In
viaggio nella struttura gestita dalla Congregazione religiosa “Figlie della
Carità”
Suor Giovanna Pantaleo in mezzo a due educatrici |
Per i malati di Aids la speranza abita al civico 28
di via Camillo Guerra. Alla fine di una
stradina, in una zona di confine tra Marano e Napoli, c’è la Casa Famiglia
“Sisto Riario Sforza, opera segno della Caritas della Diocesi di Napoli, gestita
dalle Congregazione religiosa “Figlie della Carità”. La responsabile, suor
Giovanna Pantaleo, pugliese della provincia di Brindisi, insieme ad altre tre
sorelle, in sintonia con la mission delle Figlie della Carità, “dedicano la
loro vita a Dio e di servirlo nella persona dei poveri”. Da circa 10 anni
accolgono persone sieropositive affette da HIV/AIDS, offrendo a ognuno la
possibilità di migliorare la loro vita. La Casa Famiglia ha una ricettività di
10 persone che vi stazionano 24 ore su 24. Non è un luogo chiuso, anzi è sempre stato aperto
al territorio, alla parrocchia e alle scuole. Nel fornire l’assistenza ai
pazienti, le suore sono affiancate da un gruppo di volontari e da 6 educatori: un’equipe
motivata e qualificata. Nella struttura, oltre alle cure mediche e
infermieristiche (con il contributo dell’equipe domiciliare dell’Ospedale
Cotugno), ci si preoccupa di sostenere i residenti a livello psicologico, per
farli accogliere serenamente la malattia e qualche volta anche la morte. I
ragazzi, ospiti della casa, partecipano a laboratori artistico-creativi, a
gruppi di auto-aiuto, a cineforum, a visite guidate nei luoghi d’interesse
socio-culturale, ecc.
“Grazie ai fondi dell’8 per mille – afferma suor
Giovanna – attraverso il progetto “Semi di Vita” è stata avviata un’attività di
coltivazione di prodotti biologici, per offrire ai nostri ragazzi e anche a
quelli non residenti un’opportunità di inserimento lavorativo. Inoltre, in
collaborazione con la Masseria Raucci e il servizio di psichiatria dell’Asl si
sta partecipando alla realizzazione del progetto “Disseminazione Assistita” che
prevede l’installazione di un orto urbano all’interno dell’ospedale Cotugno”.
Come vi finanziate?
“Attraverso i fondi nazionali previsti per l’HIV –
chiarisce suor Giovanna – fondi regionali e tanta Provvidenza”.
Insomma, continua il lavoro in trincea delle “Figlie
di San Vincenzo” (fondatore, insieme a Santa Luisa de Marillac della Congregazione
Figlie della Carità, ndr) al servizio degli altri, dei disagiati e dei più
bisognosi, ma soprattutto di venire incontro a una delle più critiche povertà
del nostro tempo: la tossicodipendenza.
Aids: non se ne parla più, ma il
contagio da virus HIV è sempre in agguato
La causa dell’HIV è un virus che appartiene alla
famiglia dei retrovirus. La cellule più colpite e distrutte sono i linfociti T
(appartengono alla famiglia dei globuli bianchi) cellule fondamentali
nell’aiutare il sistema immunitario a riconoscere e rispondere a diversi agenti
patogeni. L’AIDS è una malattia ma, nel contempo, anche un fenomeno sociale,
politico, religioso e sessuale oltre che sanitario. E’ una patologia capace di
confondere le coscienze e cambiare il modo di guardarci l’un l’altro. Dopo che
il virus è penetrato nell’organismo attraverso una delle tre modalità di
contagio (sangue infetto, rapporti sessuali non protetti con una persona
sieropositiva o trasmissione verticale da madre in figlio durante la
gravidanza, il parto o l’allattamento al seno), una persona diventa
sieropositiva. Le persone che risultano positive al test (praticabile in tutti
i laboratori di analisi) vengono indirizzate a un ambulatorio di malattie
infettive, per essere prese in carico da specialisti del settore, in grado di
controllare l’evoluzione della malattia e di iniziare le terapie più opportune.
La condizione di sieropositività permette di vivere anche per anni senza alcun
sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una o più infezioni
cosiddette opportunistiche, cioè causate da germi che normalmente non riescono
a infettare le persone sane, ma soltanto persone con un sistema immunitario
fortemente compromesso. Ad oggi da HIV non si guarisce. Il virus può solo
essere tenuto sotto controllo, cioè curato. Rispetto ai primi anni, le terapie
hanno modificato l’evoluzione dell’infezione, permettendo una riduzione della
mortalità. La terapia antiretrovirale non è facile da seguire. Come tutte le
terapie croniche (che non hanno termine) richiede attenzione nel rispettare gli
orari di assunzione dei farmaci, la vicinanza o meno ai pasti o a certi cibi.
Tale terapia con molta frequenza genera nei primi mesi effetti collaterali per
cui, a volte, c’è bisogno di sospendere il farmaco e una modifica nello schema
della cura.