A Enzo Salatiello non piace l’dea di un museo in onore dell’ammiraglio Caracciolo: “la mitica rivoluzione del 1799 è un’autentica barzelletta”
In questo appartamento, ubicato nel Palazzo ducale, c'è la famosa botola dove, secondo alcuni storici, fu catturato Caracciolo |
Da un simpatizzante del
movimento neoborbonico riceviamo e pubblichiamo
Gentile Mimmo,
noi ci conosciamo e per questo permettimi di esprimerti tutta la mia stima e amicizia.
Per quanto riguarda il contesto che ha determinato il discorso caduto sull’Ammiraglio Caracciolo sorvolerei perché non ci trovo nulla di interessante, mi preme però dirti (scusami sono di poco più giovane di te ma la tua gentilezza e buon senso mi spingono a darti del tu) qualcosa sull’opportunità di intitolare la Villa comunale al suddetto e all’istituzione di un museo in suo onore… già, l’onore. Non credo che i “Neoborbonici” che conosco tutti molto bene, si appigliano a questioni simili, parlo dei dirigenti riconosciuti da tutti: il prof. Gennaro De Crescenzo, l’avvocato Alessandro Romano e tanti altri ancora, la galassia ormai, come quelle vere si sta espandendo e due parole vanno dette: Cosa diresti se un ammiraglio della United States Navy, tradisse gli Stati Uniti, disattendendo gravemente gli ordini dell’autorità del presidente e mettesse a disposizione della Corea del Nord una sua corazzata? Credo che ci sarebbe da discutere su una possibile pena capitale, e siamo nel 2017! Mi si dirà: “Ma l’America è una democrazia a suffragio universale, la sovranità appartiene al popolo, mentre nel 1799 i Borbone erano una monarchia assoluta e non eletta da nessuno”.
noi ci conosciamo e per questo permettimi di esprimerti tutta la mia stima e amicizia.
Per quanto riguarda il contesto che ha determinato il discorso caduto sull’Ammiraglio Caracciolo sorvolerei perché non ci trovo nulla di interessante, mi preme però dirti (scusami sono di poco più giovane di te ma la tua gentilezza e buon senso mi spingono a darti del tu) qualcosa sull’opportunità di intitolare la Villa comunale al suddetto e all’istituzione di un museo in suo onore… già, l’onore. Non credo che i “Neoborbonici” che conosco tutti molto bene, si appigliano a questioni simili, parlo dei dirigenti riconosciuti da tutti: il prof. Gennaro De Crescenzo, l’avvocato Alessandro Romano e tanti altri ancora, la galassia ormai, come quelle vere si sta espandendo e due parole vanno dette: Cosa diresti se un ammiraglio della United States Navy, tradisse gli Stati Uniti, disattendendo gravemente gli ordini dell’autorità del presidente e mettesse a disposizione della Corea del Nord una sua corazzata? Credo che ci sarebbe da discutere su una possibile pena capitale, e siamo nel 2017! Mi si dirà: “Ma l’America è una democrazia a suffragio universale, la sovranità appartiene al popolo, mentre nel 1799 i Borbone erano una monarchia assoluta e non eletta da nessuno”.
Nessuno Stato del XVIII secolo sapeva
cosa fosse una democrazia, nemmeno la Francia postrivoluzionaria. Eppure la
legalità era un concetto accettato da tutti. La mitica Rivoluzione del ’99
è un’autentica barzelletta. Essa non ha prodotto ideali, non ha portato per
Napoli progressi (se si tralascia qualche buona opera sotto Murat) anzi, i
francesi erano gli americani dell’epoca che esportavano democrazia, portarono
con loro gingilli come la ghigliottina, mentre stante la pena capitale nel
Regno duo siciliano erano più le grazie che le esecuzioni tanto che molti
liberali e dissidenti della politica ferdinadea ammettevano che se il Regno era
caduto lo si doveva anche al fatto che il monarca Ferdinando II di Borbone non
aveva fatto cadere le teste giuste e il degrado che accompagna il Sud dal 1861
è ancora qui e lotta con noi. Un’altra figura emblematica della cosiddetta
Rivoluzione è Eleonora Pimentel Fonseca, nobildonna, dama di compagnia e
bibliotecaria di sua Maestà Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, regina consorte di
Ferdinando I delle Due Sicilie, il re sentitosi umiliato e preso in giro la
fece condannare a morte (sfruttando l’antica amicizia e quindi l’indulgenza dei
reali napoletani, fece credere di essere incinta e quindi in base a una legge
del Regno (!) non poteva essere sottoposta all’esecuzione). A questa donna le era stato anche
accordato nel 1785, un vitalizio di 12 ducati da parte del re. La rivoluzione
partenopea fu fatta da elitès intellettualoidi che non capirono che nel
contesto napoletano e duo-siciliano gli ideali della Francia giacobina ci
stavano come la marmellata sugli spaghetti ai frutti di mare. Non fu mai una
sollevazione di popolo, quest’ultimo e il suo re vivevano in un connubio unico
in tutta Europa, tanto che la rivoluzione fallì sotto i colpi di Fabrizio Ruffo
che alla testa di un’armata di volontari così detti “lazzari” perché di
popolani si trattava, si batterono in nome del re e della fede cattolica.
Perciò suggerirei di scartare sia l’ipotesi dell’intitolazione alla Villa
comunale che della nascita di un museo che oltretutto avverrebbe in un momento
di risveglio culturale e in controtendenza alla ufficialità della storia
risorgimentale che contiene menzogne, lutti, impoverimento e cancellazione del
nostro glorioso passato di Stato-Nazione già fin dal 1130! Ti saluto e ti
ringrazio per la pazienza, sempre disponibile a dibattiti e incontri anche
pubblici anche con il mio amico Peppino Pezone al quale voglio molto bene. In
ultimo mi faccio aiutare da un insospettabile che scrisse in una sua opera
quanto segue:
« I Francesi furono costretti a dedurre i princìpi loro dalla più astrusa metafisica, e caddero nell'errore nel qual cadono per l'ordinario gli uomini che seguono idee soverchiamente astratte, che è quello di confonder le proprie idee con le leggi della natura. »
(V. Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)
« I Francesi furono costretti a dedurre i princìpi loro dalla più astrusa metafisica, e caddero nell'errore nel qual cadono per l'ordinario gli uomini che seguono idee soverchiamente astratte, che è quello di confonder le proprie idee con le leggi della natura. »
(V. Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)
Saluti, Enzo Salatiello
Grazie
per la stima e l’amicizia, gentile Enzo: a questo punto il tu è obbligatorio.
Il tuo punto di vista sulla Rivoluzione partenopea del 1799, direi autorevole,
visto come scrivi e racconti questo spaccato di storia di fine 700, va
rispettato ma anche analizzato. Questo compito spetta a coloro che ne sanno più
di me di giacobinismo e di Rivoluzione francese. Ritengo che il nostro amico
comune Pezone sia più titolato a farlo. Ma ben venga qualcun altro che desideri
inserirsi in questo dibattito molto interessante. Questa è vera cultura, perciò
sono io a ringraziarti di nuovo per averci dato l’opportunità di metterla in
pratica. La mia idea su Caracciolo è sempre la stessa, quella che ho espresso
pochi mesi fa su questo blog. La ripeto per coloro che non hanno avuto
l’opportunità di leggerla. Caracciolo, nelle cui vene scorreva un po’ di sangue calvizzanse,
fu un grande eroe della rivoluzione partenopea del 1799, promossa
dalle famiglie nobili guidate dal principe Gennaro Serra di Cassano e da un
gruppo di intellettuali. I rivoluzionari furono tutti impiccati, molti morirono
per strada e decapitati: le loro teste mozze vennero prese a calci dai Lazzari
(quelli che tu, se ho capito bene, fai passare per una sorta di eroi) da quel
momento chiamati lazzaroni. Caracciolo fu attratto dalle ideologie egualitarie
propagandate dalla Francia rivoluzionaria. Uno dei pochi a rendergli onore, fu
Alexandre Dumas nel suo capolavoro “La Sanfelice”, descrivendo Caracciolo come
una delle figure più nobili, coraggiose e capaci che animarono le vicende della
Repubblica napoletana del 1799. Pertanto Caracciolo che, secondo Cuoco, da solo
valeva un’intera flotta, dalla penna di Dumas viene trasformato nell’archetipo
dell’eroe tragico. A nostro avviso andrebbe studiato nelle scuole, in
particolar modo in quelle calvizzanesi.
Intitolargli la villa comunale? Non accadrà mai,
poiché i neoborbonici locali, guidati da un autorevole esponente dell’amministrazione
Salatiello, l’assessore Lorenzo Grasso, non lo consentirebbero mai. La villa è
un luogo di aggregazione e unione, non di divisione. Veniamo al museo
della Rivoluzione partenopea, nella casa dove l’ammiraglio fu catturato ed
esiste ancora la botola del suo nascondiglio. Riteniamo che sia un’idea
geniale, in primis perché unica nel suo genere, poi perché il museo fungerebbe da
attrattore turistico di proporzioni immense per studiosi, scolaresche e appassionati di questo
scorcio di storia rivoluzionaria. La città, a parte il grande rientro
d’immagine, avrebbe benefici in tutti i sensi. Inoltre, sarebbe un’ occasione anche
per voi borbonici per propagandare più efficacemente le vostre idee.
Mimmo Rosiello