Veleni e rifiuti: gli alvei dimenticati, da canali naturali a discariche

In un’area di pochi chilometri quadrati che abbraccia  Mugnano, Calvizzano e  Marano, scorrono i veleni di 4 autentiche bombe ecologiche: Alveo Camaldoli,  Alveo Defrido, Alveo Fossa Del Carmine, Alveo Torricelli

Sponda calvizzanese Alveo Fossa del Carmine

Tanto tempo fa erano canali, costruiti dall’uomo per far defluire le acque piovane dalla collina verso il mare: oggi, invece, sono autentiche fogne e peggio ancora discariche a cielo aperto. Intasati, devastati, stravolti, occupati o occultati da costruzioni fuorilegge. E quando esondano (spesso) provocano danni incommensurabili. Li abbiamo setacciati uno per uno: dall’ampia documentazione fotografica ci si può rendere conto delle loro condizioni.

Alveo Fossa del Carmine
Inizia in via Euclide a Marano (dove termina il vallone Defrido) e completa il suo percorso sulla cosiddetta strada di Candida, dove confluisce nell’Alveo Camaldoli. Una sponda insiste in territorio maranese, l’altra in territorio calvizzanese. Per gli abitanti di Calvizzano, in particolar modo di quelli che vivono nella zona periferica di San Pietro, rimane un’autentica croce: non ce la fanno più a sopportare i danni derivanti dai liquami fognari provenienti da Marano. In passato si sono rivolti all’autorità giudiziaria per denunciare il grave fenomeno che, oltre a provocare un inquinamento diffuso sul loro territorio, determina un continuo e insopportabile lezzo.

E’ ancora sotto sequestro
Buona parte dell’’Alveo Fossa del Carmine (alcuni lo chiamano vallone, altri cavone) è ancora sotto sequestro della Magistratura. L’operazione, avvenuta verso la fine di ottobre 2014, fu condotta dal Corpo della Forestale e dal nucleo ambientale della Polizia municipale di Marano: si rese necessaria perché alcune imprese sversavano materiale di risulta da cantieri edili, ostruendone il percorso.

In passato spesso esondava   
L’ultima esondazione avvenne il 27 novembre 2009: verso le ore 20.00 l’acqua fuoriuscì dall’alveo naturale e invase le abitazioni costruite ai margini del vallone, arrivando fino all’altezza di 6-7 metri. Ci fu lo sgombro di 6 famiglie che solo recentemente sono ritornate nelle loro abitazioni. Hanno dovuto aspettare la conclusione dei lavori di messa in sicurezza dell’ultimo tratto dell’Alveo, consistenti nella realizzazione di uno scolmatore di cemento di circa 15 metri che ha il compito di dirottare, in caso di piena, gli svariati metri cubi d’acqua accumulati, facendoli defluire in un grande serbatoio. Sono costati circa 250mila euro.

Per il risanamento di Fossa del Carmine, Calvizzano ha postato 2milioni di euro nel Piano delle opere pubbliche

Essendo gli alvei di competenza regionale, spetta all’Ente di Santa Lucia provvedere a risanarli e a bonificarli. Al Comune di Calvizzano, però, ai tempi di Granata sindaco, decisero di postare 2milioni di euro nel Piano triennale delle opere pubbliche, a titolo di cofinaziamento dei fondi europei che la Regione avrebbe dovuto elargire per i cosiddetti ADR (accordi di reciprocità) il cui progetto portante era il risanamento del più “famoso” Alveo Camaldoli”. Gli ADR, però, saltarono, ma, nonostante tutto, l’amministrazione Salatiello ha lasciato inalterati i 2milioni di euro nel piano delle opere pubbliche, come per dire il nostro Comune è disposto a fare la propria parte, qualora la Regione decidesse di stanziare fondi per la bonifica  dell’Alveo Fossa del Carmine.   


 Alveo Fossa del Carmine in via Euclide a Marano 

Sponda calvizzanese Alveo Fossa del Carmine nei pressi Masseria dei Chiavettieri

Profondità originaria del Vallone

Profondità attuale in alcuni tratti

Anni fa in quest'area adiacente al vallone stavano costruendo altre case



Alveo Defrido

Inizia sul versante maranese della collina dei Camaldoli e termina in via Euclide, dove comincia il Vallone Fossa del Carmine.
Ai tempi di Bertini sindaco, la Regione, per porre fine al fenomeno degli sversamenti impropri  delle acque nere, provenienti per la maggior parete dal territorio di Torre Caracciolo, stanziò 10milioni di euro per il risanamento igienico-sanitario del tratto a cielo aperto. Fu costruita un’enorme conduttura sottostante l’alveo nella tratta compresa tra via Marano-Quarto e via San Rocco che si sarebbe dovuta congiungere con un’altra tubazione costruita, nell’ambito dello stesso lotto di lavori, sotto il vallone Fossa del Carmine.
Nonostante tutto, come chiarì al giornale “l’attesa” Biagio Sgariglia, ex assessore ai Lavori Pubblici ai tempi di Bertini e di Perrotta, finiscono a cielo aperto perché non funziona bene il derivatore che serve a collegare la parte finale della conduttura sottostante il vallone Defrido con la tubazione sottostante l’alveo Fossa del Carmine. Da qui i liquami. All’epoca, furono stimati circa 250mila euro di lavori che non sono mai stati realizzati.


Vallone Defrido in via Marano- Quarto dove inizia a incanalarsi nella conduttura sotterranea  

Vallone Defrido in via San Rocco


Alveo Camaldoli, una vergogna di oltre 20 chilometri

Nasce ai confini del versante napoletano con quello maranese della collina dei Camaldoli: attraversa i Comuni di Marano, Mugnano, Calvizzano, Qualiano, Quarto e Giugliano, finendo la sua corsa a  Licola, nei pressi del depuratore. Furono i Borboni a canalizzarle l’alveo, che divenne una preziosa risorsa per tutta l’agricoltura. Irrorava i campi e li rendeva rigogliosi. Con l’abusivismo edilizio, però, è diventato ricettore di acque nere, portandole direttamente sulla costa e trasformandosi in un pericolo ambientale. Nasce, dunque, come raccoglitore delle acque piovane della collina per regimentarle a valle. Lo storico Barleri –  fa notare Antonio Menna in un suo recente articolo sull’esondazione dell’Alveo Camaldoli apparso sul Mattino –, anni fa, scrisse che è addirittura del 1686 la prima vittima dell’alveo: dopo un temporale, un fiume d’acqua si riversò sul casale di Marano e un giovane fu travolto. E’ coperto per buona parte del territorio di Marano, Mugnano e Calvizzano. Resta ancora scoperto, invece, un tratto  adiacente lo Stadio Nuvoletta di Marano, un altro che insiste sul territorio di Mugnano in via Orazio Flacco (nelle immediate adiacenze del Cimitero). Poi è tutto scoperto da Qualiano a Licola.
“Per quanto concerne il tratto di Mugnano – afferma Giovanni Porcelli, ex sindaco di Mugnano, attuale presidente della SORESA –  il Ministero dell’Ambiente già da alcuni anni ha stanziato circa un milione di euro per la bonifica e la copertura dell’Alveo: si tratta di fondi per la compensazione ambientale, concessi per i danni causati dalla discarica di Chiaiano” .
Abbiamo appreso che è in fase di redazione il progetto definitivo.

Alveo Camaldoli: la parte scoperta adiacente lo stadio Nuvoletta di Marano

Qui comincia la parte coperta dell'Alveo Camaldoli, sempre in prossimità dello stadio Nuvoletta 

Parte scoperta dell'Alveo Camaldoli a Mugnano in via Orazio Flacco, nei pressi del cimitero

Alveo Camaldoli coperto in territorio calvizzanese 


           
Alveo Torricelli
L’Alveo Torricelli proviene dal versante napoletano della Collina dei Camaldoli: dopo aver attraversato Chiaiano e Piscinola (due quartieri napoletani) arriva a Mugnano dove è scoperto fino a Melito. Passa a fianco l’Auchan di Mugnano, dove persiste un lezzo nauseabondo che, in particolar modo d’estate, rende l’aria irrespirabile. A questo si aggiunge l’incessante contributo di vandali senza scrupoli che continuano a utilizzarlo come sversatoio di rifiuti . Dovrebbe fungere da collettore delle acque piovane, invece riceve scarichi fognari provenienti dal territorio napoletano.
 Sarebbe ora che le autorità preposte intervenissero per evitare nuovi disastri ambientali.   

Alveo Torricelli  nei pressi dell'Auchan di Mugnano





Nell’ultimo ventennio il tema dell’ambiente ha dominato lo scenario politico mondiale, entrando, da tempo, nell’agenda dei paesi industrializzati. L’ambiente muove un’economia reale e sommersa, come ha scritto in un suo saggio il segretario della Cisl dell’Area Torrese-Stabiese, Matteo Vitagliano, che suscita insaziabili appetiti della criminalità organizzata che ne ha fatto uno dei suoi business principali. Ciò ha provocato nuovi e più gravi disastri ambientali, descritti in maniera esaustiva in Gomorra di Roberto Saviano, ponendo all’attenzione quello che era già sotto gli occhi di tutti. Peccato che anche nella nostra area giuglianese, in troppi ne hanno fatto un comodo e facile strumento per le loro campagne elettorali, mentre le nostre istituzioni si sono rivelate incapaci di adempiere al ruolo assegnato. Depuratori obsoleti, arrugginite condotte sottomarine, decrepiti impianti fognari, hanno fatto sì che il nostro mare si trasformasse in fogna. Il danno economico è enorme, incalcolabile quello di immagine. A tutto questo si aggiunge l’emergenza rifiuti: nuovi cumuli di spazzatura si presentano agli angoli delle strade (tranne in quei comuni dove la differenziata ha avuto un buon successo). Caliamo un velo pietoso sulle discariche gestite dalla camorra, sui rifiuti tossici, ancora sepolti sotto ettari di terreno sui quali si coltivano prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Insomma, l’intero ambiente è diventato, ormai, una merce a uso e consumo di imprenditori senza scrupoli, politici senz’anima, camorristi voraci e insaziabili. Nonostante tutto nulla, forse, è ancora interamente perduto: l’ambiente può continuare a vivere se non in tutto il suo splendore, almeno in quello che è ancora salvabile, tornando a essere una concreta fonte di reddito, per imprenditori e lavoratori impegnati nei vari settori del commercio, del turismo, dei servizi e dell’industria ecologica. C’è, però, da lavorare tanto. Negli anni addietro, nonostante il nostro hinterland avesse una tradizione forte sia nel campo sindacale sia nel mondo dell’associazionismo, è stato fatto poco in termini di proposte per la salvaguardia e la tutela del territorio. Così come non è stato mosso un dito per lottare, contro i signori della cementificazione selvaggia, contro gli improvvisati capannoni industriali senza licenza, i cui rifiuti venivano scaricati negli alvei naturali o direttamente a mare. Purtroppo il disegno di più ampio respiro, la progettualità più marcata è rimasta lettera morta, orfano di un sindacato ma anche di associazioni e pseudo comitati di cittadini che hanno delegato alla politica la difesa degli interessi di quest’area.
Se la ricchezza degli arabi è il petrolio, la nostra ricchezza si chiama mare, ambiente, tutela del patrimonio culturale e archeologico. Bisogna, dunque, costruire, tutti insieme, un progetto che punti al recupero ambientale, archeologico e culturale. Il progetto o i progetti, non serviranno soltanto a garantire nuova occupazione, ma soprattutto a difendere definitivamente un territorio massacrato in tutti i sensi. Oggi l’occupazione passa inevitabilmente attraverso la valorizzazione del territorio, il riconoscimento della sua identità, dei suoi valori più veri, sfruttandone al meglio le peculiarità, affinché le sue ricchezze siano patrimonio di tutti e non riserve da caccia dei pochi soliti noti, che parlano a nome degli altri, pensando esclusivamente al proprio portafoglio o ai Robin Hood al contrario di turno: quelli che tolgono a i ricchi per dare a loro stessi.





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