è facile credere a questa storia che ha
piuttosto il sapore di una commedia di Eduardo che non di un fatto reale.
Fatto sta che il centro di Marano, la sera di
martedì 10 ottobre, è rimasto completamente paralizzato dal traffico per alcune
ore.
La fama del monaciello si era diffusa dappertutto ed
era cominciato un vero e proprio pellegrinaggio alla “casa degli spiriti”:
centinaia di persone che si accalcavano, spingevano, premevano per entrare in
quella specie di budello che è il palazzetto che dà accesso a casa Cappuccio.
Inutili erano gli sforzi della Protezione Civile per respingere quella marea di
curiosi.
Ci siamo stati anche noi in quella casa, riuscendo a
farci largo tra la folla e a passare: abbiamo cercato di sapere qualcosa, ma
nessuno aveva visto niente. La gente de vicinato ripeteva meravigliata quello
che aveva sentito dire o descriveva gli incredibili rumori che aveva udito
provenire dal “basso” dei cappuccio.
Soltanto una vecchietta ci ha detto: “Madonna mia,
prufussò, la c sta o’ monaciello” e ci ha indicato una finestra al primo piano
dove, sulle prime, si sarebbe materializzata questa entità in un debole alone
di luce.
In quello squallido tugurio vivevano in 13:
Pasquale, la moglie, otto figli, una nuora, un nipote e la suocera. Nell’unica
stanza da letto tredici materassi disposti in fila in modo tale che, per
arrivare all’ultimo giaciglio in fondo alla parete, era quasi inevitabile
calpestare gli altri.
Ecco allora che si è pensato a una messinscena
architettata dal povero Cappuccio per ottenere una casa decente dal Comune e
poter andar via da quella miserabile catapecchia. Così, in poche ore, sono
state trovate le spiegazioni anche per gli altri misteri, divenuti tali perché
ingigantiti dalle chiacchiere della gente: il carabiniere non è stato affatto
colpito dal telefono; il telefono è semplicemente piombato a terra smosso dalla caduta di un quadro
fissato alla parete con uno spillo; inoltre la luce del monaciello alla finestra
non era altro che il riflesso dei lampi sui vetri.
L’indomani mattina, comunque, dopo il sopralluogo
dell’ufficiale sanitario, la casa era dichiarata inagibile. La numerosa
famiglia Cappuccio sgomberava la baraca in cui viveva da circa 30 anni ed era sistemata
provvisoriamente dalla Protezione Civile in una tenda militare (posta nel
piazzale antistante l’antico palazzo baronale al corso Vittorio Emanuele), ma
solo in attesa che il Comune trovasse un alloggio da prendere in affitto per
loro.
Ma se trovare una casa da fittare a Marano è
difficile per tutti, trovarla per il povero “o’ pesce” è stata addirittura un’impresa ardua : ad un
certo momento si è pensato perfino di sistemare la famiglia in dei locali di
villa Ezilda, l’ex convento dei Padri Bianchi al corso Umberto, disabitato e
abbandonato da anni.
Nel frattempo, stanchi di aspettare, dopo sei giorni
di forzato campeggio, gli “sfrattati” occupavano (ma solo per poche ore) due
aule della scuola materna presso l’”Amanzio”
in piazza Trieste e Trento, dopo aver divelto l’inferriata della
finestra.
Infine i Cappuccio sono stati sistemati, sempre al
Corso Umberto, in due vani terranei della famiglia Neola, fino a pochi mesi fa
usati dal mobiliere Ponticelli come depositi. Cosa si può dire a conclusione di
questa singolare vicenda ? Soltanto che “la vita è un teatro”.
E gli spettatori maranesi, potenza della cabala e
della superstizione, hanno affollato il botteghino del lotto per giocarsi i
numeri, tant’è vero che la ricevitoria ha dovuto chiudere i battenti fin dal
giovedì per “biglietti esauriti”.
Ma, il sabato, non sono usciti né il 37 del
monaciello, né il 90 della paura, né il 55 dei carabinieri con la testa rotta e
nessuno ha visto niente.
Il povero “o’ pesce”, attore suo malgrado sulla
scena della vita, è uscito da un “basso” per ritrovarsi in un altro.
Forse, in tutta questa storia, chi ci ha guadagnato
è stato soltanto il monaciello, che ha avuto una casa tutta per sé, liberandosi
della invadente presenza di tredici coinquilini che non solo pendevano talvolta
dalle sue tasche, ma lo avevano anche tradito.
E allora? “Non è vero, ma ci credo” potrebbe essere
la morale della favola.