Storia
di una guarigione raccontata dalla protagonista in “Frammenti di luce”, il
giornale della comunità parrocchiale
Che dire: tutti almeno una volta abbiamo avuto una
crisi religiosa e ci siamo allontanati da Dio, soprattutto nella fase
adolescenziale, quando prevalgono i divertimenti. Ci siamo resi conto di quanta poca importanza
avesse Dio nella nostra vita. Oggi vi scrivo per raccontarvi la mia esperienza.
Sin da piccola mi è stata imposta la messa di domenica, la preghiera prima di
mangiare, ecc. Crescendo, queste regole mi infastidivano e mi risultava noioso
fare qualcosa contro voglia, solo perché ero obbligata. Verso i 13 anni decisi
di non frequentare più la chiesa e di occuparmi della mia vita e dei miei
interessi. Non venivo più obbligata e mi veniva detto che potevo fare ciò che
volevo.
All’età di 14 anni, durante una lezione di danza,
iniziò a mancarmi l’aria: era impossibile fermare la tosse e cominciai a
peggiorare giorno dopo giorno. Dopo solo qualche mese venni ricoverata
d’urgenza. Due settimane dopo mi
ritrovai in una stanza in compagnia di persone che non conoscevo, senza capelli
e con il viso pallido. Mi feci qualche domanda, ma i conti non tornavano e negli
occhi dei miei genitori lessi solo tanta tristezza. Mi fu diagnosticato un linfoma di
Hodgkin…stessa razza della leucemia. Immaginate la mia reazione.
Iniziai le prime chemio, caddero le prime ciocche di
capelli e presto si fecero vivi tutti gli effetti collaterali. La mia vita
cambiò completamente: mi fermai con la scuola, con la danza, non potevo avere
rapporti con gli estranei. I miei genitori mi ripetevano continuamente
“ringraziamo Dio per questa malattia, almeno in molti casi è curabile”. Non solo
ero malata di cancro, ma dovevo pure ringraziare Dio. Dopo diversi cicli di
chemioterapia e radioterapia, finalmente arrivò la guarigione, quella che ho
sognato giorno e notte; quella che immaginavo ogni volta che allo specchio
vedevo un mostro senza capelli gonfia di cortisone e pallida; quella guarigione
che desideravo quando la gente mi umiliava con lo sguardo. Dopotutto mi sentivo
fortunata ad avercela fatta e di nascosto iniziai a frequentare la chiesa: non
avrei mai dato la soddisfazione ai miei genitori. Rincominciai la mia vita
avvicinandomi a Dio.
Una domenica, durante la Messa, girandomi di scatto,
avvertii un dolore al collo: scappai via piangendo. Feci dei prelievi.
Inaspettatamente si presentò di nuovo la malattia. La situazione si complicò. A
16 anni si è più maturi: si capisce o almeno si cerca di capire di più la
gravità della situazione. In quel periodo ero molto arrabbiata con Dio, con la
chiesa, con tutto e tutti. Venni sottoposta a infinite chemio e a un
autotrapianto di cellule staminali. Purtroppo nel mio torace si era formata una
pietra che non voleva andare via. Le domande che mi ponevo erano infinite, ma
le risposte non esistevano e le probabilità di guarigione diminuivano.
Intanto, nella mia testa e nel mio cuore c’era tanta
speranza: pure quando le cose si complicavano sentivo quella voce che diceva
“ce la farai”. Nel frattempo, in America una cura sperimentale stava dando ottimi
risultati e nel giro di qualche mese arrivò in Europa. In Italia solo a Udine
era disponibile, ma, dopo varie richieste dell’ospedale di Napoli, riuscii a
farla. Bastò poco per guarire, anche se nessuno mi dava la certezza trattandosi
di un farmaco sperimentale. Mi proposero
quindi un trapianto di midollo osseo. Dopo quattro anni di travaglio ci si fa
una cultura circa le procedure mediche e si è consapevole dei rischi. A 18 anni
ero l’unica a dover decidere, solo la mia parola contava. Affidai la mia vita a
Dio: non avevo alcuna speranza. Avevo bisogno di credere in qualcosa e ogni
volta che pregavo avvertivo un senso di tranquillità. Mi feci coraggio e decisi di fare questo
passo.
Mi trasferii a Genova per quattro mesi, di cui uno
in isolamento. Arrivò il grande giorno. Il venerdì Santo venne tolto il midollo
a mio padre e il giorno di Pasqua entrò effettivo nel mio corpo. Tutto
procedeva per il meglio. Ma, a distanza di giorni, prima del rientro a Napoli,
si bloccò il midollo e tutti i valori erano in calo. Ciò significava fare un
altro trapianto con percentuali dell’1% di farcela. Ormai la situazione si
complicava come fosse già programmato. Mi prepararono la stanza per il ricovero
urgente e mi fecero un emocromo per valutare la situazione. In quel momento ho incontrato Gesù. Mi tranquillizzavo solo quando ci parlavo.
Penserete che sia stupida, ma io l’ho conosciuto proprio lì, quando avevo la
morte di fronte. Dopo pochissimi secondi iniziai ad avere freddo, tremavo e mi
salì la febbre.
Arrivarono le risposte delle analisi: i dottori si
guardarono e dai loro occhi riuscii a leggere la gioia. I valori erano tornati
nella norma. Allora capii di non poter fare a meno di Gesù.
Oggi mi sento fortunata: nella malattia l’ho
conosciuto e ogni volta che mi allontano, al ritorno, è sempre più accogliente.
Il vuoto che mi ha lasciato la mia
adolescenza lo colmo con la preghiera. San Giuseppe Moscati diceva: “scienza e fede non sono in
contrapposizione perché entrambe operano
il bene dell’uomo”. Io ne sono prova vivente e credo che ogni persona sia
diversa dall’altra, ma con Dio tutti ci completiamo.
Anna Donati