La dirigente scolastica, nata a Marano, dove fino all’età di 46 anni ha vissuto e lavorato (ha insegnato anche a Calvizzano), otto anni fa decise di “scappare” dalla sua città, accettando l’incarico di dirigere un istituto comprensivo scolastico del basso Cilento: da quel momento è cambiata totalmente la sua esistenza, ma soprattutto è mutata la vita degli insegnanti, degli alunni e delle famiglie che hanno conosciuto e apprezzato i suoi metodi di lavoro. Il suo modo di fare scuola è diventato un modello che molti vorrebbero imitare. La sua “rivoluzione sostenibile” in ambito ambientale (ecomerenda con prodotti biologici dell’orto sinergico, pratica rifiuti zero, no plastic e riciclo degli olii esausti prodotti nelle famiglie degli alunni, eccetera), che l’ha fatta vincere il “Premio cittadino europeo” 2014, forse non avrebbe mai potuta attuarla a Marano, dove le sue battaglie ambientaliste e per la legalità hanno fatto storia, ma hanno avuto poco effetto. Forse per questo motivo la De Biase, stanca di essere una donna contro, avrebbe maturato l’idea di emigrare verso altri lidi, alla ricerca della sua vera identità. Questo pensiero traspare nelle lettere che inviava frequentemente al giornale di Marano l’attesa, nelle quali primeggia sia la sua voglia di difesa del territorio dall’aggressione selvaggia di palazzinari senza scrupoli, sia il bisogno di tutelare quel mondo agrario che ha sempre amato. Disponendo di questo materiale originale e storico, abbiamo deciso di pubblicare alcune sue missive più significative, per fornire elementi aggiuntivi a coloro che intendono approfondire il fenomeno De Biase. Questa sorta di reportage sulla preside più famosa d’Italia non è stato prodotto solo per fare cosa gradita ai maranesi o ai calvizzanesi che hanno conosciuto la De Biase, poiché l’ambiente, la natura, la ruralità sono argomenti di grande attualità che riguardano un po’ tutti, in particolar modo coloro che risiedono nella cosiddetta “Terra dei Fuochi”
Ecco un’ampia sintesi del filmato (assolutamente da vedere, per le emozioni che trasmette), registrato all’Atelier Magie di Tricot For Art di Tiziana Mallardo (sito a Marano in via Yasser Arafat), dove Maria De Biase è stata ospite il 27 febbraio scorso
LE LETTERE AL GIORNALE L’ATTESA
Maggio 1996
Marano snaturata
A partire dagli
ultimi decenni, ogni cambiamento nel paesaggio maranese è equivalso a
imbruttimento o distruzione. Le case di campagna, le antiche “masserie” vanno
in rovina o scompaiono; non passa settimana senza che appaiono tabelle che
invitano all’acquisto di ville e appartamenti. Sempre, questi preludono alla
dissoluzione di qualche grande o piccola proprietà terriera. La vecchia casa
viene valutata da demolitori e costruttori, la terra invasa e sconvolta dalle
ruspe e dai mercanti di legname. Alberi enormi vengono giù, tutti abbattuti,
ciliegi, peri, peschi, noci crollano, senza alcun ripensamento. I bulldozer sfondano
come arieti le vecchie mura, le cancellano per formare campi squadrati, enormi,
anonimi, “lottizzati”. I campi, un tempo ricchi e splendidi, vengono spogliati
e sfregiati. Progettisti, pianificatori e “geometri” sempre legati alla
politica, si appropriano della vecchia casa, sciamano all’interno di essa, nei
vecchi cortili: la vecchia dimora diventa il quartier generale della
lottizzazione. Che altro ci chiediamo, deve ancora accadere all’antico,
elaborato, produttivo paesaggio della campagna maranese? I barbari geometri
l’hanno appiattito, spogliato, ridotto in numerose strisce di terreno arido,
spoglio, da riempire di palazzi. E dei lunghi declivi della Recca, con i più
splendidi esemplari di ciliegi, quanti ne hanno sacrificato alle arroganti esigenze
di urbanizzazione e alla letale vicinanza della metropoli? Su di essi rombano
giorno per giorno le oscure sagome delle ruspe e delle gru, lasciando una scia
puzzolente nel cielo ancora azzurro. Marano del cemento, del calcestruzzo, dei
recinti, degli autocarri carichi di materiale edilizio che arrancano dove prima
era solo silenzio. Marano barbarica dei signori del cemento, dei palazzinari,
dei politici selvaggi e primitivi. Permetteteci di conservare un pezzetto della
nostra memoria, prima che questa sia irrimediabilmente persa.
Maria De Biase
Novembre 1997
Marano, l’identità negata
Il Comune di Marano è
tradizionalmente segnalato come insistente sull’area flegrea, benché questo
concetto sia considerato molto dilatato per effetto della stretta relazione con
l’area giuglianese che ha, invece, caratteristiche socio-economiche e
ambientali sostanzialmente diverse. Marano, in questo contesto, si trova a
vivere una condizione di doppia estraneità, in quanto si trova all’estremo
limite dell’area flegrea e non si può considerare del tutto integrata nell’area
giuglianese. Di qui una sensazione di marginalità, di una certa area di confine
che le ondate migratorie degli ultimi decenni non solo non hanno distolto, ma
ancor più accentuato. Mentre l’area flegrea risulta essere un’area a vocazione
turistica, oltre che agricola, il nostro Comune è particolarmente sconvolto dai
ben noti processi di urbanizzazione selvaggia. Questi sono favoriti, oltre che
da una politica, passata e presente, cieca e affaristica, dalla struttura
orografica del territorio in gran parte pianeggiante e, comunque, adatta a
un’attività edilizia intensiva. Non a caso le tendenze evolutive dello sviluppo
della metropoli-Napoli hanno visto, nella dorsale nord-ovest del capoluogo, uno
dei più alti indici di crescita e di tensione socio-abitativa. A pagare in
prima persona questa situazione è stato proprio il complesso della
collettività. Un’alluvione, in termini di cementificazione e di insediamento,
di decine di migliaia di persone su di un’area così ristretta e con
connotazioni fortemente agricole non poteva che produrre fenomeni di rottura e
di alterazione. L’impatto della rapida, caotica “modernizzazione” sul
preesistente mondo agrario ha sconvolto i processi trasformativi e le
interazioni socio-culturali. Una mutazione che ha attaccato e corroso la
cultura agraria e il suo paesaggio, la mentalità contadina, l’identità del
vecchio aggregato urbano, imponendo l’anonimato dell’attuale contesto maranese.
dott. Maria De
Biase
Dicembre 1997
“Un Piano regolatore che legalizza l’abuso”
Domenica 9 novembre,
tra i tanti semplici cittadini presenti al consiglio comunale nel Vallone del
Carmine, c’ero anch’io. C’ero perché ho sentito la grande valenza simbolica di
un Consiglio, riunito per la prima volta, all’aperto, su un luogo dove è stato
consumato un misfatto. C’ero perché volevo rendermi conto di come gli
Amministratori affrontassero il tema abusivismo edilizio, problema che mi tocca
profondamente come cittadina maranese e come persona, visto che ho combattuto,
fino ad oggi quasi sempre inutilmente, per difendere il fondo della mia
famiglia da prepotenti attacchi “urbanizzanti”. Tra il fango e la spazzatura si
è presentato ai miei occhi uno scempio di proporzioni incredibili: osceno,
insolente, e tendenzialmente immodificabile. A questo punto ho capito che sulla
questione non potevo continuare a formulare solo opinioni astratte, a nutrire
disgusto non suffragato da alcuna conoscenza pratica e legislativa. Per avere
un quadro un po’ più chiaro, mi è sembrato utile la lettura del Piano
Regolatore Generale. Certamente il compito non è stato facile per la mia scarsa
competenza tecnica. Il PRG fu approvato nel 1987, ma la sua storia è più
complessa: dal 1973 era vigente un “Programma di fabbricazione”; la stesura del
Piano si rese indispensabile ai sensi della legge 17 del 1982 e, dopo alterne
vicende, ebbe il suo completamento nel 1987. Già il progettista del Piano
segnala scarsa collaborazione dell’ufficio Tecnico.
Le vicende connesse
all’approvazione del Piano, le infinite pressioni, i ripetuti adattamenti, le
compromissioni burocratiche e personalistiche che presiedettero alla stesura
sono oggetto di una vasta aneddotica e coinvolsero tutti i gruppi politici e le
“famiglie” operanti sul territorio. La corsa alla migliore determinazione delle
aree, finalizzata a interessi personali e di gruppi camorristici, si coniugava
a una politica che dichiarava di voler salvaguardare il Comune dai rischi di
conurbazione con Napoli, ma nella realtà subiva e, in qualche modo, invogliava
una posizione di subordinazione alle tendenze espansionistiche del capoluogo.
La lotta
all’abusivismo, che è compito precipuo delle Amministrazioni locali, non era
affatto indicata come obiettivo del Piano e ci si pose addirittura problemi
bizantini di terminologia: “E’ noto che
non è il piano che può sanare l’abusivismo, tuttavia il trascurare la presenza
di vani abusivi sul territorio avrebbe condotto a un sovradimensionamento del
fabbisogno e dell’espansione residenziale. Salve le iniziative amministrative
che si potranno e vorranno assumere nei confronti degli abusivi, si è ritenuto
che quanto allo stato già esistente sul territorio non sarà, in ogni caso,
eliminato”.
In queste parole vi è
l’apologia dell’abusivismo, la rinuncia ad ogni azione dovuta contro di essa e,
addirittura, predisponendo infrastrutture a carico dell’erario, una volontà di
assecondare quelle opere abusive passate, presenti e venture che sono state poi
la causa del collasso ambientale e sociale del Comune. Il PRG, come atto di
indirizzo e di programmazione, ha avuto effetti soprattutto sull’attività
agricola. Un disposto di grande importanza è quello che si riferisce alla
possibilità di concessioni edilizie ai proprietari coltivatori diretti: questa
norma sana l’abusivismo, mantiene nell’ambigua condizione di coltivatori
diretti figure sociali che agricoltori non sono, invoglia il passaggio ad altre
attività dopo la regolarizzazione catastale dell’abitazione, ne consente la
vendita senza alcun vincolo. Questo meccanismo di regolarizzazione
dell’illecito, di valorizzazione indiretta dei suoli a destinazione agricola ha
significato l’inizio della fine dell’agricoltura a Marano. Il Piano regolatore, lo strumento principe per la tutela del
territorio, a Marano ha funzionato come legalizzatore dell’abuso esistente,
come orientatore dei successivi
possibili abusi e ha destinato coscientemente il Comune a diventare un sempre
più grande dormitorio per una popolazione in crescita esponenziale.
Finalmente, nel
Consiglio straordinario del 9 novembre, è stata approvata l’immediata
acquisizione del Patrimonio comunale, senza aspettare il procedimento
giudiziario, di ogni immobile abusivo; inoltre, si è previsto l’abbattimento
del manufatto, nel caso non venga ritenuto utile al Comune e, in più, l’arresto
per chiunque venga sorpreso a lavorare nel cantiere. Sono delle scelte
politiche che in molti ci aspettavamo. Eppure da più parti vengono avanzate
proposte per rivedere il PRG vigente, ma ostinatamente il sindaco e il suo
gruppo negano questa possibilità. Perché? Forse perché preferiscono il male
minore rispetto alla possibilità, per niente remota, di modifiche ben più
devastanti?
dott. Maria De
Biase
Adesso, cosa ne pensano di Maria De Biase due maranesi eccellenti come lei: il giornalista e scrittore Antonio Menna e l’ex sindaco (dal 1993 al 2006) di Marano, Mauro Bertini
Menna : “Maria De Biase è una persona
giovane e antica. Una di quelle che, nel tempo dell'autocelebrazione,
preferisce lavorare e tacere invece di non lavorare e parlare. Questo premio le
crea più imbarazzo che gioia. Ma la gioia è nostra, che conosciamo i valori che
l'hanno formata, i dolori che l'hanno levigata, la puntura costante
dell'invidia che l'ha ferita ma non domata, la forza della sua radice, che un
po' è anche la mia, visto che siamo parenti, e i nostri nonni, che erano
cugini, hanno zappato le stesse terre, si sono passati il fazzoletto sudato.
Per contenere il suo pudore, le ho detto che questo riconoscimento non è alla
sua persona ma all'esperienza collettiva che è stata capace di creare intorno a
sé.
Le ho mentito. E' un premio a lei. A Maria De Biase, e io ne sono felice".
Le ho mentito. E' un premio a lei. A Maria De Biase, e io ne sono felice".
Bertini: “Una maestra impegnata a tutti i livelli, decisa nell’affermare i suoi principi, determinata e cocciuta fino all’ottenimento dei risultati”.