Giuseppe Pezone: la Commissione toponomastica non dimentichi di dedicare una strada a Lucrezia Reggio Branciforte, duchessa di Calvizzano e nonna materna dell’ammiraglio Caracciolo

Palazzo ducale dove visse la nonna dell'ammiraglio Caracciolo
Dallo studioso e ricercatore di avvenimenti locali, riceviamo e pubblichiamo la “Storia di Lucrezia Reggio Branciforte, nobildonna da grandi sentimenti e vicina al popolo” 

Giuseppe Pezone

Lucrezia Reggio Branciforte nacque nel 1684, probabilmente ad Acitrezza, figlia del Principe  Stefano Riggio e di  Dorotea  Branciforte. I Reggio e i Branciforte erano all‘epoca  tra le famiglie  più importanti del regno, soprattutto politicamente. I Riggio, denominati anche principi di Aci, dal loro feudo che comprendeva tra l’altro Acitrezza ed Acicastello (due Comuni della provincia di Catania), godevano di grande  considerazione da parte dei Borboni per cui alcuni  componenti della famiglia ricoprirono incarichi politici e militari di assoluto prestigio. Il padre di Lucrezia ebbe in Sicilia incarichi delicatissimi di grande rilevanza pubblica e fece parte del  cosiddetto Consiglio di reggenza nominato da Carlo III per affiancare il figlio Ferdinando IV ancora fanciullo, da lui designato  re di  Napoli. Un altro rappresentante dei principi di Aci, nipote di Lucrezia Reggio, ebbe il delicatissimo incarico da Ferdinando IV di eseguire il provvedimento che disponeva  l’ espulsione dei Gesuiti dal Regno delle due Sicilie. Fu questo probabilmente il peggior provvedimento emesso  da Carlo III, determinato forse dalla forte pressione su di lui esercitata da quasi tutti i regnanti  europei. Su questa vicenda ritengo necessario soffermarmi sia pure marginalmente. Quasi tutti i regnanti d’ Europa  vedevano nell’azione missionaria dei Gesuiti una minaccia per la loro attività  di colonizzazione. Temevano che i Gesuiti elevando culturalmente e spiritualmente le popolazioni indigene queste potessero ribellarsi allo sfruttamento a cui erano sottoposte dai loro colonizzatori. Ferdinando IV, che da poco aveva  raggiunto l’età per poter regnare autonomamente, cercò di opporsi, forse anche perché educato sin da fanciullo proprio da un Gesuita, ma più in generale per la grande considerazione che si nutriva per quest’ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola, i cui adepti assicuravano ovunque si trovassero l’istruzione primaria e secondaria. Prevalse purtroppo (già da allora) l’interesse dei paesi più potenti, per cui anche dal Regno delle due Sicilie, come già accaduto pochi anni prima in  Spagna, i Gesuiti furono  espulsi. In verità, molti cercarono di opporsi a una decisione così grave, ingiusta  e assolutamente ingiustificata, tra cui  i maggiori giuristi dell’epoca che non individuavano una ragione di diritto a fondamento di tale  gravissimo provvedimento. Ma Carlo III prese a pretesto che i Gesuiti si  erano insediati a Napoli due secoli prima, senza  alcuna autorizzazione del Re. Il principe di Aci, cercò effettivamente di organizzare l’espulsione nella maniera più indolore possibile per i Gesuiti. Ciò nonostante, si verificarono nei loro  confronti  atti di crudeltà e di  violenza  e le  loro sedi furono letteralmente saccheggiate. Su  questi fatti è stata prodotta una copiosa produzione storica, ove spicca a mio parere la minuziosa struggente e drammatica descrizione che un Gesuita fa trovandosi nella loro sede di Napoli  sin dal momento in cui  irruppero le guardie borboniche e fino alla completa cacciata di tutti i Gesuiti dalla città. Terminata tale infame operazione, Carlo III e Ferdinando IV, per la gestione dell’enorme mole di beni sottratti ai Gesuiti frutto di  donazioni, decisero di attenersi alle indicazioni dei maggiori giuristi del tempo, tra cui il Genovesi e Pietro Giannone. Si aprì, quindi, un vero e proprio dibattito giuridico, molto interessante sotto l’aspetto del diritto. Si decise allora di assegnare gli immobili ( per lo più terreni) in fitto partendo dal loro valore  per assegnarli al maggior offerente, praticamente un’asta. Da tali beni furono esclusi dei terreni in Sicilia, assegnati direttamente al Principe di Aci a ricompensa del buon servizio reso. E’ importante puntualizzare a dimostrazione dell’azione caritatevole  svolta dai  Gesuiti , assolutamente scevra dal ricavare da tali beni  un  interesse economico, lo dimostra il fatto che l’importo ricavato dai nuovi  fitti, finita l’asta, era  notevolmente superiore a quello che i Gesuiti in precedenza  ricavavano  dai fitti  dei medesimi beni.
Lucrezia Reggio sposa il duca di Calvizzano
Ritornando a Lucrezia Reggio, del periodo antecedente al suo matrimonio allo stato si sa  poco. Probabilmente studiò dalle suore Benedettine di Catania, come per tradizione dei giovani appartenenti alle famiglie nobili catanesi, ricevendo un’istruzione di primissimo livello. Ancora giovanissima (forse sedicenne ) sposò il duca di Calvizzano Domenico Francesco Pescara di Diano, che era anche duca di Saracena, un ducato in Calabria. Dal matrimonio nacque Giovanbattista che poi diventò duca di Calvizzano, Diego il quale divenne Gesuita e fu per anni il rettore del collegio dei nobili in Napoli, Stefano che morì a Bovalino durante il terremoto del 1783, Domenico importante ammiraglio borbonico, che  avviò  il nipote Francesco Caracciolo alla carriera della marina militare, poi Antonio, Maria Dorotea, Margherita e Vittoria che fu la madre del Caracciolo. Antonio, nato a Calvizzano, cavaliere di Gerusalemme ambitissimo titolo, morì a soli ventinove anni, quando era avviato a una brillantissima carriera nella marina militare  borbonica. Benché giovanissimo, aveva già raggiunto l’alto grado di capitano. A lui la madre Lucrezia Reggio dedicò inconsolabile  la bellissima lapide visibile nella nostra parrocchia alla parete posta a destra dell’entrata centrale.


Lucrezia, molto religiosa e di nobilissimi sentimenti, faceva parte di quel limitato numero di nobili assai vicino al popolo. Morto il marito il duca Domenico Francesco Pescara di Diano il 12.9.1719, (che precedentemente aveva comprato con assenso del re nel 1716  il feudo di Bovalino in provincia di Reggio Calabria), vendendo quello di Saracena, diventò duchessa di Calvizzano e di Bovalino. Sul punto colgo l’occasione, per chiarire che Calvizzano non ha mai avuto nel 1200 un’altra feudataria omonima di Lucrezia Reggio Branciforte. Oltre a esserne  assolutamente certo, ciò mi è stato confermato dall’ing. Franco d’Aci, discendente e storico dei principi di Aci, che voglio pubblicamente ringraziare attraverso questo sito, per la sua squisita disponibilità nel fornirmi notizie sulla sua famiglia. Lucrezia Reggio, rimasta vedova, da sola continuò a curare gli interessi della famiglia, crescendo i figli ed educandoli alla fede Cristiana. Sicuramente Lucrezia fu molto aiutata dal fratello Michele Reggio, diventato assai potente sia politicamente che militarmente. Oltre a essere stato ambasciatore e vicerè, i Borboni gli affidarono  praticamente la riorganizzazione di tutta la loro marineria. Al  museo di San Martino a Napoli, precisamente nel settore dedicato alla marineria, lo si menziona spesso. Anche l’altro fratello Andrea fece una carriera militare assai brillante e alla sua morte avvenuta in Spagna fu sepolto nel Pantheon De Marinos  Illustres.  Per le sue riconosciute qualità morali e culturali, in occasione del matrimonio di Carlo III, Lucrezia fu nominata Guardia Maggiore della Regina, incarico che le consentiva un diretto contatto con la regnante. Nel libro “Opere” di Francesco Maria Cavazzoni  Zanotti, tomo 1° è pubblicata una lettera inviata a tal Dottor Gabriele Manfredi di Roma. L’autore della lettera al ritorno da un viaggio a Roma si reca a Napoli e confrontandola  con Roma, dopo averne  lodato le bellezze naturali, riferendosi all’aspetto culturale della città fa un esplicito riferimento a Lucrezia  Reggio Branciforte, all’epoca chiamata anche “vedova di Carvizzano “. Avendola ascoltata in un salotto a palazzo reale testualmente  scrive “….La conversazione parea non fatta per gli uomini ma per gli dei tanto era in ogni sua parte nobile, sontuosa, vaga e magnifica”. Lucrezia Reggio fu particolarmente legata a Calvizzano e a Bovalino, ed amata dal popolo locale. Nella lapide della nostra chiesa parrocchiale  posta a sinistra dell’entrata centrale e a lei dedicata  si esaltano le sue doti umane, la sua generosità (contribuì  economicamente a rendere più bella la nostra chiesa di S.Maria delle Grazie) e  il suo carattere “mite e giusto”.

Probabilmente, il re le aveva concesso l’esercizio del “mero e misto imperio”, significando che ella poteva esercitare nel suo feudo sia l’attività giurisdizionale che amministrativa, funzione che il  re concedeva raramente. Al fine di comprendere, come all’epoca erano pochi i feudatari che trattavano la popolazione del loro feudo con benevolenza e generosità, valga da esempio quando accadde a Marano. I Maranesi, stanchi delle continue vessazioni ed angherie a cui erano sottoposti dalla loro feudataria, una principessa spagnola, le bruciarono la casa. Anche a Bovalino, Lucrezia, dopo la morte del marito, ne divenne la duchessa, fino a che il suo primogenito Giovanbattista diventò  maggiorenne. Pure lì fu molto apprezzata e amata dal popolo, a cui donò un preziosissimo e artistico reliquario in ottone contenente diverse reliquie di santi e frammenti della Croce di Gesù. Reliquie che furono riconosciute autentiche a seguito di  ispezione eseguita all’epoca dal vescovo di Cassano Jonio su incarico papale. Inoltre, a Bovalino finanziò il restauro di chiese e si distinse in opere di carità.

I famosi cavalli di Calvizzano
Il  marito di Lucrezia,  il duca Domenico Francesco Pescara di Diano, grande appassionato di cavalli (per questo  ricordato a Saracena) ne donò ai Bovalinesi  una coppia proveniente dalle sue stalle di Calvizzano (situate a piano terra del palazzo ducale). Nel corso degli anni  costituitosi  in loco un considerevole numero di esemplari erano molto amati ed apprezzati dai locali e non solo, tanto che il cavallo fu scelto come stemma del paese. Inoltre, quando a Bovalino si voleva  fare riferimento a un cavallo  particolarmente bello e di valore si usava  dire “ è un cavallo di Calvizzano “. Tal modo di dire  forse è ancora corrente . Nel libro “Giornale di viaggio in Calabria del 1792” di Giuseppe Maria Galanti, importante storico, letterato e viaggiatore, l’autore riferendosi alle razze di cavalli esistenti in Calabria, testualmente scrive…”la razza migliore è quella di Calvizzano” . Analogamente  si legge nel testo “Quadro statistico dei distretti di Palmi e Gerace , nella prima Calabria Ultra “, di Giuseppe Raffaele Raso del 1843.

La duchessa sarebbe sepolta sotto la chiesa Santa Maria delle Grazie?
Lucrezia morì a Napoli  il 16.3.1764: la sua salma fu esposta solennemente nella monumentale chiesa intitolata a S. Francesco di Paola situata in piazza Plebiscito che i Borboni, per ex voto, avevano fatta edificare. Dopo qualche giorno fu portata a Calvizzano accolta dal popolo sinceramente commosso. Fu posta nella sepoltura dei Pescara di Diano, situata, molto probabilmente, sotto la chiesa parrocchiale S. Maria delle Grazie.
Grazie sig. direttore per la cortesia che avrà nel pubblicare questo piccolo lavoro, con la promessa che, quanto prima, le invierò dell’altro.
                                                                                                                      Peppino Pezone

Grazie a lei signor Pezone per un’altra bellissima pagina di storia che ha voluto donare ai nostri tantissimi lettori e agli appassionati di storia. Si tratta sicuramente di un altro prezioso contributo  che va a rafforzare la sua idea-proposta, da noi totalmente condivisa, di istituire nel Palazzo ducale di Calvizzano un Museo della Rivoluzione Partenopea.
                                                      


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